Il futuro dell’Ucraina visto da Mosca

di Yurii Colombo, Mosca

 

Dall’inizio della tragedia che sta avvolgendo l’intera Europa, di passi in avanti per mettere fine all’“operazione speciale” non se ne sono fatti. Anzi, le trattative tra Ucraina e Russia sono interrotte. Tra la posizione di principio di Volodomyr Zelensky (la Russia deve tornare ai confini del 24 febbario 2022) e la posizione ufficiale russa (Lugansk e Donetsk saranno russe e tutte le zone che verranno conquistate dall’esercito russo potranno decidere il proprio futuro attraverso un referendum) resta uno iato enorme. Sia giuridicamente che politicamente.

 

Dal punto di vista del diritto internazionale l’annessione russa sarebbe il prodotto di vistose violazioni visto che che nessun referendum di unificazione può essere realizzato in un territorio di un altro Stato conquistato militarmente e dove parte della popolazione è stata costretta ad abbandonare la propria residenza.

 

Da quello politico la questione – se si vuole – è ancora più complessa. Ormai è del tutto evidente che non ci si trova di fronte solo a un conflitto tra due Repubbliche dell’ex Unione Sovietica ma a una disfida internazionale e quindi l’aspetto della ridefinizione dei confini ucraini è solo uno dei fattori di un gioco assai più articolato.

 

Nell’intervista dello scorso 30 giugno a TF1, Sergey Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha dichiarato di attendersi che “le sanzioni contro la Russia non verranno tolte per lungo tempo”. Il confronto tra paesi Occidentali e Russia – se non ci sarà un cambio di regime a Mosca – è inevitabilmente destinato a durare. Dal punto di vista economico i paesi occidentali stanno già lavorando alacremente per non dipendere più dalle risorse energetiche di Mosca. Si parla di acquisti di gas e petrolio diversificati ma soprattutto di accelerare la transizione alla green economy. Che ciò possa avvenire con sufficiente rapidità si può avere qualche dubbio, ma che la strada sia tracciata è un fatto certo. La Federazione Russa da parte sua, proverà a spostare le vendite dei suoi idrocarburi verso le nuove potenze ascendenti. L’India ha già aumentato di più del 100% in un solo mese gli acquisti di petrolio made in Russia e gli scambi in yuan-rubli sono aumentati nello stesso periodo del 1067% (vedi Kommersant del 29 maggio 2022), ma avrà enormi problemi a colmare il gap sull’alta tecnologia con le università e gli istituti americani e a stare al passo dell’aumento delle spese militari occidentali se anche l’Europa dovesse mettere la marcia in più. I 102 miliardi di euro che saranno investiti dalla Bundeswehr che dovrebbero portare alla formazione di una marina sul Baltico potentissima, sono un biglietto da visita ben poco rassicurante. Sarà davvero difficile che la Russia possa stare dietro alla corsa agli armamenti: del resto Putin sa benissimo che uno dei motivi del crollo dell’Urss fu la volontà del regime brezneviano di contrastare il riarmo della Nato e il suo rapporto Pil/Difesa è già ora attorno al 10%. Allo stesso tempo gli Usa rifiutando di fornire all’esercito ucraino i missili a grande gittata capaci di colpire le città della Russia, hanno dimostrato non solo di voler essere cauti ma di voler “cuocere a fuoco lento” il regime sulla Moscova cercando di impantanarlo in una sorta di nuovo Vietnam. Anche per questo si vocifera che dopo la conquista dell’intero Donbass, Putin sarebbe pronto a sedersi seriamente ai tavoli negoziali.

 

Ma uno dei fattori che potrebbe pesare di più sulla Russia – in particolare quella europea – è l’isolamento culturale. Il concerto degli U2 nella metropolitana di Kiev – che alcuni osservatori hanno paragonato politicamente a una bomba atomica - al di là dei gusti personali, ha un forte significato simbolico. La Russia è stata estromessa da tutte le competizioni sportive, Netflix e Dinsey plus sono stati spenti, non arriveranno più i dischi di musica rock e jazz, non ci saranno più mostre internazionali nel paese mentre si complicherà la possibilità di viaggiare. E il peso dell’autoritarismo – come già avviene del resto ora – crescerà inevitabilmente. E nel contempo tutto ciò condurrà la parte più dinamica della società russa a costruire forme di opposizione oggi ancora poco prevedibili.

 

In Ucraina la situazione non si presenta meno complessa. In primo luogo le zone conquistate dalla Russia si stanno già trasformando in amministrazioni dell’“Impero”. In tali provincie sono già stati introdotti il roaming russo per i collegamenti telefonici e internet e il rublo è già mezzo di scambio, insomma l’annessione sarebbe già un fait accompli. Il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolay Patrushev, e braccio destro di Putin già dai tempi di San Pietroburgo, sostiene che “anche i cosiddetti partner occidentali del regime di Kiev non sono contrari ad approfittare della situazione attuale per i loro interessi egoistici e hanno piani speciali per l’Ucraina. (...) A quanto pare, la Polonia sta già passando all’azione per impadronirsi dei territori ucraini occidentali”. Si tratterebbe di un progetto di balcanizzazione del paese slavo che sarebbe sì nei piani id Mosca ma non sarebbe visto male persino in qualche capitale europea.

 

Il gruppo dirigente ucraino in fondo avrebbe da tempo inteso che l’Occidente e la Nato non sarebbero propriamente pronti a immolarsi per la “frontiera della democrazia” e l’indipendenza del loro paese mentre Zelensky più di una volta ha fatto intendere di non voler fare diventare il suo popolo un agnello sacrificale delle manovre delle grandi potenze e potrebbe puntare i piedi. Secondo il politologo russo Anatoly Nesmyanian per l’occidente è importante che “Zelensky non si trasformi in una sorta di Che Guevara”, in un leader di una “guerra di liberazione nazionale”. Molti paradossi per un paese che per molti versi comunque resta una semi-colonia occidentale: una qualsiasi spartizione del paese per ora appare poco gestibile, soprattutto perché la “società civile ucraina” che è stata armata casa per casa, famiglia per famiglia, la rigetterebbe.

 

Anche per questo recentemente lo stesso premier italiano Mario Draghi ha ripetuto il mantra di Olaf Scholz che “l’importante è che Putin non vinca”. Se la situazione restasse incerta, o si trasformasse in un’inedita fase di “nè guerra nè pace” ciò potrebbe piacere a molti.

 

A meno che Putin decida infine di prolungare il conflitto, per ragioni più interne che esterne, spingendosi verso Odessa o verso Kharkiv, e rimescolando così ancora le carte.

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