La nuova corsa alle armi

di Claudio Carrer

 

Sono ormai già oltre 2 milioni le persone costrette a lasciare l’Ucraina per sfuggire alle bombe e alla furia distruttiva dei tank russi. 

E, a dipendenza dell’evoluzione – assolutamente imprevedibile – del conflitto scatenato dall’invasione del paese da parte di Mosca il 24 febbraio scorso, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane potrebbero salire fino a 5 milioni, stima l’Onu. 

 

Siamo di fronte a un esodo di proporzioni bibliche e alla crisi migratoria più rapida mai vista in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale. 

 

Come gli altri paesi, anche la Svizzera si sta preparando all’arrivo di migliaia di profughi ucraini, in gran parte donne e bambini (molti, dramma nel dramma, non accompagnati dai genitori), e alla loro accoglienza. Si muovono le autorità con l’attivazione di uno statuto di protezione che senza troppa burocrazia conferisce loro il diritto di soggiorno, ma anche centinaia di associazioni e migliaia di privati cittadini che mettono a disposizione strutture e posti letto. Si intravede una politica delle braccia aperte ai migranti ucraini, molto diversa da quella restrittiva e repressiva solitamente applicata (dalla Svizzera come dall’Europa) a vittime di altre guerre (Siria, Afghanistan, Iraq). Questo nuovo approccio prevalentemente umanitario, anche se dietro ad esso si cela un’odiosa classificazione tra rifugiati “buoni” e rifugiati “cattivi”, è sicuramente una buona notizia.

 

Ma tra gli “effetti collaterali” dello scoppio della guerra in Ucraina vi è anche una riattivazione della corsa agli armamenti, cui la Germania ha dato il la in Europa con l’annuncio di un pesante riarmo. La Germania guidata da una coalizione di governo tra Socialdemocratici, Verdi e Liberali, tutti partiti dalla lunga tradizione pacifista. E anche in altri paesi sono stati decisi o sono al vaglio rapidi aumenti delle spese militari: in Spagna a intervenire a gran voce è il partito di estrema destra Vox, mentre in Svizzera sono l’Udc e il Plr a sfruttare i morti sotto le bombe in Ucraina, per reclamare a scopo puramente propagandistico ulteriori miliardi per l’esercito. Udc e Plr ben spalleggiati dalla ministra della difesa Viola Amherd, che a sua volta tira in ballo il conflitto in corso per promuovere l’acquisto degli aerei da guerra F-35 (affinché «la Svizzera possa difendere il suo spazio aereo e proteggere la popolazione») e si spinge addirittura a chiedere il ritiro dell’iniziativa popolare che mira a impedire questa inutile e folle spesa da 36 miliardi di franchi.

 

In sostanza, Amherd chiede ai cittadini di rinunciare all’esercizio di un diritto democratico. Una richiesta fuori luogo, inaccettabile e «scioccante», come scrive l’ampia alleanza di partiti e movimenti che ha promosso l’iniziativa contro l’acquisto dei bombardieri, ricordando come la sicurezza della Svizzera vada rafforzata «negli ambiti dove ci sono margini di manovra, per esempio nella politica energetica, dove è imperativo diventare indipendenti dai combustibili fossili». E non con dei jet militari, oltretutto concepiti per le guerre di aggressione e dunque inadatti ai normali compiti di polizia aerea.

 

La guerra in Ucraina non è certo scoppiata perché la Nato o l’Europa (o la Svizzera) non hanno investito abbastanza nei loro eserciti, ma la nuova corsa alle armi è iniziata. E così si prenotano altre vittime: vittime della logica bellica e vittime degli inevitabili tagli alla spesa in ambiti essenziali (quali la sanità, l’educazione, la difesa dell’ambiente eccetera) e degli inevitabili danni sociali che ne conseguono.

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