di Simone Pieranni, già corrispondente da Pechino
Nel marzo del 2014, qualche giorno prima della «riannessione» della Crimea alla Federazione russa, Pechino e Mosca diramarono un comunicato congiunto, secondo il quale i ministri degli esteri russi e cinesi si trovavano perfettamente concordi riguardo la crisi ucraina.
Il comunicato era stato proposto da Mosca e aveva permesso al ministero degli esteri cinesi di precisare che Pechino credeva in una soluzione «pacifica», che non preveda separazioni territoriali. Il portavoce del ministero degli esteri cinesi di allora aveva infatti emesso un successivo comunicato nel quale si diceva che «la posizione cinese è da sempre favorevole al non intervento negli affari interni di altri Stati. Rispettiamo l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina». Non successe granché, nessuno incolpò la Cina di avere appoggiato la successiva azione russa in Crimea (che Pechino non riconobbe); Mosca e Pechino continuarono nella loro «partnership strategica» senza grandi scossoni. Non ha sorpreso, dunque, l’approccio cinese all’invasione russa dell’Ucraina, otto anni dopo, benché la comunità internazionale, questa volta, si sia premurata di provare a «stanare» in ogni modo Pechino. Senza riuscirci.
Secondo la Cina – infatti – la guerra è un problema, è fonte di instabilità, di imprevedibilità, è esattamente il contrario di quello di cui Pechino ha bisogno, la stabilità. Per questo il Paese ha espresso fin da subito un certo nervosismo, pur senza prendere una posizione chiara. Con il passare dei giorni è emerso il tentativo cinese di porsi in modo cauto rispetto allo sviluppo degli eventi, focalizzando però la propria posizione in una sorta di condanna della guerra, ma non abbandono politico della Russia. Le relazioni tra Xi e Putin erano appena state consolidate dalla visita del leader del Cremlino a Pechino per l’inaugurazione dei giochi olimpici invernali. Ne era seguito un documento congiunto nel quale si annunciava una «nuova era delle relazioni internazionali». Xi, molto semplicemente, non può abbandonare Putin per molti motivi, il primo dei quali è comprensibile solo se riusciamo ad abbandonare il nostro sguardo perenne su quanto sta sotto ai nostri occhi e proviamo invece ad allargarlo.
La narrazione cinese, identica a quella russa, circa la necessità che Russia e Cina siano accettati al tavolo dei grandi non come junior partner, bensì come potenze con una voce, con una propria sfera di influenza, produce una lettura anti occidentale, contro l’ordine liberale, che ha molta presa tra i paesi in via di sviluppo con i quali Pechino intrattiene rapporti solidi sia economici sia politici. Sudafrica, Algeria, India, Afghanistan e Nigeria, sono alcuni dei paesi con i quali Pechino ha dialogato nelle ultime settimane. Naturalmente Pechino non dimentica un dato fondamentale: Cina e Russia hanno un interscambio commerciale oltre i 140 miliardi di dollari ed era stato posto l’obiettivo di arrivare a quota 250 miliardi entro il 2025. Niente di paragonabile a quello con Ue e Usa, rispettivamente 820 e 750 miliardi. Da questa considerazione consegue l’atteggiamento cinese riconosciuto anche dal mondo occidentale, ovvero di non sostegno palese all’economia russa colpita dalle sanzioni occidentali. Su molti media internazionali – nelle settimane scorse – sono state riportate le parole dell’ambasciatore cinese in Russia in un incontro con imprenditori cinesi che operano in Russia: “Riempire gli spazi disponibili nell’economia e cogliere le opportunità presenti sul mercato russo: e di «riempire il vuoto» nel mercato locale.
Gli Stati Uniti hanno minacciato «conseguenze significative» nel caso di assistenza militare ed economica cinese a Mosca, come ricordato dal presidente Joe Biden nel corso del colloquio in video collegamento con l’omologo cinese Xi Jinping. Pechino ha da subito valutato le sanzioni unilaterali illegali, fuori dal diritto internazionale, pur evitando però evidenti violazioni, come ha affermato di recente il segretario al Tesoro americano, Janet Yellen. Secondo un recente sondaggio condotto da FOB Shanghai, un forum del settore su 322 esportatori cinesi, il 39% degli intervistati ha affermato che la guerra ha «gravemente» minato i loro affari russi. Gli importatori non se la passano molto meglio. Secondo Refinitiv le esportazioni di carbone della Russia verso l’Asia, dove la Cina è il principale acquirente, sono scese a 1,8 milioni di tonnellate nelle prime due settimane di marzo rispetto ai 62 milioni di tonnellate di febbraio. «Il commercio con la Russia è troppo rischioso», ha affermato Frank Yao, proprietario di un’azienda con sede nella città nord-orientale di Dalian. Insomma si criticano le sanzioni, ma si prova a rispettarle non dimenticando che il «tesoro» cinese è nello scambio con Europa e Stati Uniti.
