«Solidarietà con i lavoratori della logistica!»

Il messaggio di Ken Loach al ForumAlternativo

di RedQ

Lo scorso 10 settembre il ForumAlternativo ha organizzato una serata sulla logistica in collaborazione con il Circolo del Cinema di Locarno.

L’evento è stato un successo: oltre 50 persone hanno assistito al dibattito animato dal prof. Nicolas Pons-Vignon (Supsi), il nostro Enrico Borelli ed un lavoratore Dpd delegato di Unia.

 

La testimonianza di quest’ultimo è stata a dir poco toccante: ha illustrato ai presenti quelle che sono le condizioni di lavoro che vigono in azienda e i cambiamenti portati dalla costruzione di un collettivo operaio Dpd. Grazie a quest’ultimo, si cominciano a registrare dei miglioramenti concreti e sempre più dipendenti dell’azienda sono consapevoli che attraverso l’azione collettiva si possono migliorare le condizioni di impiego. Enrico Borelli ha riferito in sintesi quelli che sono stati i passaggi principali della campagna sindacale promossa da Unia per il settore, che si è sviluppata attraverso un costante presenza nei diversi depositi aziendali. Nicolas Pons-Vignon infine è intervenuto su quelle che sono le condizioni quadro che reggono oggi il settore della logistica. Lo studioso ha tra le altre cose manifestato il desiderio di partecipare ad una delle prossime riunione del collettivo operaio.

 

Una serata che ha quindi permesso di costruire un ponte tra l’universo accademico ed il mondo operaio, passo fondamentale per le lotte sociali del nostro tempo.

 

La discussione ha poi lasciato spazio alla proiezione del film di Ken Loach «Sorry we missed you», che ha accolto un pubblico ancora più folto. Un film duro, un vero pugno nello stomaco che fotografa in modo molto nitido la realtà di bestiale sfruttamento vissuta da tutti gli operai della logistica. Lo stesso Ken Loach ha preparato un toccante messaggio apposta per l’occasione, rivolto a tutti i presenti in sala e più in generale alle amiche e agli amici del ForumAlternativo, che vi riproponiamo qui nella sua versione integrale.

 

 

 

«Grazie per aver programmato il nostro film, e grazie a tutti quelli che sono venuti a vederlo.

 

Quando le persone sono al lavoro, di solito nascondono i loro problemi. Per i lavoratori della gig economy, questo è ancora più vero. Gli impieghi stanno diventando sempre più insicuri. I lavoratori sono chiamati ‘indipendenti’, non impiegati. Questo significa che non ricevono indennità per le ferie e quando sono ammalati, e che il lavoro può finire in qualsiasi momento.

 

A volte il datore di lavoro non si impegna neanche a pagare un numero minimo di ore ogni settimana, così il lavoratore non sa quanto guadagnerà. Le persone vengono licenziate senza preavviso. Questo fa molto comodo ai datori di lavoro. Il lavoro viene aperto e chiuso come un rubinetto. Come può la gente pianificare la propria vita con una tale insicurezza? Non è un modo di vivere accettabile.

 

Abbiamo costruito i sindacati per proteggerci. Ma troppo spesso i leader di questi sindacati fanno accordi con i datori di lavoro, che lasciano i membri vulnerabili ed a rischio di povertà. Dobbiamo riorganizzare dei veri sindacati e, per porre fine a questo sfruttamento, dobbiamo essere sicuri che questi utilizzeranno la nostra forza collettiva come classe lavoratrice organizzata.

 

Ma torniamo ai protagonisti della storia nel film.

 

Papà è un autista, sedotto dalla propaganda di essere il capo di sé stesso. In realtà, è solo un lavoratore senza diritti. Ben presto si trova a lavorare dalla mattina presto alla sera tardi, indebitato perché ha comprato il suo furgone e costretto a lavorare anche quando è ferito o ammalato. Quindi un prigioniero nel suo furgone. Egli vede raramente la sua famiglia e non c’è quando sua moglie e i suoi figli hanno proprio bisogno di lui. Tutto ciò non può non creare problemi.

 

La madre è un’assistente sociale. La sua paga minima dovrebbe essere di 8,50 sterline all’ora – diciamo circa 10 euro. Ma non le viene pagato il tempo di trasferta, e quindi viene pagata forse per 30 minuti ogni ora – la metà quindi del minimo, un salario da fame. È una persona empatica, brava nel suo lavoro. Eppure deve occuparsi dei suoi figli per telefono, perché troppo spesso è lontana da casa.

 

Così la pressione all’interno della famiglia cresce, famiglia che avrebbe di per sé potuto vivere abbastanza tranquillamente. Il lavoro precario però è distruttivo, e spesso sono proprio le relazioni personali a soffrirne.

 

Spero che alcune parti della storia vi siano familiari. E spero anche che siate in grado di riflettere su come possiamo cambiare le cose per il meglio.

 

Una cosa è certa: affrontiamo tutti lo stesso nemico, le grandi multinazionali, e vinceremo solo se agiamo insieme, oltre i confini nazionali. La classe operaia è internazionale. Dobbiamo combattere insieme.

 

È una lezione semplice, ma raramente la impariamo.

 

Grazie ancora a tutti di essere venuti. Sarebbe stato un piacere conoscervi, magari un giorno…

 

Buona fortuna e, come diciamo noi, solidarietà!».

 

 

Ken Loach

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