Mosca con il fiato sospeso

di Yurii Colombo, corrispondente da Mosca

 

In queste ore, mentre continuano i bombardamenti e gli scontri militari, un po’ in tutta l’Ucraina, si intravvedono dei possibili scenari di accordo tra Volodomyr Zelensky e Vladimir Putin. 

Secondo Oleksiy Arestovych, consigliere del capo dell'Ufficio del presidente ucraino, che segue da vicino le trattative tra le delegazioni dei due paesi e che finora ha sempre rilasciato informazioni rivelatesi credibili: "Penso che non più tardi di maggio, inizio maggio, dovremmo probabilmente raggiungere un accordo di pace. O forse anche molto prima, vedremo”.

Per il funzionario ucraino esiste anche la possibilità che la Russia tenti una nuova avanzata utilizzando forze fresche (i “volontari siriani”) ma si tratterebbe di un’ipotesi che ritiene poco probabile. Si tratta di una tesi condivisa da parte dello Stato maggiore americano secondo cui l’esercito russo non potrebbe avanzare più significativamente senza una escalation dalle conseguenze inimmaginabili.

 

Per ora è difficile capire quale possa essere il punto di equilibrio che potrebbe salvare la faccia d’entrambi i contendenti. Mosca ha bisogno di un qualche riconoscimento giuridico dell’annessione della Crimea e dell’incorporazione de facto del Donbass che però è anche la frontiera per Zelensky con in aggiunta il dislocamento di un contingente Onu di pace ai confini. Per lo “Zar” sarebbe il risultato minimo a fronte delle devastanti sanzioni occidentali ma difficilmente la popolazione ucraina – dopo una resistenza così tenace - accetterebbe una fine delle ostilità che sancirebbe definitivamente l’amputazione di una parte del suo territorio. Laddove un ultrappannato Putin potrebbe ancora presentare come un successo almeno territoriale la campagna militare, Zelensky potrebbe essere travolto dalle proteste popolari interne.

 

La situazione resta in movimento e dovrà tenere in qualche misura conto degli equilibri militari al momento del cessate il fuoco, in particolare della zona di Karkhiv e dello sbocco sul mar d’Azov. Fallita la Blitzkriege ipotizzata nei primi giorni dal Cremlino e non volendo mobilitare i riservisti (sarebbero già soldati di leva) la Russia non sembra poter raggiungere risultati militari più importanti. A Mosca intanto si deve fare i conti con la tempesta perfetta delle sanzioni occidentali. Gli Usa e la Gran Bretagna hanno chiuso qualsiasi relazione commerciale con la Russia e i pacchetti approntati dall’Unione Europea vanno nella stessa direzione. Resta aperta per quest’ultima il nodo della dipendenza dal gas russo e non è assolutamente detto che i paesi più esposti, in questo senso, come la Germania e l’Italia a lungo andare si dimostrino così rigidi come sembrano apparire ora. Ci sono tutta una serie di paesi di “frontiera” di cui il primo di tutti è ovviamente la Turchia (seguito da Serbia, Montenegro, Grecia e Ungheria) che non attendono altro di riprendere relazioni con Mosca più o meno regolari. Come si vede si tratta di paesi, il cui atteggiamento verso la Russia ha molto a che fare con legami commerciali e geo-etnici piuttosto che legati alla tradizionale linea di faglia destra-sinistra.

 

Tuttavia le sanzioni non sono neppure una cortina fumogena dietro la quale si può nascondere una ripresa delle relazioni Est-Ovest sullo stile della OstPolitik degli anni ’60-’70 del secolo scorso: in un certo senso il dado è tratto e Russia e Occidente seguiranno per un lungo periodo due strade divergenti di sviluppo economico ma anche sociale e culturale.

 

Il congelamento degli attivi della Banca Centrale russa ha bloccato l'accesso della Russia a parte delle sue riserve in valuta estera. Secondo il ministro delle finanze russo si tratta di “circa la metà delle riserve che avevamo. Abbiamo un totale di circa 640 miliardi di dollari in riserve, circa 300 miliardi di dollari in riserve è ora in uno stato in cui non possiamo usarli", ha detto Siluanov in un'intervista al canale televisivo "Russia-1”. Il ministro ha anche ricordato però che "parte delle riserve di oro e di valuta estera della Russia sono in yuan, motivo per cui l'Occidente sta cercando di convincere la Cina a limitare anche l'accesso della Russia alla sua valuta”.

E qui si gioca forse la partita del definitivo orientamento della Russia verso i mercati asiatici nel prossimo futuro con tutte le promesse e i pericoli che ne conseguono.

 

All’interno il governo insiste che dopo qualche anno di difficoltà (e di recessione) le cose torneranno alla normalità per la vita dei comuni cittadini. “La crisi produce sempre nuovi stimoli e possibilità” ha sostenuto l’ineffabile portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Per ora la realtà però è dura. Proseguono le file ai bancomat per ritirare tutto il contante disponibile in rubli e ci si approvvigiona un po’ di tutto. Scaffali vuoti per il porridge di grano saraceno (piatto insostituibile della colazione russa) ma anche della farina, dello zucchero, della pasta con i prezzi più economici. Secondo alcune stime i prodotti alimentari sono aumentati nell’ultima settimana dal “10% al 67%” e lunghe code anche per comprare medicinali, in buona parte prodotti all’estero. I grandi produttori come Bayer hanno rassicurato la clientela russa che tutti i preparati raggiungeranno regolarmente il mercato russo ma il pagamento dovrà avvenire ovviamente in “valuta forte”.

 

Rimane un mistero invece come la Russia potrà risolvere il problema – almeno a breve termine - dei pezzi di ricambio degli aeromobili ma anche delle automobili. Il sindaco di Mosca si è lasciato andare a ipotesi di scuola (le stampanti 3D) e si inizia a immaginare un possibile fiorente contrabbando e mercato nero, ma in realtà nessuno ancora sa bene come il problema sarà risolto.

Al Whisky scozzese e al vestitino di Armani si potrà anche rinunciare, meno ai trasporti.