In ricordo di Gino Strada

di Franco Cavalli

 

Gino Strada ci ha lasciati pochissimi giorni prima della conquista fulminea di Kabul da parte dei Talebani: l’accelerazione non prevista degli avvenimenti è stata facilitata da quella che ormai deve essere considerata come una fuga improvvisa dell’esercito americano dalle sue postazioni sul territorio afgano.

A Gino sono state risparmiate le immagini apocalittiche dell’aeroporto di Kabul, con centinaia di disperati che si aggrappavano agli aerei in partenza. Per fortuna non ha visto neanche le immagini devastanti del feroce attentato dell’ISIS, che ha fatto più di 200 morti tra coloro che aspettavano disperati negli scoli fognari che circondano l’aeroporto della capitale afgana. Se avesse potuto vivere tutto ciò, si sarebbe sentito nuovamente e ancor più rafforzato, se possibile, nella sua convinzione che le guerre non sono solo disumane e crudeli, ma soprattutto inutili. Famoso rimarrà il suo detto «non sono un pacifista, sono contro le guerre».

 

Probabilmente non sarebbe invece stato sorpreso da questo ulteriore segno dell’indebolimento del ruolo imperiale degli Stati Uniti, che come diversi osservatori hanno sottolineato, ormai non vincono più un conflitto armato dalla seconda Guerra Mondiale (eccezion fatta per l’invasione di qualche piccola isola caraibica come Grenada). Questa situazione li rende però probabilmente ancora più pericolosi: il fatto che l’unica vera supremazia che hanno ancora è quella militare, li spinge, nel confronto che hanno aperto con la Cina, verso quella che Fabrizio Tonello, grande esperto di Stati Uniti, nell’ultimo nostro Quaderno descriveva come una riedizione della famosa trappola di Tucidide. A dimostrazione di ciò, un Biden messo nuovamente alle corde dalle immagini di Kabul non ha trovato di meglio che di cercare di sviare l’attenzione degli Americani riproponendo la teoria dell’origine del Covid da un laboratorio di Wuhan. Di fronte a queste affermazioni, tutti abbiamo pensato alle famose prove della CIA sull’esistenza delle armi di distruzioni di massa da parte di Saddam Hussein. E Biden insiste oltretutto con i bombardamenti con i droni, che hanno già ricominciato a fare numerose vittime civili, compresi bambini: queste stragi di civili in questi ultimi anni sono una delle ragioni che spiegano la popolarità dei talebani nella loro opposizione agli invasori.

 

 

Ma torniamo a Gino: per sottolinearne il ricordo, approfondendo alcuni aspetti della sua attività, abbiamo intervistato Paolo Ferrara, infermiere formatore di EOC, che ha condiviso con Gino alcune esperienze in Afghanistan e che tutt’ora è membro di Emergency Ticino.

 

Quando esattamente sei stato a Kabul e per quanto tempo?

Sono stato a Kabul nel 2004 per 6 mesi, ero formatore coordinatore alla Scuola Superiore Specializzata Cure Infermieristiche della formazione infermiere in cure intensive ed era il mio sogno poter lavorare con Emergency. Avevo letto il loro progetto e ne avevo colto la visione formativa e la trasparenza finanziaria, oltre che ammirare Gino Strada per la sua autenticità e umanità. A Kabul avevano aperto la Terapia Intensiva da 8 mesi e serviva un profilo di formatore che sapesse l’inglese e capace di insegnare sul campo. Partii.

 

Quali sono stati gli avvenimenti che ti hanno più profondamente marcato durante questa tua esperienza?

La prima settimana dicono che «piangono tutti»: non sei pronto a vedere cosa significhi un corpo saltato su una mina e mutilato. E non sei pronto al silenzio dei bambini che non piangono, abituati da trent’anni di guerra. Si diceva «1 dollaro per mettere una mina, 1000 anni per toglierla»: quei bambini prendevano i loro drenaggi e andavano sull’altalena, insieme. Gli afghani hanno un mutilato in media per famiglia. È diventato normale convivere con l’incompletezza. Ricordo una partita a pallavolo in un momento di pausa ed Amin che si toglie la protesi e mi dice «è un po’ nuova e non riesco ancora a saltare bene, scusa se non faccio bene muro». La sera a cena ci cucinavamo dei piatti buoni, ci riprendevamo, ci conoscevamo, ci facevamo forza, ed arrivava la chiamata dal gate, ci risiamo, non eri solo al cancello, avevi gli altri dentro di te… In Afghanistan ci andai anche per trovarmi: è stato il posto in cui credo di essere stato presente a me stesso, sempre, connesso cuore cervello anima e attento agli altri compagni, anche in silenzio, in quello che io chiamavo il micro-pianto, tra un reparto e l’altro, di tristezza per l’ennesima vittima e di gioia per il sorriso ricevuto da un paziente guarito.

 

Di Gino, grande visionario politico, si dice che avesse un carattere duro ed irascibile. Come l’hai vissuto tu?

