Destra e sinistra si scontrano sulla fiscalità

di Fabio Dozio

 

Sergio Rossi: Imposta Covid per gli elevati patrimoni, limitare la concorrenza fiscale intercantonale.

Destra e sinistra si scontrano sulla fiscalità e quindi sui bilanci dello Stato.

Il Ticino ha appena approvato il nuovo preventivo del Cantone, che indica un disavanzo d’esercizio di 135,3 milioni di franchi. Le finanze cantonali sono sane, le maggiori spese dipendono in buona parte dalla situazione eccezionale dovuta a questi anni di pandemia. Il liberismo, dottrina sacra per le maggiori forze politiche svizzere e ticinesi, ha una ricetta semplice: meno Stato e sgravi fiscali. Attenzione, poi le risorse dello Stato fanno comodo quando l’economia è in crisi, come con la pandemia o come nel 2008.

 

L’offensiva fiscale è ormai lanciatissima. In Svizzera: soppressione della tassa di bollo (bocciata in votazione popolare, NdR), soppressione dell’imposta preventiva, invito ad abbassare le imposte per i manager delle multinazionali, proposto da Ueli Maurer. In Ticino: sgravi fiscali per gli alti redditi proposti dal PLR, limitazione della spesa, proposta dall’UDC. Tutto questo nell’unico Paese industriale, la Svizzera, dove gli immensi utili dei capitali degli azionisti non sono tassati.

 

Su questi temi abbiamo posto alcune domande a Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo.

 

 

Il Gran Consiglio ticinese ha approvato (49 voti contro 33) il preventivo per il 2022. Nuovi conti, ma vecchia solfa. Si giustifica l’allarme borghese sulla necessità di raggiungere un equilibrio finanziario?

Questo allarme non si giustifica per almeno due motivi. Da un lato, i conti dello Stato non sono in profondo rosso e, dall’altro lato, non è certamente il periodo adatto per operare dei tagli alla spesa pubblica, alla luce delle drammatiche conseguenze socioeconomiche della pandemia da Covid-19. La regola d’oro della finanza pubblica è assolutamente chiara: i conti pubblici devono distinguere gli investimenti dalla spesa corrente; quest’ultima deve essere equilibrata con le risorse fiscali che lo Stato incassa durante l’anno, mentre gli investimenti devono essere finanziati tramite l’emissione di debito pubblico, perché questi investimenti beneficeranno anche ai contribuenti durante gli anni successivi alla loro attuazione. Per quanto riguarda l’equilibrio della gestione corrente, si dovrebbe valutare anche la necessità di aumentare le risorse fiscali, anziché soltanto ridurre la spesa pubblica, partendo dai bisogni della popolazione che lo Stato è chiamato a soddisfare nell’interesse generale.

 

Commentando il preventivo dello scorso anno su Area, lei aveva proposto di far pagare un’imposta Covid-19 alle imprese che hanno beneficiato della pandemia e ai titolari dei patrimoni elevati. Rimane una cosa proponibile anche a livello cantonale?

Certamente, anche se sarebbe meglio un prelievo federale, una parte del quale potrebbe poi essere ridistribuita sul piano intercantonale in modo da aumentare la solidarietà e la coesione nazionale – viste le disparità economiche tra i cantoni e l’eterogeneità dell’impatto della pandemia attraverso i diversi rami di attività economica, legati anche alle caratteristiche demografiche e topografiche dei cantoni che formano la Svizzera. Diversi studi recenti hanno messo in evidenza come la pandemia abbia ulteriormente aumentato le disparità nella distribuzione del reddito e della ricchezza anche in Svizzera. Basta pensare agli utili miliardari delle case farmaceutiche che hanno sviluppato i vaccini contro il Covid-19 grazie anche ai miliardi versati loro dallo Stato per l’acquisto di questi vaccini e senza neanche rendere pubblici i brevetti, oltre al fatto che le aliquote di imposta sugli utili restano molto basse nel confronto internazionale anche considerando la qualità dei servizi pubblici erogati in Svizzera.

 

Invece la sinistra ha proposto di ritoccare il moltiplicatore cantonale aumentandolo del 3%. La misura non è passata. Ma ha senso proporre un aumento delle imposte per tutti, anche se proporzionale?

