L’Italia si è rimessa l’elmetto

di Luciana Castellina già parlamentare europea

 

La guerra, fino a ieri tante ma tutte lontane, ora vicine, le vittime non più sconosciuti arabi o neri, bianchi proprio come noi, razza occidentale. 

 Le emozioni, si capisce, sono più forti, ma quei cadaveri accumulati per le strade ukraine e quei bambini che scappano fra le bombe spezzano il cuore e non è il tempo di misurare quanta pena suscitino gli uni o gli altri.

 

La TV italiana ce li mostra a orario continuato su tutti i canali e per difenderli invita alle armi infilandosi con le sue immagini strazianti nei nostri occhi, nelle nostre orecchie, in tutto il corpo. È in atto una «seduzione strisciante» – come ha scritto per denunciarla un editoriale del quotidiano cattolico «Avvenire» – lanciata per incitarci a prendere le armi, mettersi anche noi l’elmetto. E’ così, una psicosi che serve ad addormentare il cervello di cui, in effetti, sembra totalmente mancare chi governa noi ma quasi tutti i governanti, che pure dovrebbero esser consapevoli delle conseguenze di questa sindrome bellica.

 

Non perché non si debba rispondere all’aggressione di Putin, che è vergognosa – e per questo non siamo affatto equidistanti fra Ukraina e Russia – ma perché non è con le armi che difenderemo i ragazzi ukraini – di cui è comprensibile la reazione istintiva, mentre è da irresponsabili suggerirla da parte di chi non è sul terreno. Oggi le armi non difendono più, accadeva nel Medio Evo e ancora, ma già meno, nelle ultime guerre mondiali. Oggi, in un mondo globalizzato in cui ogni paese dipende dall’altro, ci sono altri mezzi, meno sanguinosi ma ben più efficaci. Per questo serve la trattativa, il compromesso con il nemico, per difficile che sia, non il rafforzamento del patto fra gli amici – in questo caso della Nato – di cui sembrano così stupidamente fieri i nostri governanti. Altrimenti il risultato non può che essere, nell’immediato un bagno di sangue di cui saranno vittime proprio gli ukraini e in rapida prospettiva l’innesto di un processo che può coinvolgerci tutti in una guerra nucleare. Che oggi può scoppiare più facilmente di un tempo, quando si trattava di grosse bombe sotto il controllo di capi di stato, e dunque frenate dalla deterrenza. Oggi il nucleare è dentro armi di ogni tipo, spaziali ma anche tattiche, a breve raggio, di cui chiunque può dotarsi innestando un processo che incendia il mondo. E peraltro, come non chiedersi a chi mai finiranno in mano queste armi che dovremmo inviare, se si pensa che in Ukraina non ci sono solo i giovani ukraini, ma, infiltrati fra loro, una quantità di Forghein fighters che non controlla nessuno?

 

E, in ogni caso, come non riflettere sulle tante guerre di questi ultimi trent’anni – Irak, Siria, Libia, Cecenia, buon ultima Afghanistan – tutte finite nel peggiore dei modi, per aggressori e per aggrediti? Torna a circolare in proposito uno scritto di Henry Kissinger, redatto subito dopo lo scoppio della guerra civile in Ukraina, nel 2014, in cui il potente consigliere del presidente americano commentava sconsolato: nella mia carriera ho visto quattro guerre e tutte sono finite con un avvilente ritiro unilaterale. E non c’era ancora stato l’Afganistan!

 

Perché il negoziato che si sta svolgendo a Istanbul stenta a procedere? Perché in qualche modo la guerra in Ukraina è un aspetto, ma solo un aspetto e anche minore, del vero e ben più complesso conflitto in atto per il nuovo disegno geopolitico del mondo.

 

Sarebbe stato necessario affrontare il problema già nel ’90, alla «caduta del muro», quando Gorbachev ritirò – con una rapidità che, ricordo, meravigliò gli stessi tedeschi, – non solo dalla Germania ma da tutta l’Europa dell’est. Sarebbe stato logico, una volta dissolto il Patto di Varsavia, procedere anche allo scioglimento della Nato o, perlomeno, al suo ridimensionamento, come proposto dal Presidente russo. E invece l’Occidente ha fatto il contrario: da 12 paesi che facevano parte del Patto Atlantico si è arrivati a ben 30, tutti nei pressi del confine russo. Per quale fine? E, ancora, perché non si è nemmeno tentato di imboccare la strada indicata dall’allora fortissimo movimento pacifista «Per un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali?» Non era un’invocazione di ingenui utopisti, ma un progetto concretamente praticabile, sostenuto anche dalla leadership di allora dei principali partiti socialdemocratici: Bruno Kreisky in Austria, Michel Foot in Gran Bretagna, Olaf Palme in Svezia, Papandreou in Grecia, Willy Brandt in Germania, di molti altri più piccoli paesi nordici. Dalla Spagna venne addirittura di persona alla nostra II Convenzione END (European Nuclear Disarmament) – quella tenuta nell’83 a Berlino nel cinquantesimo anniversario dell’avvento al potere di Hitler – Almeida, ministro degli esteri socialista spagnolo. In Italia fu Berlinguer (sia pure senza grande appoggio del suo stesso partito ) ad avanzare la proposta di una «terza via» per l’Europa che proprio quel nostro slogan interpretava. Sappiamo come invece è andata: si fece il contrario e gli armamenti si moltiplicarono.

