Solo l’iniziativa eviterà il disastro nelle cure infermieristiche

di Franco Cavalli*

 

Immaginiamo un attimo cosa sarebbe capitato se durante il lockdown l’Italia e le altre nazioni viciniore avessero precettato, come ne avevano diritto, il loro personale infermieristico che lavora da noi: il sistema sanitario svizzero sarebbe andato in tilt e avremmo avuto ancora molti più decessi.

Uno scenario simile potrebbe presentarsi, anche senza pandemia, tra 10-15 anni se non affrontiamo adesso con misure radicali l’ingravescente mancanza di personale infermieristico. È da anni che le associazioni professionali del settore, basandosi su una serie di studi e di sondaggi, hanno lanciato l’allarme: presto potrebbero mancare sino a 40.000 infermiere, dati confermati dal fatto che già ora sono più di 11.000 i posti di lavoro non occupati.

 

Ma il mondo politico ha sempre fatto spallucce. Quando poi il Consiglio nazionale per giochi politichesi di bassa lega ha rifiutato l’iniziativa parlamentare dell’UDC R. Joder, che già faceva le stesse richieste su cui voteremo il 28 novembre, l’Associazione svizzera delle infermiere (ASI) ha deciso di ricorrere al mezzo estremo: il lancio di un’iniziativa popolare, che in pochissimi mesi ha raccolto più di 130.000 firme. Ma ancora una volta il Consiglio federale ha mostrato di non capire la gravità della situazione, proponendo al Parlamento di rifiutare semplicemente l’iniziativa. Dopo interminabili discussioni, le Camere si sono poi perlomeno messe d’accordo su un controprogetto indiretto, che nella realtà dei fatti risolve però ben poco.

 

Vediamone il perché.

 

La Confederazione mette a disposizione dei Cantoni 469 milioni per formare più infermiere: i Cantoni, che devono poi metterci l’equivalente di tasca propria, non sono però obbligati a prelevare questi soldi a Berna. È una modalità simile a quella per i sussidi di cassa malati: e com’è andata a finire lì, lo sappiamo purtroppo tutti. Oltretutto poi per utilizzare questi fondi ci vorranno 26 legislazioni cantonali: si calcola che ci vorranno perciò perlomeno tre anni affinché i soldi vengano impiegati. Altro che soluzione molto più rapida di quella dell’iniziativa, come proclamano ora gli oppositori!

 

L’iniziativa richiede difatti che entro 18 mesi il Consiglio federale emani delle ordinanze ed il Parlamento dovrà legiferare al più tardi entro quattro anni, dove la soluzione più semplice sarebbe quella di promulgare subito quanto previsto dal controprogetto (ma obbligando i Cantoni ad agire) ed in un secondo momento affrontare poi le altre richieste dell’iniziativa. Sì, perché formando semplicemente più infermiere si risolve ben poco. Il nocciolo del problema è che nel giro di 12-13 anni quasi la metà abbandona la professione, perché sfinite dalle pessime condizioni di lavoro. Ecco perché l’iniziativa richiede un salario adeguato grazie a un contratto collettivo generale, ma soprattutto la definizione del numero minimo di infermiere che dovranno essere presenti in ogni reparto. Quest’ultima è la rivendicazione fondamentale, che migliorerebbe enormemente le condizioni di lavoro, ma anche la qualità delle cure elargite ai pazienti. Molti studi con svariate centinaia di migliaia di pazienti, eseguiti sia in Svizzera sia all’estero, hanno difatti dimostrato che aumentando in modo adeguato il numero delle infermiere presenti si diminuiscono drasticamente i decessi, le riammissioni, i decubiti e tutta una serie di altre complicazioni. E così facendo, quasi paradossalmente, si diminuiscono quindi anche i costi: su questo punto tutti gli studi sono univoci.

 

Se vogliamo garantirci quindi un numero sufficiente di infermiere quando ne avremo bisogno, non ci resta che votare sì.

 

 

 

 

 

* Franco Cavalli

copresidente associazione nazionale «Iniziativa Infermiere Sì»