La Repubblica popolare cinese ridimensiona il monopolio delle piattaforme

di Simone Pieranni, corrispondente da Pechino

 

Negli ultimi mesi in Cina si è consumato uno scontro tra partito comunista e le cosiddette «piattaforme», aziende le cui attività online si ampliano sempre di più e il cui peso economico e politico si è fatto via via sempre più rilevante. 

La Cina – a febbraio 2021 – ha reso effettiva la legge anti trust che mira a limitare i comportamenti monopolistici delle piattaforme, con l’intento di limitare il raggio d’azione delle grandi aziende e permettere, come specificato da un documento del Partito, «concorrenza e crescita del settore».

 

La prima a essere stata colpita è Alibaba, società simbolo del progresso dell’internet cinese, diventata nel tempo molto più che un’azienda di e-commerce. Pechino ha deciso dapprima di multarla per comportamenti monopolistici (circa 3 miliardi di euro) e poi di aprire un’inchiesta sul suo fondatore, Jack Ma, circa la quotazione di Ant Financial a Hong Kong, bloccata mesi fa dal Partito su indicazione, si dice, dello stesso presidente Xi Jinping.

La storia tra Pcc e Alibaba si è infittita nell’ultimo anno, a partire da quando, nel maggio 2020 su Weibo, il Twitter cinese, furono cancellate decine di post su una presunta relazione extraconiugale di un dirigente di Alibaba. Quest’ultima è anche azionista di Weibo, una funzione che il colosso cinese esercita in diversi modi: Alibaba è infatti anche il più grande cliente di Weibo, avendo contribuito per 100 milioni di dollari in entrate pubblicitarie nel 2019 (secondo gli ultimi dati disponibili). E non solo, perché quei post rimossi sarebbero stati censurati proprio su richiesta di Alibaba. All’epoca intervenne perfino il partito comunista: fu un’indagine della Cyberspace Administration of China a rivelare le responsabilità di Alibaba, sottolineando che la società aveva usato le sue attività di azionista «per manipolare l’opinione pubblica». A giugno la Cyberspace Administration of China ha pubblicamente rimproverato Weibo (e Alibaba) per quella che ha definito «un’interferenza con la comunicazione online» chiedendo «di correggere il proprio comportamento».

 

Pochi mesi dopo, a novembre, Xu Lin, vicedirettore del dipartimento centrale di propaganda del partito comunista cinese, denunciava l’interferenza politica di grandi aziende nel mondo dei media. Il riferimento era fin troppo chiaro, Xu Lin parlava del South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong che aveva dato grande risalto e copertura giornalistica alle proteste nell’ex colonia. Il South China Morning Post è di proprietà, al 100%, di Alibaba.

 

A questo proposito ad Alibaba sarebbe arrivato un altro avviso da parte del partito comunista, ovvero «snellire» le proprie partecipazioni in aziende che si occupano di informazione e comunicazione. Alibaba, infatti, ha interessi piuttosto diversificati in questo settore: oltre a Weibo e il South China Morning Post, Alibaba ha joint venture o partnership con potenti media statali come la Xinhua News Agency e gruppi di giornali gestiti dal governo locale nelle province di Zhejiang e Sichuan, oltre a piattaforme di live streaming come Youku e Tudou e aggregatori di notizie economiche, finanziarie e tecnologiche come Yicai Media Group, Huxiu.com e 36Kr.com.

 

Il timore del partito comunista è che la mole di dati raccolti grazie alle attività di e-commerce e la possibilità di influenzare l’opinione pubblica grazie alle partecipazioni «mediatiche» possano essere utilizzati da Alibaba in futuro o in un momento nel quale lo scontro con il Pcc diventasse una questione di sopravvivenza.

 

Ma secondo il Wall Street Journal l’«avviso» del Pcc potrebbe perfino convenire ad Alibaba: snellendo la propria struttura potrebbe accontentare le autorità e ritrovarsi in una posizione meno pericolosa da un punto di visto normativo in previsione della legge anti trust oltre a dimostrare di obbedire ai suggerimenti del partito (di cui Jack Ma è, per sua stessa ammissione, ha la tessera). Accettare di smembrare le sue partecipazioni azionarie «potrebbe anche aiutare a tenere la società alla larga da futuri campi minati politici dato che le autorità manterranno una presa stretta sui media».

