La guerra di Putin

dal nostro corrispondente a Mosca Yurii Colombo

 

La guerra scatenata da Putin la scorsa notte in Ucraina è da annoverare tra quegli eventi che cambiano il corso della storia. Non si tratta più ormai evidentemente solo dell’Ucraina, ma di una sfida su scala mondiale di cui se ne inizierà a capire la portata e le conseguenze.

 

Ciò risulta chiaro dal discorso televisivo di Putin mandato in onda all’alba di giovedì e registrato qualche giorno fa e che i russi sia coloro i quali sostengono l’azione militare, sia coloro che l’avversano, hanno seguito con preoccupazione .

Si è trattato infatti di un discorso durato oltre venti minuti in cui la questione ucraina è stata toccata solo incidentalmente e ha riguardato soprattutto le relazioni internazionali della Federazione con l’Occidente nel suo insieme e con gli Stati Uniti in particolare.

“Gli accordi precedenti – ha sostenuto un Putin evidentemente in stato ansioso - non sono più effettivamente in vigore. I tentativi di persuasione e le richieste non aiutano.

Tutto ciò che non soddisfa i poteri egemoni viene dichiarato arcaico, obsoleto e non necessario. E viceversa: tutto ciò che sembra vantaggioso per loro viene presentato come la verità ultima, fatta passare a tutti i costi, sgarbatamente, con tutti i mezzi. I dissidenti vengono messi in ginocchio.

 

Quello di cui sto parlando ora non riguarda solo la Russia e non solo noi. Riguarda l'intero sistema di relazioni internazionali, e talvolta anche gli stessi alleati degli Stati Uniti. Dopo il crollo dell'URSS, iniziò effettivamente una ridefinizione delle sfere di influenza del mondo, e le norme stabilite del diritto internazionale - e quelle chiave, fondamentali, furono adottate dopo la seconda guerra mondiale e ne consolidarono in gran parte i risultati – hanno iniziato a ostacolare coloro che si dichiaravano vincitori nella guerra fredda”.

 

Quando rozzamente Joe Biden sintetizza che il presidente russo intende “ricostruire l’URSS” appare rappresentare in realtà il tentativo di una potenza politica economicamente e socialmente declinante di cercare di riaprire la contesa interstatale su scala mondiale direttamente in chiave militare, con la “continuazione della politica con altri mezzi” avrebbe detto Von Clausewitz.

Ma forse più dell’Urss la mente dovrebbe andare all’impero zarista visto che oggi la Russia non può rappresentare un polo d’attrazione per grandi masse di lavoratori e movimenti di liberazione nazionale.

 

Forse nessuno davvero però poteva prevedere – soprattutto nelle cancellerie europee - che avrebbe realizzato una svolta così repentina (ma anche costruita nei minimi dettagli).

 

Nel suo discorso lo “Zar” ha sostenuto alcune cose condivisibili sui pericoli dell’allargamento della Nato che hanno accresciuto sempre di più, il sospetto russo; sull’idea neocolonialista di giungere nel tempo a controllare le grandi risorse e le materie prime di cui è ricchissimo il paese, il ruolo devastante giocato dagli americani in Afghanistan e in Iraq nello scorso ventennio. Tuttavia i tempi e i modi di come si va profilando la guerra su vasta scala fanno presumere che – magari inconsciamente – il gruppo dirigente del Cremlino sia giunto alla conclusione che i cambiamenti dei rapporti di forza sul piano commerciale, economico e politico non siano più possibili per la Russia. Che l’unico modo per reggere la durissima battaglia della globalizzazione sia quella di far pesare il proprio arsenale militare.

 

Come un mantra ieri il portavoce di Putin Dmitry Peskov, ha continuato a ripetere che “è in corso non una guerra ma un’operazione militare per denazistificare l’Ucraina” e che tale “scelta è risultata inevitabile”. Ma viene da chiedersi se e perché l’Ucraina (che ha per inciso dei grossi problemi di influenza politica e ideologica di forze neofasciste) debba essere devastata, la sua popolazione umiliata e costretta alla fuga un po’ in tutta Europa solo ora, a distanza di ben 8 anni dai tragici avvenimenti di Piazza Maidan. Risulta ora evidente che il Donbass, ormai già da tempo annesso de facto alla Russia, sia stata solo un pretesto. A Mosca, con una certa sicumera, i deputati della Duma sostengono che Putin abbia previsto ogni mossa comprese le sanzioni più devastanti e un possibile allargamento della guerra in Europa.

 

Secondo il settimanale Expert – fino a qualche tempo fa semi-liberal e ora allineato alle posizioni del governo – l’intenzione del capo del Cremlino sarebbe quella di “mettere fuori gioco le forze militari dell’avversario” per poi ritirarsi nei confini del Donbass. Si tratta di un’ipotesi probabilmente studiata accuratamente a tavolino ma che può prevedere anche l’installazione di un governo fantoccio a Kiev che però necessiterebbe comunque un controllo del territorio.

