Ucraina: sarà la crisi economica ad imporre la pace?

di Yurii Colombo, corrispondente da Mosca

 

La guerra in Ucraina sembra giunta a un punto di stallo o perlomeno di reload. 

Le estenuanti trattative tra le due delegazioni proseguono senza posa ma per ora hanno prodotto un solo anche se significativo risultato. 

 

L’Ucraina avrebbe accettato nel futuro di diventare uno Stato neutrale (se in versione austriaca o finlandese è ancora tutto da vedere) e di rinunciare definitivamente all’ingresso nella Nato. 

 

Il gruppo dirigente di Zelensky, del resto, si è scottato con le troppe promesse degli alleati occidentali che hanno trasformato il paese slavo solo in una piazza d’armi rivolta contro la Russia e immagina un futuro di Kiev a cavallo tra Bruxelles, Ankara e chissà magari Mosca, se nel futuro ci saranno dei cambiamenti significativi – per ora non immaginabili – al Cremlino.

 

Per il resto le posizioni restano distantissime. Mosca non ha ottenuto la «demilitarizzazione e denazificazione» (ovvero il cambio di regime) e difficilmente può immaginare l’occupazione dell’intera Ucraina e punta probabilmente al pieno controllo del Donbass ed eventualmente ad alcune aree del sud. In altissimo mare resta invece la questione del riconoscimento della Crimea e del Donbass da parte dell’Ucraina dove Zelensky avrebbe enormi difficoltà a far digerire un’amputazione così importante del territorio a un popolo in armi e che appare ancora fortemente motivato a battersi sul campo.

 

 

Pace armata o guerra di bassa intensità?

La «pace armata» e un eventuale cessate il fuoco con l’invio di forze di interposizione potrebbero apparire all’orizzonte delle trattative nel prossimo futuro ma anche l’ipotesi di una guerra a bassa intensità di lunga durata potrebbe essere lo scenario del futuro dell’area. La Russia non può bloccare a lungo una parte del proprio esercito professionale nell’area e l’Ucraina prima o poi dovrà far ripartire la propria economia: sono questi gli elementi che potrebbero imporre ad entrambi i contendenti un ammorbidimento delle rispettive posizioni. Sullo sfondo si colloca la «guerra fredda 2.0» tra Russia e Occidente che rischia di far impallidire quella nel Novecento. La Federazione dovrà ripensare per forza non solo il proprio orizzonte strategico che ne aveva fatto un paese «semi-periferico» votato all’esportazione di materie prime con massicce importazione di prodotti finiti. Il ritorno a un economia che ricordi vagamente l’autarchia sovietica è simbolicamente già iniziata con la sostituzione a Mosca dei Mc Donald con la nuovissima (ma assai simile) catena russa Diadia Vania (Zio Vania) e sta alimentando un dibattito a più ampio raggio.

 

Su Kommersant – il quotidiano della Confindustria russa – è apparso un lungo saggio di Dmitry Skrypnik studioso di economia e matematica dell’Accademia russa delle scienze di Mosca. Secondo Skrypnik la cosiddetta politica di stabilizzazione macroeconomica che ha segnato tutta l’era putiniana, che consisteva nell’accumulare riserve auree ingenti «poteva essere giustificata solo in un caso: se il suo obiettivo fosse stato solo quello di sottovalutare il tasso di cambio del rublo come elemento di una politica industriale tesa alla sostituzione delle importazioni con conseguente crescita orientata all’export». Invece l’economia ha continuato a rimanere indietro in tutti questi decenni e a deteriorarsi in molte aree, e la crescita economica è stata inaccettabilmente bassa. La storia, come sapete, non ha il congiuntivo, ma l’economia sì. La scienza economica ha ricette per lo sviluppo in condizioni di alta corruzione e un sistema giudiziario debole, quindi i tentativi delle autorità economiche e di alcuni esperti di assolversi dalle responsabilità incolpando le forze dell’ordine e la magistratura per tutti i problemi non dovrebbero essere presi in considerazione. Le sanzioni, che in questo contesto vanno a privare il paese di beni e tecnologie, sono una conseguenza delle politiche economiche sbagliate degli ultimi 30 anni». Una disamina impietosa dello stato della Russia in cui non ci sarebbero soluzioni semplicistiche e neppure grandi possibilità per un arroccamento ormai impossibile nel quadro delle dimensioni della globalizzazione. Per lo studioso ci si dovrebbe invece muovere «contemporaneamente lungo l’intera catena del valore, e non solo modificarne il singolo elemento dove lo Stato dovrebbe mirare a coordinare i produttori nella fase di creazione della produzione con la successiva creazione di concorrenza e l’ingresso delle imprese nel libero mercato».

 

 

La crisi economica in arrivo

Si tratta di un dibattito che sta attraversando – per altri versi – anche l’occidente dove già a partire dalla crisi del Covid-19 si è rilanciato il ruolo dello Stato e dei governi in chiave non solo regolatrice ma interventista, anche con la ripresa in grande stile del deficit-spending militarista che mette in discussione sin dalle radici il modello neoliberale. Una svolta non per forza di sinistra, anzi, che si alimenterebbe di russofobia e di un ulteriore rafforzamento della Nato (la Georgia ha già annunciato di non voler deflettere dal suo intento di voler entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica nei prossimi anni).

 

Sono volani che potrebbero produrre dei giganteschi profitti per tutte le aziende legate alla Difesa e al loro indotto che però lasciano dietro di sè le solite vittime predestinate.

 

La guerra, stima la Banca Mondiale, produrrà una riduzione del Prodotto Interno Lordo ucraino quest’anno di oltre il 20% riportando il paese ben sotto i livelli di vita sovietici. Fame, morte, migrazioni di massa sono già diventate la quotidianità di milioni di ucraini. In Russia le sanzioni comminate dall’Occidente hanno fatto esplodere l’inflazione che si attesterà sicuramente a due cifre mentre milioni di russi inizieranno a conoscere l’indigesto cocktail della stagflazione (il PlL russo dovrebbe calare del 10%). Ma anche in Occidente il caro bollette ha già iniziato a farsi sentire pesantemente in milioni di famiglie.

 

Un motivo in più per ribadire che anche questa è una «loro guerra» (come avrebbe detto Lenin), mentre i lavoratori russi, ucraini e del resto del mondo non ne trarranno sicuramente alcun vantaggio. Un motivo in più per rialzare la vecchia ma sempre attuale bandiera dell’internazionalismo.

Tratto dal Quaderno 37, 10 aprile 2022