La transizione cubana

di Roberto Livi, corrispondente dall’Avana

 

“È finita l’era dei Castro”. Unanime è stato il commento dei maggiori media internazionali alla conclusione dell’8° Congresso del Partito comunista cubano (dal 16 al 19 aprile). 

E, in effetti, con la rinuncia di Raúl a permanere primo segretario del Pcc, il cognome che per 60 anni è stato inscindibilmente legato a Cuba non compare più né al vertice del partito-stato, né nel governo dell’isola.

 

Non solo, assieme a Raúl sono andati in pensione gli altri “storici”, ovvero i dirigenti che avevano partecipato alla Rivoluzione vittoriosa nel 1959: Ramón Machado Ventura (ex secondo segretario del Pcc), il comandante Ramiro Valdés e il generale Cintra Frías (ex Ministro delle Forze armate rivoluzionarie, FAR), hanno lasciato il loro incarico nell’Ufficio politico del Pcc. Atri sono usciti dal Comitato centrale, in buona parte rinnovato (88 nuovi membri).

 

Si è dunque avviata la “transizione” verso una dirigenza militare-politico-governativa composta da personaggi nati dopo il 1959. La dirigenza impersonata da Miguel Díaz-Canel (nato nel 1961) che cumula la carica di primo segretario del Pcc e presidente della Repubblica. Si tratta, però, di una transizione che <avviene nella continuità>, ovvero col partito comunista che rimane <la forza politica superiore e dirigente della società e dello Stato> (art. 5 della Costituzione del 2019). 

 

La “transizione” avviene anche nel metodo di lavoro: più collegiale. Díaz-Canel cumula le maggiori cariche, è vero, ma nell’Ufficio politico del Pcc gli sono stati affiancati il primo ministro 

Manuel Marrero, carica creata da poco più di due anni, e due militari di peso: il nuovo ministro delle FAR, il generale Alvaro López-Miera (nonostante i suoi 78 anni) e il generale Luis Alberto López- Callejas, ex genero di Raúl e patrón del gigantesco conglomerato militare Gaesa che, secondo fonti ufficiose, controlla più del 60% dell’economia dell’isola, ma soprattutto (attraverso turismo, commercio estero e catena di distribuzione di vari beni di prima necessità) circa il 90% della valuta (dollari) che entra a Cuba. 

 

Insomma, Raúl Castro si è messo da parte –ma <col il piede nella staffa>, pronto a riprendere il comando- dopo aver messo ordine nel vertice politico-amministrativo affidando i ruoli chiave –economia, partito e sicurezza nazionale- ai “suoi” uomini, in buona parte militari o ex. Una misura questa, necessaria per far fronte alla difficile e pericolosa congiuntura che deve affrontare l’isola: una crisi economica drammatica resa più acuta dalla politica di strangolamento dell’ex presidente degli Usa, Donald Trump e mantenuta dall’amministrazione Biden, l’aggressività della nuova ondata di Covid-19, la pluralizzazione del tessuto sociale cubano e l’allargamento della frattura del consenso politico interno.

 

Un quadro da far tremare le vene e che – questa la tesi di Raúl Castro- deve essere affrontata da un vertice politico che, con la sua coesione, sappia sostituire il carisma dei Castro. 

 

La maggior parte degli analisti concorda che la sfida principale è l’economia: con le casse dello Stato drammaticamente vuote –si parla di una riserva che non supera gli 800 milioni di dollari-, con un embargo Usa rafforzato dalle 243 nuove misure imposte da Trump, con agricoltura e produzione di beni insufficienti per soddisfare le necessità della popolazione, il socialismo cubano deve essere in grado di incrementare la capacità produttiva del paese.

 

 <Non si può distribuire quello che non si crea o si produce>. <Per il Pcc è necessario ampliare la zona di legittimità del suo mandato con uno sviluppo economico dell’isola che lo giustifichi>. 

Sono questi i temi che ripetono analisti come López-Levy e economisti, come Juan Triana, Omar Everleny, Ricardo Torres. Per loro sono urgenti riforme economiche, che < devono essere profonde>.

 

Riforme che <sono in marcia>, come dimostrano le misure seguite al Congresso, sia nel settore agricolo (è stato cambiato il Ministro) che danno più spazio ai piccoli contadini privati -vendita di carne bovina (fino a poco tempo fa vietata) e latte con nuovi prezzi- e alle cooperative, sia nel settore industriale. In quest’ultimo, l’impresa di Stato rimane la spina dorsale, ma al settore privato (per ora ancora <lavoro per conto proprio>) è riconosciuto un ruolo di complementarietà in attesa della legge che dia personalità giuridica alle micro, piccole e medie industrie (MPYMES). 

 

La lotta è contro il tempo. La situazione che vive la popolazione è assai pesante, quasi drammatica. L’Ordinamento monetario –fissa la convertibilità del Peso cubano al tasso di 24 pesos per un dollaro Usa- in corso da gennaio per far ordine nell’amministrazione ha però prodotto un aumento dei prezzi molto superiore a quanto programmato. E, secondo l’opposizione, incontrollabile. All’inflazione si aggiunge la scarsezza di beni di prima necessità, fatto che obbliga la gran parte dei cittadini a lunghe code, esasperanti e pericolose in una fase di acutizzazione del Covid-19.

 

In aprile la curva dei contagi è schizzata in alto, più di mille al giorno con una media superiore ai tre morti quotidiani. Alla fine del mese il totale delle vittime ha raggiunto quota 700. E la situazione tende <ad essere sfavorevole> per la presenza delle mutazioni sudafricana, inglese e brasiliana molto più aggressive.

 

Il governo cubano ha deciso di non partecipare al programma Covax dell’Oms e di puntare sui cinque candidati vaccini nazionali –Abdala, Soberana 02 e 01, Soberana plus e Mambisa per far fronte alla pandemia. Non si tratta solo di dimostrare al mondo che un piccolo paese indipendente può sfidare il Big Pharma, espressione del capitalismo globale. Ma anche di una necessità: semplicemente nelle casse del governo non vi sono i soldi per acquistare vaccini.

 

Per questa ragione, più ancora che su una ripresa economica dai tempi difficilmente programmabili, il futuro del modello socialista cubano si gioca nelle prossime settimane sul successo o meno della campagna di “sperimentazione di massa” dei due sieri, Abdala e Soberana 02. Entrambi i candidati vaccini hanno concluso la fase III della sperimentazione e attendono, con ottimismo, la valutazione finale. I due sieri si sono dimostrati efficaci e a basso rischio. Come detto, la lotta è contro il tempo. Per questo è stato annunciato che dalla metà del mese di maggio inizia una vaccinazione sperimentale che prevede di coinvolgere, entro agosto, 1,7 milioni di abitanti dell’Avana ( su 2,2 milioni di abitanti e maggior focolaio dell’isola). Entro l’autunno si prevede che il 70% della popolazione di Cuba (11,2 milioni di abitanti) sia vaccinata.

 

Esperienze come quella italiana dimostrano che si tratta di uno sforzo gigantesco, specie per un piccolo paese che dispone di scarsi mezzi economici. E che deve affrontare una massiccia campagna ostile in rete da parte di un’opposizione esterna direttamente finanziata da varie agenzie degli Stati uniti.

 

In questo quadro è importante l’aiuto fornito al governo cubano per l’acquisto di siringhe e aghi per la vaccinazione sia da MediCuba Europa (Svizzera compresa) sia dalla stessa Ambasciata svizzera all’Avana. 

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