 

Le cose non appiano così lineari come le si stanno mostrando nei martellanti programmi di tutte le Tv russe, i quali stanno cercando di nascondere l’altro lato della medaglia. L’inizio delle operazioni belliche ha provocato un vero e proprio terremoto finanziario in Russia. Di fatto la Borsa di Mosca non esiste più. I titoli guida energetici sono demoliti, quelli bancari a partire da Sberkank e VTB al collasso. VTB ha annunciato che le proprie carte di credito non funzionano più all’estero e mestamente in un comunicato chiede ai propri clienti di “procurarsene delle altre”. I bancomat già nella prima mattinata di guerra non permettevano la possibilità di ritirare valuta straniera. Il rublo perde, si avvicina a quota 100 contro euro ma non crolla ma solo grazie alle nutrite iniezioni di valuta Usa e europea sul mercato russo. Le ulteriori sanzioni inizieranno a farsi sentire già dai prossimi giorni. Il rischio incombente è che l’economia russa si trasformi in un’economia di guerra spingendo nel vortice del militarismo estremo anche l’Europa.

 

Mentre scriviamo il quadro dello scontro militare è ancora poco definito. Marjupol e Karkov, nelle zone orientali del paese non sono state ancora prese dai russi anche se la resistenza delle truppe ucraine appare limitata senza una seria copertura aerea. La sensazione è che l’idea del presidente russo sia quella della blitzkrieg per poi poter tornare ai tavoli dei negoziati tra qualche mese, calmati gli animi. Per questo la sua, ora, è una lotta contro il tempo. Deve sconfiggere rapidamente il flaccido esercito ucraino e ogni tentativo di resistenza anche in chiave terroristica (a proposito la metrò di Mosca risultava meno affollata del solito) per rinchiudersi poi in una situazione semi-autarchica, facendo perno su una compiacente Cina.

La sua valutazione è anche che i paesi europei – proprio come nel 1938-39 – resteranno intimiditi e inetti.

 

Può darsi anche che l’operazione – complessa a dire il vero – riesca. Ma le macerie - non solo materiali - nei rapporti internazionali sono di misura incommensurabile, per certi versi definitiva almeno fino quando Putin resterà al potere. Ci sono alcuni paesi come la Moldavia che possono temere per la propria indipendenza già nelle prossime settimane e altri che ormai l’hanno persa definitivamente come la Bielorussia, trasformatasi ormai in una pure e semplice base logistica per l’assalto all’Ucraina. C’è poi la completa distruzione delle relazioni umane e familiari tra due popoli slavi se non proprio fratelli, sono almeno cugini stretti. Due popoli che hanno condiviso la storia grande e tragica dell’Urss lungo 70 anni di storia. Relazioni già fortemente compromesse è vero dal colpo di stato ucraino del 2014 ma che ora sono destinate a non incontrarsi più nel futuro.

 

Che la pistola caricata di Putin sia una roulette russa che può portare nel baratro se ne sono accorta parte dell’opinione russa più avveduta che si raccoglie nei vari filoni dell’opposizione. Ieri sera malgrado fosse stato comunicato che non sarebbe stato possibile manifestare molte migliaia di persone sono scese in piazza per dire un semplice no, un no alla guerra. A cominciare da Irksuk fino a Ekaterinburg, da San Pietroburgo a Mosca, tanti russi soprattutto giovani, hanno sfidato i divieti del Ministero degli interni per protestare. Sono stati oltre 2000 i fermi che purtroppo in parte si trasformeranno in arresti e condanne penali. Anche molti intellettuali russi stanno alzando la voce contro la spirale bellicista. Gli scrittori Boris Akunin, Dmitriy Bykov, Dmitriy Glukhovsky, Mikhail Zygar, il drammaturgo Ivan Vyrypayev, l'attrice Chulpan Khamatova e altri artisti hanno chiesto la fine dell'azione militare. La guerra che la Russia ha lanciato contro l'Ucraina è una vergogna", hanno detto in una dichiarazione congiunta, "è una nostra vergogna, ma purtroppo anche i nostri figli, una generazione di russi molto giovani e non ancora nati, dovranno portarne la responsabilità. Chiediamo a tutti i cittadini russi di dire no a questa guerra”.

 

Forse è vero che - pur a diversi livelli – la maggioranza dei russi ha approvato la scelta di Putin ma gli umori dell’opinione pubblica possono cambiare rapidamente. Putin dovrebbe saperlo visto che parla spesso di storia patria: nel 1914 milioni di russi andarono festanti verso il fronte e sappiamo poi come le cose finirono. Ieri come allora una parola decisiva la potranno dire i popoli a est come ovest che rifiutano la logica dei blocchi, dei nazionalismi, delle cannoniere, del sangue.