La Posta c’è… ma il servizio pubblico dov’è?

Riuscirà Christian Levrat a fare qualcosa di sinistra?

di Fabio Dozio

 

Pensionati traditi. La Posta ha deciso di tagliare i duecento franchi all’anno che elargisce ai suoi pensionati. Una misura di risparmio che syndicom, il sindacato dei dipendenti, ha stigmatizzato con una lettera inviata al CEO Roberto Cirillo.

«Se si confronta la spesa annuale per i buoni del personale con il reddito operativo di oltre 7 miliardi di franchi svizzeri e l’utile del 2020 di 178 milioni di franchi, – scrive il sindacato al CEO – è davvero incomprensibile che si scelga di risparmiare proprio sulle spalle delle pensionate e dei pensionati. Non c’è nessuna necessità economica che giustifica questa misura di risparmio se si guarda al risultato operativo della prima metà del 2021».

 

Comincia bene, a inizio dicembre, la presidenza del Consiglio d’amministrazione della Posta di Christian Levrat, già presidente del Partito socialista svizzero, ex consigliere agli Stati, ex sindacalista. Comincia con uno schiaffo al personale in pensione, che ha dedicato la vita professionale all’azienda. Vedremo se riuscirà a convincere Cirillo a tornare sulla sua decisione, come chiede syndicom.

 

Levrat è stato nominato dal Consiglio federale su proposta di Simonetta Sommaruga, responsabile del Dipartimento dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC), socialista ed ex presidente della Fondazione per la protezione dei consumatori.

 

Due pezzi da novanta del socialismo elvetico hanno in mano i destini della Posta, uno degli emblemi del servizio pubblico del Paese, ancora proprietà della Confederazione. Una volta si chiamava regia federale poi, nel 1997, vi fu una prima liberalizzazione dei mercati delle telecomunicazioni e delle poste. Nel 2009 un nuovo passo liberista, con una legge che ha trasformato l’azienda in società anonima. La proprietà è rimasta alla Confederazione, ma con l’indicazione di introdurre criteri di gestione privatistici e di massima redditività.

 

Sarà interessante e paradigmatico, politicamente, valutare quale sarà il risultato, per il servizio pubblico, di questa «gestione» socialista della Posta. Certo, Sommaruga deve fare i conti con le decisioni del Consiglio federale e Levrat con il Consiglio d’amministrazione. La coppia socialista riuscirà a frenare l’evoluzione liberista dell’azienda?

 

In gennaio il Consiglio federale ha proposto di privatizzare Postfinance, il settore finanziario dell’azienda e Simonetta Sommaruga si è adeguata sostenendo la misura. Postfinance appartiene alla Posta svizzera, ma è una società di diritto privato. È una banca zoppa, perché non può concedere crediti e ipoteche, una limitazione imposta da Berna per evitare di fare concorrenza agli istituti di credito privati. Il DATEC aveva proposto una semi privatizzazione, ma non è bastato, il Governo chiede una privatizzazione completa, scorporando Postfinance dalla casa madre per far nascere una vera e propria banca. Come se nel Paese sia necessaria una ulteriore banca privata! Il problema di fondo è che in questi anni gli introiti del ramo finanziario hanno permesso al servizio postale di compensare i costi della distribuzione delle lettere e la gestione degli uffici postali. Senza i milioni del settore finanziario, si strangola la Posta.

 

Altro tema caldo, la soppressione degli uffici postali. Ultima notizia in questo ambito è la proposta di trasformare l’ufficio di Locarno, nel prestigioso palazzo dell’architetto Vacchini, in un negozio di alimentari. Ma la lista degli sportelli chiusi o a rischio chiusura è lunga. Certo, gli uffici postali sono meno frequentati. La digitalizzazione è una realtà. C’è una pressione insistente per far desistere gli utenti che ancora vanno alla Posta con il libretto giallo per i pagamenti. Il Gran Consiglio del Canton Ticino, seguito da Vallese e Grigioni, aveva inoltrato a Berna, nel 2016, un’iniziativa che chiedeva in sostanza la difesa e il miglioramento della rete di uffici postali. Il Parlamento non ha dato seguito a queste richieste.

 

Una mozione ha chiesto di garantire il miglior funzionamento del servizio universale, cioè il raggiungimento delle zone periferiche, ma il Governo non ci sente, l’obiettivo principale è il risparmio. Commentando l’atto parlamentare il Consiglio federale afferma di essere «cosciente del fatto che il rimodellamento della rete postale possa incontrare resistenza presso la popolazione e l’economia ed essere percepito come uno smantellamento delle prestazioni del servizio universale. Riconosce inoltre che alcuni individui o regioni sono maggiormente toccati da queste misure». Ovvero: le cose non vanno bene, d’accordo, ma non le cambiamo, amen.

