FAME E REPRESSIONE IN RUSSIA

di Yurii Colombo, corrispondente da Mosca

 

Se la messe di sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea dopo l’invasione dell’Ucraina colpirà gli oligarchi del Cremlino e le grande imprese energetiche - pilastri fondamentali dell’economia della Federazione - avranno però un effetto devastante anche per la stragrande maggioranza dei cittadini comuni russi, ben poco colpevoli dell’avventura decisa da Putin il 24 febbraio scorso.

 

Già da lunedì per effetto del blocco delle esportazioni di giganti del carbone e dell’acciaio come Severstal e di gran parte del sistema bancario, il rublo ha conosciuto la più pesante svalutazione della sua storia. Cambiato a 80 contro l’euro solo pochi giorni prima dell’inizio del conflitto, ora ci vogliono 135 rubli per acquistare un solo euro, malgrado la banca centrale russa abbia iniettato sul mercato valutario già 12 miliardi di dollari per frenare il crollo. Una svalutazione di quasi il 100% che avrà una ricaduta catastrofiche sulle condizioni dei lavoratori.

 

Essendo l’economia russa votata all’importazione di gran parte di prodotti finiti compresa una parte dei prodotti alimentari, il crollo della divisa nazionale inciderà sin da subito sul paniere di prodotti acquistabile dalle famiglie. Per non parlare dei pensionati che ricevono, secondo i dati ufficiali, assegni mensili medi di 13-14.000 rubli al mese: rischiano letteralmente di morire di fame. Il governo ha promesso all’inizio della settimana interventi per calmierare i prezzi che però ora non si sono visti. Nei supermercati manca lo zucchero, il riso e la pasta. La gente – soprattutto le fasce più deboli della società – stanno facendo incetta di tutti i prodotti di prima necessità.

 

Secondo la Confcommercio russa la presenza nei bar e nei ristoranti della popolazione si è ridotta in una settimana del 72%.

 

Già da lunedì la gente si è riversata agli sportelli bancomat che forniscono valuta pregiata per cercare di liberarsi al più presto dei rubli. Venerdì sera risultavano senza dollari o euro tutti i bancomat della banca Tinkoff mentre già da mercoledì Sberbank – la più grande banca del paese - ha smesso di vendere valuta pregiata nelle sue filiali. Così i russi fanno anche incetta di rubli perché temono che alcune banche come Alfa Bank, falcidiate dalle sanzioni, possano impedire prelevamenti significativi dai conti correnti.

 

Ieri è stato anche l'ultimo giorno di attività per la svedese Ikea a San Pietroburgo e Mosca. Tutti i mobili dei magazzini sono stati svenduti con il 70% di sconto e un’enorme massa di persone si è riversata nei suoi negozi per liberarsi alla meglio degli inflazionati rubli che presto potrebbero trasformarsi in carta straccia. Centinaia anche qui i posti di lavoro andati in fumo.

 

I russi sono purtroppo abituati a violenti sbalzi della loro moneta. Già durante la perestrojka prima e poi con il disastroso default dell’estate del 1998 hanno visto andare in fumo i loro risparmi, ma questa volta le sanzioni sono qui per restare a lungo e – secondo quanto sostengono gli economisti – i loro effetti sprigioneranno tutto il loro carattere distruttivo tra 3-6 mesi. Il disfacimento del rublo avrà un effetto diretto sulla salute della popolazione, visto che la stragrande maggioranza delle medicine (più del 70%) sono di importazione francese, italiana, tedesca e svizzera. Il loro rincaro impedirà a molti russi di potersi curare dignitosamente, visto che tutti i prodotti farmaceutici non vengono passati dal sistema sanitario nazionale. Si sta già assistendo a dei ritardi nella fornitura di un certo numero di farmaci, associati a problemi di trasporto e logistica, ha detto Viktor Fisenko, vice capo del Ministero della Salute della Federazione Russa.

 

Il rischio per il “sistema paese” è anche la fuga dei “cervelli” – ingegneri e tecnici – del settore dell’IT che potrebbero passare a lavorare per aziende occidentali per salari a questo punto inevitabilmente superiori. Per questo – alla disperata – Vladimir Putin ha annunciato un decreto straordinario indirizzato nei confronti di questi lavoratori assicurando che i loro salari saranno aumentati, oltre a proporre la possibilità di mutui per l’acquisto di appartamenti a condizioni vantaggiosissime.

 

Gli effetti distruttivi delle sanzioni dal punto di vista occupazionale, sono già cruda realtà. Dal 4 marzo la compagnia aerea “S7” ha cancellato tutti i voli internazionali (anche quelli in aree del mondo dove i cieli restano aperti) e buona parte di quelli nazionali e già si parla di bancarotta. “Aeroflot” – la compagnia di Stato – ha visto cancellate buona parte delle rotte internazionali e sarà costretta a ridurre gran parte dei voli anche perché sin da subito non riceverà più i pezzi di ricambio dei Boeing. La low-cost “Pobeda” è invece sicuramente votata al fallimento visto che tutta la sua flotta era a leasing con una società finanziaria irlandese che ora ha deciso di risolvere unilateralmente i contratti. Si tratta della perdita di migliaia di posti di lavoro che avranno un effetto anche sul turismo e sull’indotto.

 

Mercoledì è arrivata poi una vera e propria mazzata sul comparto automobilistico. La storica fabbrica della Volkswagen ha chiuso i battenti lasciando a casa 3500 lavoratori. La Porsche tedesca ha deciso di chiudere la propria fabbrica di Kaliningrad. Fuori dal mercato russo anche Nissan, Bmw e Austin, tutte vetture costose di grande cilindrata molto amate dai “nuovi ricchi” russi che però determinerà anche un disastro per gli operai che lavorano in quelle aziende. Anche la Autovaz, la più grande fabbrica automobilistica di Togliatti (città sul Volga chiamata così in onore al segretario del PCI), con un laconico comunicato ha lasciato a casa i suoi operai fino a data da destinarsi.

 

In questa situazione, continua instancabile la mobilitazione dei giovani russi contro la guerra. Sono già oltre 9 mila i fermi di dimostranti eseguiti dalla polizia da quando è iniziata la guerra. Inoltre per 300 di loro è scattato l’arresto amministrativo e per qualche decina si prospetta il processo penale e il rischio di pesanti condanne. Ma il baratro della dittatura è già un fatto in Russia. Molti giornali e siti internet di opposizione sono stati chiusi d’imperio e altri – come Novaya Gazeta del premio Nobel per la pace Dmitry Muratov – hanno accettato, sotto ricatto, di non pubblicare più notizie attinenti alle operazioni belliche in Ucraina. E il partito neofascista di Vladimir Zirinovsky ha presentato alla Duma, il parlamento russo, una proposta di legge con cui si propone di mandare in guerra nel Donbass chi viene arrestato durante le manifestazioni no-war.