Si tratta di una proposta politica che si inserisce nel quadro del pensiero dominante, visto che non è immaginabile proporre delle misure che esulano da questo quadro per ottenere la loro approvazione in parlamento, dove la maggioranza politica è contraria a qualsiasi cambio di paradigma. Ritoccare il coefficiente di imposta cantonale, per riportarlo al 100%, non fa altro che ristabilire la situazione in vigore fino a un paio di anni fa e, perciò, potrebbe essere approvata senza troppe discussioni dalla maggioranza dei parlamentari. In fin dei conti, si tratta di una misura che non incide certo sul tenore di vita del ceto medio e che può migliorare la situazione delle persone meno abbienti, se le maggiori risorse fiscali raccolte in questo modo saranno usate per sostenere queste persone e per sviluppare i servizi pubblici offerti all’insieme della popolazione.

 

Il confronto fra destra e sinistra si è visto anche in questi giorni in parlamento, ma il banco di prova sarà la votazione, il 15 maggio, sul referendum contro l’iniziativa Morisoli, che chiede il pareggio dei conti pubblici entro il 2025, riducendo «prioritariamente» la spesa. Come valuta questa proposta?

Si tratta di una proposta fondata su una visione sbagliata della realtà e della finanza pubblica. L’idea sottostante è quella di ridurre l’intervento dello Stato nel solco dell’ideologia neoliberista, che vuole «meno Stato e più mercato». Dagli anni ‘90 innanzi questa ideologia indirizza le scelte politiche in Ticino, dove ripetutamente si sono concessi degli sgravi fiscali sugli alti redditi e sui patrimoni che non hanno generato alcun effetto positivo né per le finanze cantonali né per l’economia ticinese nel suo insieme. Al contrario, la riduzione del gettito fiscale conseguito su una data somma di reddito o di ricchezza ha costretto lo Stato a ridurre le proprie spese, a seguito della decisione di imporre una regola contabile che prevede l’equilibrio dei conti pubblici a prescindere dalla situazione sul piano macroeconomico, ossia anche durante gli anni di crisi o comunque di stallo dell’economia ticinese. L’orizzonte temporale del 2025 è troppo breve, considerando soprattutto le difficoltà in cui versano molte persone e diverse imprese in Ticino.

 

Quando si raggiunge l’equilibrio dei conti pubblici la destra chiede sgravi fiscali, innescando una spirale perniciosa.

In questo modo la destra riesce a raggiungere il proprio obiettivo, che consiste nella riduzione della presenza dello Stato nel sistema economico, permettendo così ai poteri forti di fare i propri interessi a discapito del bene comune, sia esso declinato sul piano sociale, ambientale o professionale.

 

Il PLR propone di sgravare i redditi alti. Uno dei motivi rimane la nefasta concorrenza fiscale intercantonale. Se ne può fare a meno?

Bisognerebbe porre un limite alla concorrenza fiscale intercantonale, perché impoverisce l’insieme dei cantoni a discapito della coesione nazionale, in quanto non permette a questi cantoni di offrire i beni e servizi pubblici di cui necessita l’insieme dei soggetti economici, ossia le persone fisiche e le persone giuridiche come le società anonime – che potrebbero anche decidere di dislocare all’estero una parte delle loro attività, visto che la concorrenza fiscale è anche un fattore dominante sul piano internazionale.

 

Uno sguardo alla Confederazione per finire. La Svizzera si prepara a introdurre l’imposta del 15% sulle multinazionali, proposta dall’OCSE e dall’UE. Ueli Maurer ha già lanciato ai Cantoni l’idea di abbassare le imposte ai ricchi, per favorire i manager di queste aziende.

La proposta di Maurer non sorprende, in quanto rientra nella strategia in atto da molti anni sul piano federale in Svizzera. Già ai tempi dell’abbandono forzato del segreto bancario per i non residenti in Svizzera, la Confederazione e le banche in questo paese hanno attuato delle strategie per aggirare in gran parte questo vincolo imposto dall’estero. Con l’introduzione di un’aliquota minima di imposta sugli utili delle imprese transnazionali, si continua ad andare in questa direzione cercando di ridurre il carico fiscale per i dirigenti di queste imprese, con il pretesto che altrimenti una parte di esse sarà indotta a lasciare la Svizzera e perciò a cancellare numerosi posti di lavoro. La paura di perdere dei posti di lavoro serve a convincere la popolazione che non c’è alcuna alternativa alla riduzione delle aliquote di imposta sui redditi elevati, anche se la realtà è ben diversa ma rimane sottaciuta per ovvi scopi personali dei politici al governo.

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