Come le banche distruggono il clima artico

di RedQ

 

La ONG Reclaim Finance ha pubblicato a fine settembre il suo rapporto annuale a proposito della situazione climatica nel Grande Nord, con particolare riferimento a quanto sta capitando a proposito dell’aumento vertiginoso delle perforazioni alla ricerca di petrolio e di gas. 

Questo rapporto è facilmente scaricabile sulla pagina web della ONG.

 

Reclaim Finance ha come scopo generale quello di far pressione sui governi affinché si raggiungano gli obiettivi previsti da Trattato sul clima di Parigi, ma in particolare raccoglie informazioni su quanto sta capitando nella regione artica. Questo è un territorio molto particolare e fragile, in cui si trovano ancora dei gioielli della biodiversità e che soprattutto ha un ruolo fondamentale nella regolamentazione del clima di tutto il pianeta. Proprio perciò si tratta una parte del globo che dovrebbe essere particolarmente protetta. E invece l’industria petrolifera e quella – anche se in minor misura – del gas si stanno scatenando, approfittando del fatto che lo scioglimento sempre più rapido della calotta glaciale rende più facile l’accesso a queste zone di per sé molto impervie.

 

Secondo il rapporto della ONG, al momento si contano nel Grande Nord quasi 600 campi petroliferi o dediti all’estrazione di gas, siano essi in funzione, in via di sviluppo o di scoperta. Se tutti questi pozzi dovessero entrare in funzione, Reclaim Finance calcola che consumerebbero da soli quasi un quarto della quantità di gas a effetto serra che non dovrebbe essere superata per evitare che il riscaldamento climatico non vada al di là della soglia dei 1.5°C, obiettivo principale dell’Accordo di Parigi.

 

Già ora la situazione è particolarmente drammatica in quanto nella calotta artica la temperatura media negli ultimi 20 anni è salita tre volte di più che nel resto del globo. Al di là delle emissioni dirette di gas a effetto serra, i giacimenti petroliferi e di gas generano dei depositi estremamente estesi di prodotti nerastri in superficie che perturbano profondamento quello che è il rapporto avuto da sempre da questi ghiacci con i raggi solari. Se tutti i progetti già realizzati o in corso dovessero continuare, la produzione di petrolio e di gas della ragione dovrebbe aumentare del 20% entro il 2026 e di più del 30% entro il 2030. Le principali imprese coinvolte in questa espansione sono Gazprom e Novatec (Russia), seguiti con un certo distacco da ConocoPhillips (Stati Uniti), Total (Francia), China National Petrolium Corporation (Cina), Equinor (Norvegia) e Japan Oil, Gas and Metal (Giappone).

 

Tutte queste informazioni sono contenute, oltre che nel rapporto molto dettagliato di Reclaim Finance, in un grande reportage pubblicato da Le Monde (24 settembre 2021), nel quale si riassumono gli argomenti principali della documentazione fornita dalla ONG. L’espansione di queste perforazioni non sarebbe possibile senza gli enormi investimenti da decine di miliardi di dollari da parte di oltre 120 banche. Tra il 2016 e 2020, queste 120 banche commerciali hanno fornito 314 miliardi di dollari alle 20 imprese più coinvolte nello sviluppo di nuovi progetti petroliferi e di ricerche di gas nell’Artico, anche se non è esattamente chiaro quanta parte di questo investimento sia finito in quella zona o in altre. Le banche più coinvolte sono GP Morgan Chase (Stati Uniti), VTB gruppo EBR Bank (Russia), Barclays (Gran Bretagna) e la Banca Gazprom (Russia – vi ricordate del coinvolgimento dell’ex-Cancelliere socialdemocratico (sic!) Schröder in Gazprom?). Nel riquadro che trovate qui sotto abbiamo riassunto i dati riguardanti le principali banche svizzere: questi dati ci sono stati forniti direttamente da una delle ricercatrici di Reclaim Finance, Alix Mazounie, che abbiamo contattato per ottenere più lumi al riguardo.

Nonostante le molte discussioni a livello internazionale per proteggere l’Artico, queste espansione continua ad essere possibile perché non c’è una chiara regolamentazione, neanche per quanto riguarda la definizione della zona da considerare come calotta artica.

 

Nell’articolo di Le Monde si sottolinea come 20 delle 30 principali banche coinvolte in questo sviluppo di produzione di energie fossili abbiano nelle loro dichiarazioni di intenti anche la protezione del Grande Nord. Ma molti di loro giocano appunto sui confini di questa regione: così per esempio la grande compagnia di assicurazione AXA, coinvolta nei finanziamenti, definisce come zona artica tutto quanto è a Nord del 70° parallelo, escludendo però il Mare di Barens, dove questa compagnia ha i suoi investimenti principali.

 

Molte delle banche, sollecitate da Reclaim Finance a prendere posizione, assicurano di voler investire soprattutto nella produzione di gas e meno in quella di petrolio, in quanto il gas sarebbe ad ogni modo preferibile all’uso ad esempio del carbone. A parte il fatto che la distinzione negli investimenti tra petrolio e gas è poco trasparente, Reclaim Finance sottolinea come secondo il rapporto dell’ONU pubblicato nel 2020 bisognerebbe ridurre la produzione di gas del 3% all’anno di qui al 2030 per sperare di poter limitare il riscaldamento globale a +1.5°C. Per cui questi investimenti sono comunque in contraddizioni con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

 

Come ricorda Alix Mazounie nel citato articolo di Le Monde, il mondo finanziario non deve assolutamente più finanziare le ambizioni di crescita dell’industria del petrolio e del gas nell’Artico, come in parte già avviene per il carbone. Secondo lei, «la nostra capacità a proteggere l’Artico è il test decisivo per la nostra capacità a proteggere tutto il pianeta».

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