Il modus operandi di Gcf

di Francesco Bonsaver

 

I vertici della Generali costruzioni ferroviarie (Gcf) sono indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano nell’ambito di un’inchiesta su infiltrazioni della criminalità organizzata nella manutenzione della rete ferroviaria italiana. Gcf è sotto inchiesta da tre anni anche in Ticino in relazione alle pessime condizioni di lavoro denunciate dalla manodopera impiegata alla galleria del Ceneri di AlpTransit.

Italia, Svizzera e Danimarca. Il filo che le unisce è che in tutti e tre i paesi sono state denunciate le condizioni di lavoro alla Generali costruzioni ferroviarie (Gcf) del Gruppo Rossi di Roma, attiva nella tecnica ferroviaria. Nel 2016, il sindacato danese 3F aveva denunciato, fatto inedito in Danimarca, la presenza di imprese collegate alla ’ndrangheta nella costruzione della rete metropolitana di Copenaghen e Aarhaus, seconda città danese dove si stavano costruendo delle nuove linee ferroviarie. Su quei cantieri era attiva la Gcf, ma stando alla denuncia dei sindacalisti danesi, quest’ultima avrebbe subappaltato parte dei lavori alla New World Construction e la Nicofer, controllate dalle famiglie Nicoscia e Giardino di Isola di Capo Rizzuto.

 

Intervistata dal giornale italiano Il Fatto Quotidiano, l’impresa della Penisola aveva negato che le due ditte operassero sui cantieri danesi, imputando a un equivoco d’interpretazione le fotografie scattate dai sindacalisti in cui apparivano una decina di operai con le magliette col logo delle imprese. I sindacalisti della 3F però portarono altri indizi sulla presenza delle due imprese, raccontando pure di un incidente sul lavoro occorso a un operaio che poi «è stato fatto scomparire prima che la polizia potesse interrogarlo, e stava lavorando nel tratto di binario dove lavora la New World Construction. Non abbiamo mai visto cose di questo genere» sottolineavano i sindacalisti, che aggiunsero come le decine di operai delle due ditte, in molti casi originari di Isola Capo Rizzuto, vivessero sotto minaccia. «Se non stanno zitti o si rivolgono a noi, sono licenziati» spiegarono i sindacalisti danesi.

 

La ’ndrangheta in carrozza

Facciamo ora un balzo temporale e geografico, atterrando in Italia lo scorso venerdì, quando è stata resa pubblica l’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano relativa alle infiltrazioni di cosche della ’ndrangheta nella manutenzione della rete ferroviaria italiana. Fra i 35 indagati figurano Alessandro e Edoardo Rossi, rispettivamente direttore e presidente di Gcf. Nelle carte dell’inchiesta, tra le varie ditte a cui ha fatto capo la Gcf per impiego di personale distaccato, compaiono anche le due imprese citate dai sindacalisti danesi.

 

Va specificato il fatto che, oltre alla presunzione d’innocenza per le persone inquisite, il Giudice delle indagini preliminari ha convalidato l’arresto di 15 persone, mentre ha rifiutato la misura cautelare per una ventina di indagati (tra i quali i fratelli Rossi di Gcf) giudicando insufficienti le prove acquisite. Dall’inchiesta risulta però lo storico legame di rifornimento di personale tra la Gcf e le società controllate dalle famiglie Giardino e Aloisio (imparentate tra loro), a cui la Procura milanese imputa i reati di criminalità organizzata.

 

La manodopera, reclutata in gran parte tra persone disoccupate del territorio d’origine delle due famiglie (Crotone), era retribuita 10 euro l’ora, ben inferiore a quanto previsto dai contratti nazionali. Ore straordinarie, ferie e oneri pensionistici erano sistematicamente elusi. Costantemente aggirate pure le norme di sicurezza sul lavoro, con «false attestazioni di corsi di sicurezza, false abilitazioni all’utilizzo di macchine operatrici di cantiere; operai senza la necessaria specializzazione per effettuare determinati lavori» si legge nell’ordine di custodia cautelare. Poiché le tutele contrattuali infortunistiche erano carenti, gli incidenti sul lavoro venivano “sistemati” a posteriori, come nel caso documentato di un operaio distaccato in un cantiere Gcf. Una vicenda simile a quanto denunciato in Danimarca. E anche in Svizzera.

 

Il capitalismo sociale mafioso

«Il pesce puzza dalla testa» spiega ad area Gianni Belloni, giornalista e direttore del Centro di documentazione ed inchiesta sulla criminalità in Veneto, Regione in cui opera la famiglia Giardino. «Per capire come la criminalità organizzata si sia infiltrata nella gestione della rete ferroviaria, occorre risalire alla decisione politica di affidare la manutenzione a pochi grandi gruppi in un regime di monopolio e al quadro normativo che disciplina l’uso dei lavoratori distaccati. La ’ndrangheta lavora dentro le regole del distacco, rispondendo alla domanda dei grandi gruppi imprenditoriali fornendo loro manodopera in tempi rapidi e utilizzabile la durata del cantiere». Una sorta di agenzia interinale, insomma. «La criminalità organizzata, oltre al guadagno economico, trae un altro profitto. Dando lavoro alle persone dei suoi territori, mira a garantirsi un consenso sociale».

