Il metodo Giacarta: USA liberatori o massacratori?

di Gaddo Melani

 

«Il metodo Giacarta» è una documentata retrospettiva di violenza e orrori che ha per scenario paesi di continenti diversi ma un protagonista centrale: gli Stati Uniti. Il sottotitolo del volume è quanto mai chiaro: «La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo».

 

Una cronaca di soprusi e violenze resa possibile dalla desecretazione di migliaia di documenti, ma più ancora dalla determinazione del suo autore, il giornalista statunitense Vincent Bevis, nel documentare la pianificazione di massacri su scala planetaria al fine di assicurare la supremazia politica ed economica della superpotenza nord-americana. Quello che nel dopoguerra si è rivelato un «vero e proprio programma imperialista» non giunse affatto nuovo, direi addirittura che lo si trova già nel bagaglio genetico della «Nuova Inghilterra» che ai primordi del suo sviluppo acquisì spazio, territori e potere con la sopraffazione, la guerra o con la sua minaccia. Programma ben riassunto nell’espressione «Manifest Destiny», con cui, spiega Bevis, si riconosce agli Stati Uniti la missione di espandersi per diffondere libertà e democrazia. E confermato nel secondo dopoguerra dalla dottrina Truman, in cui si afferma che «la politica degli Stati Uniti debba aiutare i popoli liberi che resistono al tentativo di essere soggiogati da minoranze armate o da pressioni esterne». Ovviamente quelle altrui.

 

Alimento primario che ha portato gli USA a vincere la Guerra Fredda e a imporre il loro dominio fu l’acceso anticomunismo cui ricorsero in primo luogo in casa propria, che garantì alla Casa Bianca l’appoggio nazionale nella politica interventista nei più disparati scenari internazionali.

 

Dietro il paravento del «pericolo comunista», dell’«orda rossa», i servizi segreti americani, in prima fila la neonata CIA, ordirono una fitta trama cospirativa che a partire dall’immediato dopoguerra si estese ovunque, con strumenti di cui solo gli USA disponevano senza limiti: armi e soldi. E senza scrupoli di sorta.

 

La casistica degli interventi è troppo lunga per citarla tutta. Si può cominciare dalla Grecia, dove gli Stati Uniti, a partire dal 1946, appoggiarono il governo nella guerra civile contro la guerriglia comunista (contrastata da Stalin che voleva attenersi alla ripartizione patteggiata a Yalta), e dove gli americani ebbero modo di usare per la prima volta il napalm, il nuovo composto chimico appena fabbricato. Per passare all’Iran di Mossadeq, colpevole di voler nazionalizzare le compagnie petrolifere in mano agli inglesi, o al Guatemala, il cui presidente Arbenz (di famiglia svizzero-tedesca) con la riforma agraria intendeva spezzare il monopolio della United Fruit Company e dei latifondisti, o alle Filippine, dove era scoppiata una rivolta popolare. Asia, Africa, America latina, ovunque i servizi americani organizzarono violenze, assassini al fine di rovesciare i governi legittimi e porre loro lacché. Come in Indonesia e Brasile.

 

Ecco è appunto agli strumenti usati in questi due determinanti scenari che si riferisce il titolo dato al volume.

 

L’Indonesia, liberatasi dal giogo olandese, sotto la guida di Sukarno aveva assunto un ruolo di primo piano a livello mondiale ponendosi al vertice di un movimento terzomondista, in contrapposizione alle superpotenze dominanti, e indicando una nuova via di sviluppo, libera da ogni forma di neocolonialismo. Inoltre in Indonesia c’era il partito comunista più forte al mondo (dopo quelli sovietico e cinese) e vi viveva una numerosa colonia di cinesi. Per Washington era troppo. Nacque così il «Metodo Giacarta», denominazione data a una pianificata strategia basata prevalentemente nell’appoggio fornito alle alte gerarchie militari nazionali, in genere espressione degli ambienti della destra, nell’organizzazione di sabotaggi, disordini e violenze addebitate per lo più alle forze di sinistra, più o meno esplicitamente comuniste. Nel clima di violenza così creato, sfociato ben presto in eccidi e massacri atroci, i vertici delle forze militari ebbero buon gioco a insorgere contro il governo, impadronirsi del potere imponendo poi un regime di terrore, sempre con l’appoggio degli Stati Uniti. Golpe che infine ebbe luogo nel 1965. I morti alla fine furono oltre un milione. Come mai un tale sterminio di massa di civili indifesi non sconvolse nessuno ? Bevins ci fornisce la risposta con le parole di un funzionario del Dipartimento di Stato: «Erano comunisti, a nessuno importava che fossero ammazzati».

 

Il «metodo Giacarta» divenne presto la linea adottata in altri paesi, come in America Latina, a cominciare dal Brasile. Ecco il Brasile, il maggiore paese del continente sud-americano, dove il presidente Goulart aveva avviato una politica di apertura ai ceti popolari, appoggiato una profonda riforma agraria, dialogava con le forze di sinistra, comunisti compresi, e si era messo contro i vertici dell’esercito. E questo mentre gli USA cercavano di abbattere Castro. Per Kennedy era troppo e ricorse al «metodo Giacarta», in versione brasiliana, che sfociò nel golpe militare del 1964 dando vita alla lunga dittatura militare.

 

Quella brasiliana fu la seconda importante «vittoria» statunitense della Guerra Fredda. Sconfitti ne risultarono paesi alla ricerca di riscatto sociale, di indipendenza, di giustizia.

 

«Come abbiamo fatto a vincere?» chiede Vincent Bevins a un sopravvissuto delle violenze in Indonesia. «Ci avete ammazzati» è la risposta.

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