Vaccini: lo scontro tra diritti e profitti nella geopolitica globale

di Vittorio Agnoletto*

 

USA, UE , India e Sudafrica stanno negoziando in questi giorni un accordo in merito alla moratoria parziale sui brevetti dei vaccini antiCovid, che dovrà essere approvato in sede di WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) da tutti i 164 Paesi aderenti, nessuno escluso. 

La trattativa si svolge fuori dalle sedi formali, ma sotto gli auspici del WTO che spera di arrivare alla prossima riunione interministeriale di metà giugno con una proposta condivisa, anche per rimediare alla pessima figura realizzata a fine novembre 2021 quando decise di rinviare la riunione interministeriale dello stesso WTO, formalmente a causa della variante Omicron, ma in realtà per evitare di rendere pubblica la spaccatura tra l’UE, l’UK e la Svizzera da un lato e il resto del mondo dall’altro, proprio sulla moratoria dei brevetti.

 

A inizio ottobre 2020 i governi sudafricano e indiano proposero al WTO una rinuncia temporanea ai diritti di proprietà intellettuale per tutti i prodotti farmaceutici e diagnostici anti-coronavirus, appellandosi a quanto previsto nella stessa carta fondativa del WTO, secondo la quale, in condizioni di emergenza, è possibile sospendere temporaneamente un accordo commerciale e quindi anche quanto previsto dagli accordi Trips (Trade-related Intellectual Property Rights) che regolano anche i brevetti sui farmaci.

 

La proposta trovò il sostegno di oltre cento Paesi in Africa, Asia e Sud America, ma anche l’opposizione dell’Unione Europea, Regno Unito, Svizzera, Brasile, Singapore, Australia e USA, che successivamente con la presidenza di Biden aprirono a una moratoria sui brevetti ma per i soli vaccini. Anche il governo australiano modificò la sua posizione di fronte ad una forte pressione della società civile, mentre in Brasile il Parlamento si schierò a favore della proposta di India e Sudafrica in contrasto con la posizione del presidente Bolsonaro.

 

Il contenuto dell’accordo dovrebbe permettere ai Paesi in via di sviluppo di produrre autonomamente, per un periodo limitato di tempo, tutti i prodotti anti-Covid senza l’autorizzazione delle case farmaceutiche che li hanno sviluppati e brevettati. Il portavoce di Katherine Tai, rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, sostiene che «il difficile e lungo processo si è concluso con un compromesso che offre il percorso più promettente verso il raggiungimento di un risultato concreto e significativo». Ma Melinda St. Louis, direttrice della divisione Global Trade Watch di Public Citizen, sottolinea i limiti del compromesso che riguarderebbe solo i brevetti sui vaccini e non quelli sulla diagnostica e sui farmaci per il Covid sui quali ogni decisione sarebbe rinviata ad ulteriori discussioni da concludersi entro sei mesi dall’approvazione di questa proposta. La quale ignorerebbe altre importanti barriere sempre collegate alla proprietà intellettuale e oltretutto inserirebbe alcune clausole che potrebbero indebolire ulteriormente le attuali flessibilità previste dagli accordi TRIPs, ad esempio quelle sulle licenze obbligatorie, uno strumento che un singolo Paese potrebbe decidere di attivare per scavalcare i brevetti, sebbene con molte difficoltà.

 

Infatti la proposta di Usa e UE si applicherebbe solo ai Paesi in via di sviluppo che hanno contribuito a meno del 10% delle esportazioni mondiali di dosi di vaccino COVID-19 nel 2021; oggi questa clausola è rivolta contro la Cina, ma un domani, in un differente contesto, potrebbe colpire l’India. Inoltre, sono ignorate altre categorie di proprietà intellettuale presenti invece nella proposta originale di deroga avanzata da India e Sudafrica: copyright, segreti commerciali, dati scientifici e design industriale; infatti molti vaccini e medicinali contro il COVID-19 sono protetti da norme di protezione intellettuale di diversa natura e fra loro intrecciate.

 

La proposta in discussione nel confronto quadrangolare, dal punto di vista politico rappresenta senza dubbio una novità: dopo diciotto mesi di totale chiusura l’Unione Europea, grazie alla mobilitazione della società civile di tutto il mondo, riconosce che i brevetti sono un problema e che impediscono la produzione e la diffusione dei vaccini in tutte le aree del mondo, soprattutto quelle più svantaggiate. L’UE smentisce sé stessa, avendo sempre negato che i brevetti costituiscano un problema e avendo sostenuto che sarebbero state sufficienti le donazioni dei Paesi ricchi verso i più poveri. È probabile che questa, limitata, disponibilità, a modificare almeno in termini d’immagine la propria posizione, sia anche correlata alla necessità di ridurre le barriere tra l’Occidente e il resto del mondo in relazione agli attuali scenari di guerra.

 

Ma da un punto di vista concreto, misurato sulla possibile efficacia della proposta, i risultati non solo rischierebbero di essere limitatissimi, ma anche di dividere l’ampio fronte dei Paesi che fino ad ora hanno sostenuto la moratoria e proprio questo sembrerebbe uno degli obiettivi dei proponenti. La discussione sulla proposta è ancora aperta e molti attori devono ancora pronunciarsi.

 

La pandemia non è terminata, come dimostra la nuova ondata di casi dovuti alla variante Omicron 2 e i morti non sarebbero poco più di 6 milioni, come rilevato dalle fonti ufficiali, ma circa il triplo e cioè 18 milioni e 200mila, stando al recentissimo studio dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, di Seattle, pubblicato dalla rivista The Lancet.

 

Rimane quindi fondamentale che nei prossimi mesi prosegua la mobilitazione in tutto il mondo e che in Europa si rafforzi ulteriormente la raccolta di firme e l’azione della campagna «Nessun profitto sulla pandemia. Diritto alla cura». www.noprofitonpandemic.eu

 

 

 

 

* Vittorio Agnoletto,

coordinatore in Italia della campagna

«Nessun profitto sulla pandemia. Diritto alla cura»,

medico, insegna «Globalizzazione e politiche della salute»

all’Università degli Studi di Milano

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