 

La vergogna di AlpTransit

Veniamo ora alla Svizzera, dove Gcf vinse l’appalto di tecnica ferroviaria del Ceneri AlpTransit presentando un’offerta inferiore del 30% rispetto al consorzio svizzero-austriaco concorrente, il cui ricorso nel 2015 fu respinto dal Tribunale federale. Terminati i lavori nel 2018, una decina di operai sostenuti dal sindacato Unia, denunciarono una lunga lista di abusi. Giornate lavorative infinite (fino a 24 ore consecutive), lavoro ininterrotto per una ventina di giorni, richieste a posteriori di restituzione dei soldi guadagnati in Svizzera, assenza di permessi per guidare macchinari e indizi di caporalato. Testimonianze raccontarono di un infortunio sul lavoro mai denunciato dall’azienda.

 

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L’inchiesta giornalistica andata in onda nella trasmissione Falò alla Rsi (4 aprile 2019) rivelò all’opinione pubblica le pessime condizioni di lavoro segnalate dagli operai nel cantiere AlpTransit. Con grande coraggio, l’operaio Fouad Zerroudi raccontò al pubblico ticinese quanto lui e i suoi colleghi avessero subito in quel cantiere. Le condizioni descritte erano molto simili a quelle denunciate a suo tempo in Danimarca e ora riscontrabili nelle carte dell’inchiesta italiana.

 

«Ho la coscienza pulita per aver detto di no a un sistema che trattava l’operaio da schiavo. Voglio pensare di aver fatto bene a denunciare, a rivolgermi alla giustizia svizzera» disse l'operaio in televisione. Di certo non può dirsi soddisfatto della celerità della giustizia ticinese. L’inchiesta condotta dal procuratore Andrea Gianini non si è ancora conclusa a tre anni di distanza. E la chiusura non sembra imminente. «Il procuratore non ha ancora ascoltato la controparte e tutti gli operai da noi segnalati che si sono resi disponibili per dare la loro testimonianza. Evidentemente i tempi della Procura sono lunghi, come spesso accade in relazione a dei reati ipotizzati nell’ambito di contesti lavorativi» commenta Igor Cima, segretario di Unia Sopraceneri che segue la vertenza fin dall’inizio. Complessivamente, gli ammanchi dovuti agli operai sono stati stimati in concerto con l’ispettorato del lavoro a 3,5 milioni di franchi.

 

Fouad, intervistato da area, rivolse un accorato appello agli organi di controllo sui cantieri. «Se svolgete bene il vostro compito, non avremmo queste situazioni. Non è compito dell’operaio denunciare. Se i controlli son ben fatti, si evita di mettere l’operaio in una brutta situazione. Quando denunci, sai che dovrai lasciare quel posto di lavoro e avrai davanti un futuro incerto. I controlli preventivi consentirebbero a tutti di lavorare in pace, operai e aziende, senza costringere nessuno a dover scegliere se denunciare, con tutti i rischi connessi, oppure continuare a subire in silenzio».

 

La denuncia operaia ebbe delle conseguenze, almeno a livello di società civile. Costruzione Ticino, organizzazione che raggruppa associazioni padronali e sindacali ticinesi attive nell’edilizia, scrisse a fine 2019 una lettera alla consigliera federale Simonetta Sommaruga, titolare del Dipartimento federale dei trasporti col fine di «scongiurare il ripetersi di quanto accaduto nelle opere di armamento ferroviario alla galleria del Ceneri AlpTransit deliberate a Gcf di Roma». In vista delle importanti delibere per il secondo tunnel autostradale del Gottardo, Costruzione Ticino invitava il committente federale a prendere le dovute precauzioni, in particolare evitando di considerare nella gara «unicamente il minor prezzo» come accaduto per il Ceneri, prediligendo invece criteri che premiassero la migliore offerta anche dal punto di vista qualitativo e di rispetto dei lavoratori.

 

Gcf partecipò effettivamente all’appalto del Gottardo, presentando un’offerta che ammontava alla metà di quella più elevata. Unia scrisse una seconda lettera a Sommaruga, segnalando il pericolo. Al termine della gara, l’appalto fu dato a un altro concorrente nonostante avesse presentato un’offerta più elevata del gruppo italiano.

 

Gcf sta comunque lavorando in Svizzera, nei lavori di costruzione della metropolitana di Losanna. Unia e committente hanno imposto loro un accesso stretto a delle puntuali verifiche. Ad oggi, non sono emerse irregolarità nella “sorvegliata speciale”.

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