Per Luigi Snozzi

di Renato Magginetti

 

Sono stato fortunato. Sono fortunato. Nel 1973 arrivai a Zurigo con la mentalità del ginnasiale; di parlare con i prof, neanche l’idea. Nel laboratorio di modellismo capii che c’erano gli studenti del prof. Luigi Snozzi, quelli del prof. Aldo Rossi, e poi tutti gli altri.

A fine anno Raffaele Cavadini mi portò a vedere l’esposizione dei lavori degli studenti di Luigi. Una folgore.

 

L’anno dopo, studente del secondo anno, ormai «snozzino», seguivo tutte le sue conferenze del giovedì. Dopo alcune settimane, Stephan Mäder, studente di Luigi, anche lui «Schlifer», mi convinse a lavorare insieme agli studenti del suo “«atelier», dicendomi che ne avrei approfittato molto di più. Non si sbagliava. Progettavano Bellinzona. Luigi riusciva a far emergere le nostre idee e si capiva che si divertiva, si stupiva e ne approfittava molto anche lui. Questo ci stimolava molto.

 

A qualcuno l’ho già raccontato: capitava che suo papà, veterinario, qualche volta, anche di domenica, dovesse andare per una mucca in procinto di partorire, e ci portava tutta la famiglia vestita di festa. Più volte Luigi mi ha raccontato che, giunti sul luogo, il papà si toglieva la giacca, si rimboccava la manica della camicia bianca ed entrava con tutto il braccio nella vagina della vacca per aiutare il vitellino a nascere. In modo simile Luigi entrava nella testa di noi studenti per aiutarci a partorire le nostre inconsce intuizioni.

 

Per rispetto dell’amicizia non ho mai lavorato da lui; però, in occasione della prima fase del concorso per il nuovo Parlamento del Principato del Liechtenstein, passando per caso nel suo ufficio, mi accorsi che erano sotto pressione. Per due giorni mi adoperai su un particolare. Nella seconda fase del concorso Luigi risolse magistralmente quel particolare e vinse. Invitò tutto l’ufficio, me compreso, per tre giorni a Stoccarda. Il Weissenhof me lo ricordo benissimo.

 

Forse mi nascondo dentro l’architettura ma ho l’impressione che in questa ricerca c’è un dialogo che va nel profondo; oltre le parole, la capacità di cogliere l’espressione più vera, più intima di una persona. Questo nel mio confronto con Luigi.

 

Da tanto tempo Luigi era come un bambino al quale avevano tolto tutti i giocattoli (e non solo). Mi sentivo in imbarazzo quando, alla Casa per Anziani, gli parlavo dell’attualità, e peggio quando gli parlavo dei miei progetti. Allora ho deciso di lavorare sui suoi ricordi (la memoria è sempre l’ultima ad abbandonarci). Tanti ricordi. E spesso s’illuminava. Una volta gli ho chiesto quale fosse il progetto che ricordava con più interesse. La casa Martinelli, mi ha risposto secco. Si trattava di un progetto che ricordavo, che mi aveva affascinato. Mi piacerebbe mostrarvelo. Luigi mi ha raccontato da dove viene l’idea. Sai: le vecchie case nei nuclei avevano la latrina all’estremità del ballatoio.

 

Poi c’è il privato… e l’intimo, che: per sempre!

 

Grazie Luigi, mi hai insegnato e aiutato a cercare, sempre, la mia strada.

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