Q36 L'editoriale (14.02.2022)
A poco più di un anno dal prossimo importante ciclo elettorale, il cantone presenta un panorama scoraggiante. Partiamo dalla politica. Il nostro titolo è esagerato, visti gli sprazzi positivi registrati ultimamente con la riuscita dell’iniziativa sul salario minimo e del referendum contro i tagli alla spesa pubblica? Forse.
Ma non si può dimenticare che ci sono volute delle vere e proprio provocazioni – come i contratti collettivi accettati da TISIN e la genuflessione della maggioranza del Gran Consiglio di fronte alle elucubrazioni neoliberiste di Morisoli – per spingere la sinistra e i sindacati a questa reazione.
Se poi si dà un occhiata al panorama partitico, c’è poco da stare allegri. L’estrema destra (UDC e Lega), a colpi di fake news e di demagogia, assume bene il ruolo che da sempre il capitalismo ha riservato a queste formazioni: quello di ruota di scorta autoritaria da impiegare quando le regole soft della «democrazia» liberale non bastano più ad assicurare il dominio borghese (gli esempi estremi dei fascismi del secolo scorso, da Mussolini a Pinochet, dovrebbero far riflettere). I liberali (i radicali si sono oramai estinti) guidati dal presidente Speziali si posizionano sempre più su posizioni UDC-light di masoniana memoria. Un trend confermato, per chi avesse bisogno di altri esempi, dalla delirante sceneggiata contro l’abolizione dei livelli delle scuole medie: ogni passo verso una democrazia anche solo un po’ più ugualitaria fa orrore a lor signori. Il PPD, in chiara crisi, ha perso la bussola e sposa una linea politica indecifrabile (sempre che ne abbia ancora una): si va da posizioni filoleghiste a sprazzi di blande proposte cristiano-sociali, passando da declamazioni tipiche di un conservatorismo vallerano.
Nei Verdi sembra essere tornata una certa confusione: mentre in Ticino la loro traiettoria ha abbandonato le certezze del 2019 per diventare ondivaga e di difficile lettura, a livello nazionale le loro posizioni si avvicinano sempre più a quelle dei Verdi liberali (l’alleanza con Operazione Libero per l’adesione all’UE è tutta un programma). L’auspicio è che riescano a riconoscere appieno che le necessità ambientali non possono essere disgiunte da quelle sociali.
Per quanto riguarda il PS, non c’è dubbio che i due presidenti si stiano dando parecchio da fare per moltiplicare le iniziative politiche e dare un’immagine più di sinistra al partito. Non è però chiaro se e quanto le sezioni locali li seguano (Lugano docet!) e il partito resta ancora legato alla tradizionale linea della governabilità di martinelliana memoria. Particolarmente eloquenti in questo senso sono i rumors che parlano di un ritorno in corsa di Bertoli.
Purtroppo neppure la sinistra radicale scoppia di salute. Il nostro tentativo di abbattere gli steccati tra i vari gruppi per incamminarci verso un processo di fondazione di un nuovo soggetto politico per ora non ha avuto gran successo, per usare un eufemismo. Proprio per questa ragione stiamo riflettendo a fondo sulle nostre scelte politiche per il prossimo futuro, che troveranno spazio nel prossimo numero dei nostri Quaderni.
Discorso a parte merita l’MPS, che sul tema dei livelli delle scuole medie, come fu già il caso per le congiunzioni elettorali, si è distinto per uno sconsiderato settarismo d’altri tempi, che ogni volta serve solo da stampella al dominio borghese.
Se allarghiamo il discorso al panorama mediatico, l’unico lumicino in un buio pesto è rappresentato dalla nuova direzione della Regione, sicuramente più aperta ad un discorso critico sulla realtà ticinese, per quanto sempre in ottica liberale-radicale. Pesa invece la scomparsa del Caffè della Domenica, che pur con tutti i suoi limiti era spesso riuscito a scoprire almeno alcuni dei tanti scheletri nascosti negli ampi armadi del cantone. Sì, perché La Domenica, che l’ha soppiantato, non interessa oramai più a nessuno tanto è noiosa e insipida. Il Corriere del Ticino sembra aver sposato completamente le posizioni di Tito Tettamanti, ciò che Teleticino ha fatto ormai da un pezzo. Ed il nuovo (!) corso alla RSI per ora ci ha offerto un’informazione internazionale sempre più filo-NATO, un azzoppamento di Modem ed una gestione del settore informativo condita dal duo Pelli-Savoia.
Non c’è quindi da meravigliarsi se l’opinione pubblica dà l’impressione di essere spesso cloroformizzata e di reagire in modo irrazionale e controproducente. Pensiamo a coloro che, pur ritenendosi di sinistra, hanno partecipato a manifestazioni No Vax senza accorgersi che erano egemonizzate dall’estrema destra – la quale è quasi sempre anti-scientifica, ciò che una vera sinistra non può invece mai essere.
Rendiamoci anche conto che in qualsiasi altra città europea l’inaudita violenza dell’illegale distruzione notturna manu militari del Molino da parte del Municipio di Lugano avrebbe provocato un ‘48. Mentre nessuno ha reagito alle nostre denunce sulla possibile colpevolezza del Consiglio di Stato, diretto allora dallo sceriffo Gobbi.
Un Consiglio di Stato, che rinunciando per mesi nell’autunno 2020 a prendere in piena ondata pandemica le dovute misure nei ristoranti e nei luoghi pubblici, ha molto probabilmente causato molti morti inutili, mentre è bastata l’introduzione della mascherina a scuola per scatenare enormi proteste.
Questa diffusa confusione mentale è indubbiamente anche il risultato dell’enorme malessere generato dalla pandemia. In Italia Il Manifesto ha definito lo sciopero generale del 16 dicembre contro i piani del governo Draghi su come utilizzare i miliardi dell’EU per il rilancio economico come un evento avente anche un aspetto terapeutico, per fare uscire l’opinione pubblica dal malessere sociale ma anche concettuale generato dalla pandemia, cercando invece di riorientarla verso quelli che dovrebbero essere i veri obbiettivi di una riforma in profondità della società.
Certo è che senza conflitti sociali e senza movimenti di opposizione non si va da nessuna parte, e lo sappiamo da sempre. Probabilmente è anche per questo che la nostra proposta di creare un nuovo soggetto politico alternativo è caduta nel vuoto. Non dimentichiamo che il PSA è nato sulla scia del ’68. Ed è forse da un movimento sociale come quello che bisogna ricominciare.
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