 

Quando ho parlato qualche settimana fa alla grandissima manifestazione per la pace di piazza san Giovanni a Roma ho chiesto al movimento pacifista di procedere tutti a una autocritica collettiva: perché anche noi non siamo stati come sarebbe stato necessario vigili. L’ultima manifestazione per la pace l’abbiamo fatta nel 2003, contro la seconda guerra dell’Irak, e fu così grande, in ogni città del mondo, che il NYTimes così titolò la sua prima pagina: «oggi è nata la seconda potenza mondiale». E forte era stata anche l’iniziativa del movimento per cercare di contenere l’incendio jugoslavo negli anni ’90. Poi, però, più niente, 20 anni di disattenzione, quando l’attenzione sarebbe stata più preziosa: perché contro le guerre puoi far poco quando sono deflagrate, quel che serve è bloccare per tempo, prima che scoppino, i processi che le preparano. E noi stessi siamo stati colpevolmente disattenti.

 

Il movimento pacifista non può essere intermittente e guai, anche adesso, se non seguiamo ad occhi aperti come procede questo ridisegno del mondo. Non è facile, perché a sollecitare la distrazione sui fatti reali ci pensano i nostri media. Basti guardare a come è stata data la notizia della visita a Putin, proprio in questo momento, di Modi, presidente dell’India – un paese storicamente mai vicino né alla Russia né alla Cina – e alla presa di distanza di tutti gli asiatici, salvo i quattro filoccidentali, Giappone, Australia, Taiwan e Corea del sud . Si tratta infatti di un fatto molto emblematico che indica come l’ordine euroamericano sia ormai sempre più mal sopportato da quasi tutta quella fascia della Terra che un tempo chiamavamo terzo mondo. Debbo dire che anche a me, che pure apprezzo qualche virtù dell’occidente, sale la rabbia quando sento Draghi enunciare con enfasi gli incontestabili superiori «valori» occidentali, proprio mentre ci arrivano le immagini dei suoi sostenitori: il summit del ministro degli esteri americano nientemeno che a Gerusalemme, insieme al meglio dello schieramento «democratico»: Arabia Saudita, Marocco, e via dicendo. Oltre che quella di Erdogan che con sussiego presidia il dialogo fra le parti, come si trattasse dell’incarnazione della giustizia. E, ancora di più, quando con straordinaria faccia tosta viene denunciato il pericolo della Cina perché pretende di vendere i suoi prodotti al mondo. Nemmeno un’ombra di riflessione autocritica, il peggio fra tutti in Italia – lo dico con amarezza – il segretario del PD Letta che, con più slancio degli altri, si è dichiarato parte indissolubile della Nato e dagli Stati Uniti.

 

La partita che si gioca, ben al di là della vicenda Ukraina, è in realtà questa: un riequilibrio dei rapporti di potere che si chiede ad un Occidente cui una parte consistente del mondo non consente più di arrogarsi il diritto di fare ciò che proibisce agli altri. (Ricordate, tanto per fare un esempio, quando nel ’62 stava per scoppiare la guerra mondiale solo perché la piccola Cuba, minacciata in concreto dagli sbarchi dei marines, si permise di impiantare sul proprio territorio un paio di missili russi che furono denunciati come un insopportabile attentato all’integrità degli Stati Uniti?).

 

Ma c’è un aspetto di questa vicenda che è particolarmente preoccupante in Italia: il Parlamento ha adottato la decisione di inviare armi in Ukraina e di aumentare la spesa Nato fino a raggiungere il 2% della propria spesa pubblica con il 95% dei voti, contro solo i pochi deputati di Sinistra italiana, qualche ecologista e qualche 5 stelle, mentre i sondaggi ufficiali ci dicono che il 62% degli italiani sono contrari. Un tale distacco fra la società e le istituzioni non si era mai visto. E la cifra è confermata dalle mobilitazioni contro la guerra cui partecipano in prima fila – con le parole d’ordine del pacifismo – le organizzazioni studentesche e una quantità di gruppi giovanili. E dell’ANPI, che a grandissima maggioranza nel suo congresso nazionale, qualche giorno fa, si è schierato contro l’invio di armi, sebbene per accusare i pacifisti governanti e media abbiano ricorso persino all’insulto, dicendo che saremmo ormai di fronte a una generazione di codardi. I combattenti della Resistenza le armi le ricevette da chi con loro stava conducendo una guerra già scoppiata da 5 anni, e furono proprio i partigiani – che tali furono quasi tutti i membri dell’Assemblea Costituente – a battersi perché nella nostra Carta Fondamentale fosse inserito un articolo, l’11, in cui per la guerra si usa il termine fortissimo di «ripudia» come strumento di soluzione dei problemi internazionali.

 

Le guerre vanno inserite nel loro tempo, non siamo più ai martiri delle nostre guerre risorgimentali, che, a cavallo e con le bandiere al vento , si immolavano. In Italia si ricorda sempre come esempio del giusto martirio quello di Sapri, contro i Borboni: «Eran trecento, erano giovani e forti, e sono morti». Oggi, aihme’, il rischio è che ne muoiano 3 miliardi.

 

Il solo lucido è il papa che dice: oggi è sbagliata persino una guerra giusta. Che non vuol dire rinunciare a lottare, ma solo di combattere in altre forme, non più con quelle che consigliano i dinosauri.

Tratto dal Quaderno 37 - 10 aprile 2022