 

Stendiamo un velo sullo scandalo di Autopostale del 2018, l’azienda che si occupa del trasporto di passeggeri, ma non dimentichiamo. Scandalo che ha messo in rilievo come la sete di profitto possa portare su pessime strade, pratiche contabili fasulle per incassare indebitamente e illegalmente decine di milioni di franchi di sussidi. Altra novità, più recente, è la riduzione delle cassette postali, le belle bucalettere, scatole gialle di forme diverse sparse per il Paese. In Ticino, per esempio, delle mille cassette pubbliche della Posta solo un quinto viene svuotato la sera. La domenica è anche peggio: delle 14 mila cassette elvetiche solo 300 vengono svuotate. La Posta svizzera spiega che il volume delle lettere è diminuito dal 2002 del 40%, è quindi inevitabile che il servizio venga ridotto.

 

Questa misura si ripercuote anche sui tempi di consegna. La posta A, che dovrebbe essere consegnata nel giro di un giorno, non funziona più: se imbucate la lettera alle 9.05 del mattino verrà raccolta alle 9 del giorno dopo.

 

Nell’ambito della strategia «Posta di domani», negli ultimi mesi l’azienda ha acquistato diverse società che si occupano di comunicazioni o simili. Sono operazioni svolte senza trasparenza e anche per questo criticate in Parlamento. La Posta ha acquistato azioni di Bring, un’applicazione per acquisti per mezzo del cellulare: Tages Anzeiger stima un investimento di 25 milioni di franchi. Per Livesystems, un’azienda pubblicitaria che agisce online, sembra che l’investimento della Posta sia stato di 110 milioni di franchi. Ma al carrello della spesa della Posta vanno aggiunti altri oggetti: Swiss Sign, Klara Business, ditta di software, Tresorit, azienda specializzata nella condivisione di file per privati e aziende. Sono investimenti necessari o, comunque, remunerativi? O meglio, sono acquisti che migliorano il servizio pubblico della Posta? Secondo il CEO Roberto Cirillo sì. Per poter garantire i servizi di base della Posta senza sovvenzioni, sono necessari introiti supplementari, afferma. Cirillo spiega che nell’anno in corso circa 230 milioni di franchi verranno investiti in acquisizioni. Intanto, in Parlamento, c’è chi non ci sta: due mozioni chiedono regole più severe in materia di acquisizioni.

 

Quale futuro, dunque, per la Posta svizzera? Graziano Pestoni, economista ed ex responsabile per il Ticino del Sindacato dei servizi pubblici (SSP/ VPOD), nel suo stimolante volume sulla privatizzazione della Posta non ha dubbi: «Bisogna ristabilire il monopolio dei servizi postali. L’obiettivo della Posta svizzera non dovrebbe più consistere nel realizzare i migliori risultati finanziari, bensì nel soddisfare gli interessi dell’azienda». Si tratta di una proposta impraticabile con gli attuali equilibri politici nazionali. Ma è una rivendicazione fondata. Nel mondo sono decine le aziende ri-nazionalizzate negli ultimi anni. Intanto ci sono altri piccoli passi che si possono fare: per esempio cominciare a ristabilire il monopolio per la distribuzione dei pacchi che, a differenza delle lettere, è un settore in pieno sviluppo. Come suggeriscono gli autori di «Die Service-public-Revolution», Beat Ringger e Cédric Wermuth, la Posta può offrire i proprio servizi con criteri ecologici e sociali che i privati non danno. Un monopolio pubblico deve garantire buone condizioni di lavoro. La Posta può anche inventarsi nuove competenze, ma sempre nel rispetto del servizio pubblico e non nella ricerca dl profitto.

 

«Lo scopo del servizio pubblico – ha detto l’economista Sergio Rossi – non è quello di generare dei profitti a discapito del bene comune, ma di contribuire al bene comune anche se ciò comporta delle perdite finanziarie che devono essere assorbite dalle risorse fiscali dello Stato, ossia dell’intera collettività».

 

Il servizio pubblico deve essere una stella polare per la sinistra. Ce la farà il socialista Christian Levrat, assieme a Simonetta Sommaruga, a invertire il cammino liberista della Posta svizzera?

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