PIAZZA APERTA - Bruno Brughera
Si stanno moltiplicando diversi interventi per riattivare un dialogo che è stato sepolto dalle macerie dello stabile abitativo all’ex macello di Lugano.
Ci sono incontri, dibattiti, assemblee pubbliche nonché eventi che ruotano al centro del tema autogestione e del suo futuro. I più, cercano di ragionare come attivare un dialogo tra autogestiti e autorità cittadine. Da anni il terzo interlocutore e firmatario della convenzione che ha permesso quasi vent’anni di esperienze in centro città, è latitante e sordo. Il cantone si barrica dietro a un no comment in quanto è in corso una procedura della magistratura e il parlamento, accampando scuse e pretesti, non ritiene opportuno aprire una discussione!
È sconfortante vedere la politica e i rappresentanti del popolo nascondere la testa come gli struzzi e aspettare che il “problema“ si dissipi come nebbia al sole o semplicemente con il caldo di un’ assopita estate entrante. Eppure la soluzione è a portata di mano. Pare che a parole si dica che l’autogestione ha una sua ragione d’essere. Bene, è già qualcosa, ma i benpensanti la vorrebbero edulcorata e soprattutto scevra da logiche politiche radicali, estreme, eccetera eccetera in quanto a loro giudizio esistono realtà buone e altre che non si possono accettare per cui vanno stigmatizzate!
Personalmente ho sempre difeso l’idea è l’esistenza dell’autogestione nel tessuto urbano della città per vari motivi. Più che per la valenza e il valore politico, ho sempre ritenuto che lo spazio dell’ex macello fosse un luogo in cui si crea RELAZIONE. Al di là delle varie attività socio culturali, politiche di antagonismo al sistema e denuncia di situazioni deprecabili o di momenti ricreativi, per me, il posto fisico, lo spazio è un luogo dall’alto valore simbolico e civico soprattutto per i giovani e non solo!
Non voglio entrare nelle dinamiche dell’assemblea e ripercorrere i vari momenti che l’hanno contraddistinta anche in probabili errori. Men che meno soffermarmi su come i politici hanno strumentalizzato e resosi attori di uno squallido teatro. Questo è un compito da storici l’analizzare le varie dinamiche. Piuttosto, vedrei meglio cercare soluzioni affinché si esca dal pantano in cui le autorità borghesi-leghiste hanno fatto sprofondare tutta la questione tenuta nei cassetti e fatta riapparire a scadenze regolari solo per fini elettorali.
Sappiamo che da tempo, il dipartimento guidato da Gobbi, ha dettato direttive la cui deriva è uno Stato in cui la polizia determina molti eventi e la sorte di molte persone. È un dato di fatto che purtroppo sono ancora in pochi a rendersene conto! Eppure, malgrado ciò, si potrebbe proporre qualcosa che travalichi la contrapposizione e risolvere le questioni anche di ordine giuridico e legislativo.
Il dire che “non si può “, che le scelte sono già state fatte o votate, appartiene solo agli stolti e alle persone in malafede.
Ebbene, abbiamo un progetto di ristrutturazione e conservazione di stabili protetti. C’è il contenitore ma non i contenuti anche se qualche vaga idea a dire il vero esiste… Vista la situazione, visto che non proprio tutti sono contrari e soprattutto visto che è appurata l’esigenza, ecco una proposta concreta. Sistemare gli stabili a tappe permettendo un minimo di attività del CSOA.
Preservare i graffiti e le testimonianze del vissuto laddove è possibile.
Creare nuovi spazi per altre realtà autogestite e associazioni socioculturali no profit che favoriscono l’incontro tra generazioni e tra culture.
Creare una sorta di partenariato in cui la città offre spazi e sostegno alle varie attività che possono sottostare al cappello di una associazione per adempiere agli obblighi legali e contrattuali.
Un centro socioculturale aperto 24h dove persone di tutti i generi possano trovare spazio e cittadinanza. Un presidio di solidarietà e punto di riferimento sociale. Un po’ di buona volontà basterebbe per far crescere qualcosa di nuovo dalle macerie di quel infausta notte del 29 maggio.