 

In realtà, i media «toccati» da Alibaba hanno ampiamente goduto delle riserve economiche dell’aziende. Il South China Morning Post - ad esempio – dal 2016, data dell’acquisto della testata da parte di Alibaba, «ha ampliato la sua offerta di notizie digitali e la redazione e ha completato un restyling della sua sede di Hong Kong», secondo il Wall Street Journal, senza che la sua proposta giornalistica venisse mai ostacolata da Jack Ma. Proprio Jack Ma durante una conferenza organizzata dalla Xinhua, aveva specificato: «Non dobbiamo lasciare che i media perdano la loro capacità di comunicare in modo oggettivo e razionale a causa del denaro».

 

Anche in questo caso, come già capitato con Ant, Alibaba è stato il primo di diversi obiettivi del Pcc; oltre al colosso di Jack Ma, nel mirino sono finite anche altre aziende come ad esempio Tencent, la cui popolare app WeChat, insieme a Alipay di Alibaba, controlla oltre il 90% del mercato dei pagamenti online e il colosso di delivery Meituan, anch’esso sotto inchiesta. Per quanto riguarda Meituan, come sottolineato dai media nazionali, era stata in partenza la Guangdong Catering Service Association a criticare pubblicamente l’azienda per aver violato la legge antitrust «costringendo i ristoranti locali a prendere posizione» all’interno di un sistema nel quale la concorrenza si era fatta piuttosto animata: durante la pandemia, infatti, questo genere di servizi ha toccato grandi numeri di consegne e di conseguenza di incassi (e morti di riders nonché denunce di sfruttamento del lavoro).

 

Secondo l’associazione del Guangdong, Meituan avrebbe minacciato i ristoranti di rimozione dalla propria piattaforma se non avessero lavorato esclusivamente per l’azienda leader. Secondo alcuni esperti cinesi rispetto all’attività di e-commerce di Alibaba, la supervisione antitrust per quanto riguarda le piattaforme di consegna di cibo sarebbe più semplice «poiché la maggior parte dell’attività può essere chiaramente definita dalle regioni».

 

Ad aprile, l’autorità di regolamentazione di Shanghai ha dichiarato di aver multato la piattaforma di consegna di cibo locale Sherpa’s per aver abusato del suo potere di mercato». In precedenza – inoltre – alle piattaforme era stato chiesto di adempiere alle linee guida stabilite dall’imminente legge cinese sulla protezione dei dati personali che chiederà alle aziende di dotarsi di organismi indipendenti per «controllare la conformità alle normative sulla privacy», benché i parametri di quali aziende dovrebbero avere questa prerogativa siano ancora piuttosto vaghi e non ci siano specifiche chiare come ad esempio il numero di utenti necessario a far scattare questi obblighi.

 

Nella bozza in mandarino – però – è scritto molto chiaro che le aziende dovrebbero trattare i dati sulla base di due principi, il «consenso informato» e la «minimizzazione dei dati».

 

Al di là della questione legata ai monopoli, infatti, per la quale entra in azione la nuova legge anti trust, sono proprio i dati a costituire un grande motivo di frizione tra Pcc e piattaforme.

 

E per Ma Huateng, il boss di Tencent (un impero il cui core business è il mercato dei videogiochi), potrebbe valere la stessa richiesta fatta per Alibaba. WeChat, di proprietà di Tencent, infatti, è diventato ormai uno dei modi principali con cui i cinesi si informano e condividono informazioni. Stesso destino potrebbe toccare anche a Bytedance – la società che ha inventato Tik Tok – che, tra le altre cose, gestisce anche il popolare aggregatore di notizie Jinri Toutiao, che utilizza l’intelligenza artificiale per inviare notizie a centinaia di milioni di utenti. I tempi per le piattaforme in Cina sono talmente duri che qualcuno ha deciso di fare da sé: Huang Zheng, presidente di Pinduoduo - una delle piattaforme di maggior successo in Cina nel campo del delivery e di recente sotto attacco anche da parte di media statali per i ritmi di lavoro imposti ai suoi riders - ha annunciato le dimissioni con una lettera agli azionisti, nella quale ha anche comunicato che il suo successore sarà il co-fondatore e attuale Ceo Chen Lei. Chissà che Huang non abbia sentito puzza di bruciato visto l’attuale atteggiamento del governo contro le piattaforme. Huang ha fatto sapere che da ora in avanti si dedicherà alla ricerca scientifica nel campo agricolo.

Una sorta di auto-rieducazione nelle campagne 2.0?

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