Sul fronte interno, invece, in Cina non c’è stato un dibattito come dopo la presa di Kabul da parte afghana ma ci sono stati alcuni intellettuali che si sono espressi. Ad esempio Zhao Long (Shanghai Institute of International Studies) in uno dei siti cinesi che raccoglie analisi geopolitiche, si è posto nel pieno della posizione cinese circa l’accerchiamento occidentale e della Nato alla Russia e riflette sulle conseguenze anche dell’ordine mondiale: «I dubbi sul ‘fallimento’ dei meccanismi multilaterali come le Nazioni Unite e sul ‘declino’ del multilateralismo sono destinati ad aumentare. Un’agenda di pace diventerà la direzione prioritaria per la partecipazione dei paesi alla governance globale» e questo porterà a dare priorità alla sicurezza, ovvero al riarmo.
Più netta la posizione di Minxin Pei su Asia Nikkei Review: «Per la Cina, che avrebbe potuto beneficiare di un prolungato periodo di tensioni tra Russia e Occidente, le strade da percorrere sono diventate improvvisamente molto più insidiose. Invece di essere una beneficiaria netta di un conflitto tra Russia e Occidente, la Cina si trova ora pericolosamente vicina a essere un danno collaterale». Un percorso da seguire – spiega Minxin Pei – sarebbe smarcarsi da Putin e riavvicinarsi all’Occidente. Ma «mentre gli imprenditori privati e i funzionari pragmatici accoglierebbero favorevolmente un tale voltafaccia, la maggior parte dei leader del Pcc dubiterebbe della sua fattibilità».
Sulla stessa linea si era posto Hu Wei, vicedirettore di un centro di ricerca collegato al consiglio di stato cinese (il governo). Constatato che la guerra che presumibilmente avevano in mente a Mosca non si è realizzata, il rischio per il Cremlino è ritrovarsi in una guerra lunga, con una guerriglia in Ucraina, sottoposto a sanzioni e completamente isolato. In questo scenario «Il potere dell’Occidente aumenterà in modo significativo, la Nato continuerà ad espandersi e aumenterà anche l’influenza degli Stati Uniti nel mondo non occidentale. Dopo la guerra russo-ucraina, non importa come la Russia realizzi la sua trasformazione politica, indebolirà notevolmente le forze anti-occidentali nel mondo». Se la Cina – scrive Hu – «non prenderà misure per rispondere attivamente, incontrerà un ulteriore contenimento da parte degli Usa e dell’Occidente: l’Europa si staccherà ulteriormente dalla Cina, il Giappone diventerà l’avanguardia anti cinese, la Corea del Sud si rivolgerà solo agli Stati Uniti». Insomma, secondo Hu la Cina si ritroverà da solo contro Usa, Nato, Quad e Aukus.
Quali sono le strategie che deve attuare la Cina? Hu Wei ne identifica tre: in primo luogo «La Cina non può legarsi a Putin; deve tagliare al più presto questo cordone. Se Putin perde il potere e la Cina è sulla stessa barca con Putin, ne risentirà». In secondo luogo «Dato che la Cina ha costantemente sostenuto il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, può solo schierarsi con la maggior parte dei paesi del mondo per evitare un ulteriore isolamento. Questa posizione si rivelerà utile anche per risolvere la questione di Taiwan». Infine «Raggiungere il prima possibile una svolta strategica e non essere ulteriormente isolata dall’Occidente. Tagliando Putin e rinunciando alla neutralità aiuterà a migliorare l’immagine internazionale della Cina e coglierà questa opportunità per facilitare le relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente».
Il suo articolo è stato subito censurato: non è ancora tempo per Pechino di rinunciare all’amicizia speciale con la Russia. Diversa cosa, però, è seguire in tutto e per tutto Putin in quello che Pechino ritiene in modo piuttosto chiaro un grave sconvolgimento della stabilità.
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