Il piccolo e il grande

di Paolo Favilli

 

Il Forum Alternativo è una piccola forza politica, operante in un piccolo Cantone di un piccolo Stato federale europeo. Eppure, anche in questo specifico ambito geo-politico, se ci consideriamo come elemento della ricostruzione di una antitesi globale ad una fase, altrettanto globale, di accumulazione del capitale, è possibile svolgere una funzione non provinciale.

Lo sguardo sulla dimensione «locale» cessa di essere «localistico» se pensiamo il piccolo come riduzione di scala, come momento di un sistema di relazioni molto ampio ed articolato. Sistema articolato, appunto, che risponde cioè alla medesima logica di fondo che, però, si manifesta in maniera diversa (spesso molto diversa) nelle differenti situazioni geo-politiche.

 

«Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia è infelice a modo suo», così recita l’incipit fulminante di Anna Karenina. Nel nostro caso sono le forme disuguali del dominio sul lavoro necessario all’estrazione di plusvalore in ambienti storici discordanti a determinare i «modi» dell’«infelicità». Non è la stessa cosa subire gli effetti della svalorizzazione del lavoro in un paese centrale della meccanica del capitale-totale, oppure in paese periferico. In un paese dove sono presenti alcuni gangli vitali della rete internazionale del comando, ed in un paese dove arrivano solo gli effetti ultimi di quel comando.

 

Anche nel primo caso, peraltro, possono convivere forme di dominio sul lavoro governate attraverso il filtro attutente di una relativamente lunga catena di mediazioni e forme di dominio immediato. Possono convivere la subordinazione del franchising e modi di sottomissione paraschiavile. Un complesso di rapporti la cui reale comprensione è possibile solo se pensiamo contemporaneamente la «parte» e il «tutto».

 

Il «piccolo» e il «grande» sono entrambi elementi della medesima dinamica di quello che è stato chiamato «realismo capitalista», cioè il «capitalismo assoluto» dell’attuale fase neoliberista, con la capacità di integrare continuamente il differente, la protesta, il trauma.

 

Il «capitalismo assoluto» è una realtà che, in tali termini, si manifesta per la prima volta nella storia dei due secoli e mezzo in cui questo modo di produzione è stato la caratterizzazione della seconda età contemporanea. Al «capitalismo assoluto» corrisponde la temperie di una capillare «alienazione totale». Di una capillare, pervasiva sensazione, convinzione, che non solo il capitalismo sia l’unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un’alternativa coerente.

 

Circola da tempo una storiella, ripresa dallo scrittore americano David Foster Wallace nell’ambito di un suo discorso tenuto per la cerimonia delle lauree al Kenyon College il 21 maggio 2005. La storiella narra di due giovani pesci che nuotano sereni e spensierati. A un certo punto incontrano un pesce più anziano proveniente dalla direzione opposta. Questo fa un cenno di saluto e dice: «Salve ragazzi! Com’è l’acqua oggi?». I due giovani pesci proseguono per un po’ finché, arrestandosi di colpo, uno guarda l’altro e stupito si domanda: «Acqua? Che cosa diavolo è l’acqua?»

 

Ed invece noi abbiamo bisogno di conoscere la composizione dell’acqua, la sue diverse salinità, le sue diverse temperature, il gioco delle correnti, i modi dell’osmosi tra il «piccolo e il grande». Nei modi di questa osmosi, infatti, sono riconoscibili elementi delle meccaniche, da quelle più profonde a quelle meno, che condizionano in nostri comportamenti collettivi tanto nei rapporti economico-sociali quanto nei modelli di vita che ne derivano.

 

La necessità di uno sguardo lucido e penetrante all’interno del «realismo capitalista» è certamente fattore indispensabile per la costruzione di un soggetto politico che, dopo la sconfitta epocale di tutte le antitesi consumatasi alla fine del XX secolo, possa tentarne, in forme nuove. la ricostruzione. I riferimenti teorici di cui abbiamo bisogno per «vedere di più», non devono però trasformarsi in gabbie dottrinarie, foriere di quel pullulare di settarismi litigiosi che accompagnano sempre le sconfitte storiche. Anche in questa nostra «piccola» realtà ci troviamo di fronte a manifestazioni del genere, che, se ragioniamo in termini non «localistici», nel senso in cui abbiamo finora argomentato, sembrano proprio del tutto anacronistiche.

 

Nello stesso tempo, è del tutto ovvio che ci muoviamo in una prospettiva radicalmente diversa rispetto a quella che hanno percorso, e stanno percorrendo, i partiti socialisti senza socialismo, causa non marginale dell’attuale stato di cose. Pure in questo caso, però, dobbiamo operare per distinzioni. In Svizzera, ad esempio, è opportuno tener conto delle differenze cantonali che caratterizzano il PS. Tener conto, inoltre, di quanto è maturato in alcuni ambienti di quel partito, peraltro assai minoritari, riguardo al nesso tra la tendenza continua al peggioramento dei diritti sociali dei subalterni in Ticino, in Svizzera, e le logiche generali dell’accumulazione del capitale. Ciò non significa, naturalmente, che nei confronti di tali positivi segnali dobbiamo intraprendere intese contraddittorie con la nostra ragion d’essere.

 

Teoria e non dottrina, concretezza invece che astrattezza. Solo su tale base è possibile pensare alla costruzione di un soggetto che assuma forme adeguate ai problemi che abbiamo di fronte. Una sfida con cui devono misurarsi tutti coloro che, ora impegnati politicamente in un universo frantumato, vogliano davvero imprimere un salto di qualità alle motivazioni profonde di questo loro impegno.

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