Gino era come lo vedevate. Autentico. Trasparente. Attento. Determinato. Deciso. Capace di confrontarsi su ogni cosa, se dentro i limiti della decenza. Riusciva a comprendere una persona in poco tempo, io dico un’ora. A indicarne i lati di forza e le criticità, entrambe come parte della persona, luce e buio naturalmente compresenti. Era facile da giudicare come duro o irascibile, certamente non sopportava l’ingiustizia verso i più deboli, soprattutto quando istituzionale. Gino era una di quelle persone che io dico mettono alla prova ciò in cui credi, ciò che senti e ciò che fai. Un uomo capace di essere leggero e scherzoso, profondo e spiazzante. Certamente una sua qualità potente era di saper ascoltare chi non la pensasse come lui, non per rispondere e liquidare ma per comprendere e riflettere, praticava il principio del conversare, trovare una strada nuova. Mi dispiace che non abbia trovato sempre davanti a sé persone all’altezza della sua sincerità e coerenza. Ha sempre creduto nell’umanità di ciascuno di noi, uno per uno. Ed Emergency è nata e si è sviluppata uno per uno grazie all’Umanità di tutti, per definizione l’insieme dei fattori positivi dell’essere umano, poco esplorati e sviluppati oggi.

 

Gino era particolarmente critico verso i politicanti e soprattutto quelli che si definiscono di sinistra, senza naturalmente esserlo. Famose le sue bordate contro le posizioni del PD sulla politica internazionale ed anche sull’Afghanistan. Hai avuto la possibilità di discutere con lui di questi aspetti?

Ricordo qualche discorso in momenti di pace nella casa internazionale di fronte all’Ospedale. Gino diceva che non credeva più in destra o sinistra, credeva negli uomini, nella loro integrità e umiltà. Si arrabbiava molto per come venivano date le notizie alla TV, amando il popolo Afghano, la loro sobrietà e presenza. Ed il rispetto che Emergency aveva conquistato da tutti, anche nel poter promuovere delle donne come Team Leader in ospedale, sapendo che fuori dalle sue mura la vita non era facile per loro oppure sapendo che molti di loro dovevano fare doppio lavoro per poter arrivare a fine mese. Si arrabbiava di brutto e noi con lui quando al gate ci portavano i pazienti gravi, cittadini afghani, i civili, le persone, i contadini, gli operai, che saltati su una mina nei pressi del compound ospedaliero militare internazionale (USA ed alleati che avevano dei campi-ospedale all’avanguardia con multiple sale operatorie, di tutto), erano stati letteralmente cuciti in strada e inviati da noi, poiché loro non potevano prendersi carico degli abitanti, una cosa che se aveste avuto davanti le facce che ho visto di queste persone sofferenti e sanguinanti, non credereste possibile tanta disumanità. Non ci credereste che si può dire «non mi riguarda». Gino non pensava mai alle persone come «ah che poverini, voglio aiutarli», lui pensava «devo aiutarli, dobbiamo aiutarli, è semplice e non serve porsi domande. È dentro il nostro essere esseri umani la risposta». Mi sarebbe piaciuto tanto poter mettere attorno ad un thè Gino Strada e Tiziano Terzani. Ed ascoltarli, crescendo. E portando ai miei figli un esempio di come si può decidere di vivere non solo per se stessi in questo mondo.

 

Secondo te, qual è il lascito principale che Gino ci ha tramandato?

A me è rimasto di lui l’esempio vivente che la visione umana e di cura di essere viventi che hanno bisogno, pensata e sognata e costruita da un piccolo gruppo di persone, diviene dono, luce per tutti, dove l’eccellenza è al servizio della dignità, diviene ricerca dei migliori esseri umani per realizzarla, i più competenti, diviene sostegno di altri esseri umani per mantenerla, diviene opportunità di crescita per i popoli che ne beneficiano, diviene attenzione agli aspetti formativi per accreditarla. Mi viene in mente la canzone «Ci vuole un fiore», in Gino quel fiore era nel suo cuore.

 

A te, Paolo, cosa rimane di tutto quello che hai vissuto a Kabul e di Gino?

Quando ho saputo della morte di Gino, piansi a dirotto, non potei fermare nessuna lacrima, a singhiozzo, come quando alla tristezza si aggiunge l’incredulità e la paura, la perdita di qualcuno di cui abbiamo urgente bisogno. Mi sono venuti in mente gli scherzi che facevamo a chi arrivava o andava, anche con Gino, anche a Gino, seguendo quella umana tragicomicità che abbiamo visto nel «La vita è bella» di Benigni. Gli Afghani non leggono più di un foglio A4, quindi impariamo a scrivere l’essenziale! Gli Afghani chiedono come mai abbiamo delle case dove mettere insieme tutti gli anziani anche che non si conoscono, dovetti prendere una sedia e provare a spiegare il nostro significato di case per anziani. Da loro gli anziani sono sacri e guidano le scelte della comunità. Sulla lavagna del reparto di cure intensive di Kabul, le infermiere e gli infermieri mi scrivevano, «guardaci, siamo migliorati? Abbiamo raggiunto le competenze che ci hai insegnato? Se pensi di si, allora indicaci il prossimo passo, noi vogliamo crescere e diventare i migliori curanti». Gino vide e valorizzò quella crescita, con un silenzio con un sorriso, con un «grazie Afghani, grazie Paolo». Grazie Gino! Io dico a me stesso e a voi: «guardiamoci, siamo migliorati dalle nostre esperienze?» Oggi a rispondere mi viene un no. Sono preoccupato per mia moglie e i miei due figli, abitanti di questo mondo, per chi amo, per gli esseri umani che sono certo potrebbero affrontare e risolvere tutto, partendo da un passo: chi ha bisogno va aiutato. E poi gli altri passi. A Kabul ho fatto quel passo con onore ed orgoglio, all’afghana, alla Gino Strada. Ora m’impegno a farlo qui. Con nel cuore, nelle mani e nello sguardo, te Gino e tutta la comunità umana di Emergency.

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