A quando la prossima pandemia?

di Franco Cavalli

 

Il titolo di questo contributo riassume a pennello il problema: non si tratta di sapere se ci sarà una prossima pandemia, ma soltanto quando ciò avverrà. E tutta una serie di segnali ci fanno pensare che ciò potrebbe avvenire anche abbastanza presto.

 

 

 

Vediamo perché: L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si dice preoccupata poiché il virus Ebola, estremamente letale, sta creando sempre più frequentemente nuovi focolai. Si cita in particolare il caso del Congo, che negli ultimi 4 anni ha registrato ben 6 focolai, uno ogni 8 mesi. Mentre fino al 2014, tra un focolaio e l’altro passavano in media 6 anni. E tutto questo perché i mutamenti climatici e la deforestazione stanno aumentando il rischio di spillover.

 

Con questo termine si intende che il virus trovato nell’uomo proviene quasi sicuramente da un pipistrello o da una scimmia, in cui Ebola è endemico. Ancora più preoccupante è uno studio pubblicato sulla principale rivista di scienza naturali Nature alla fine di aprile e ben riassunto dal corrispondente scientifico del Manifesto Andrea Capocci (30 aprile 2022).

 

Lo studio è stato coordinato da Colin Carlson della Georgetown University di Washington che insieme ad altri colleghi ha simulato al computer come il cambiamento climatico condurrà i mammiferi a cercare nuovi habitat.

 

Con l’aumento della temperatura, questi si sposteranno a quote più alte, entrando in contatto con altre specie da cui finora erano separati. Il rischio di trasmettere dei virus da una specie all’altra aumenta quindi a dismisura. Secondo il loro studio, nei prossimi 50 anni ci saranno oltre 300'000 incontri tra specie attualmente distanti e circa 15'000 virus salteranno da una all’altra, ciò che rappresenterà un enorme pericolo per la specie umana. Tanto per fare un esempio, le 13 specie che possono ospitare Ebola potrebbero entrare in contatto con circa 3'000 nuove specie e dar vita a oltre un centinaio di spillovers. Molto probabilmente il pipistrello, come è già stato il caso per Covid-19, sarà il protagonista di questa esplosione virale: tra i mammiferi è l’unico a volare e a superare le barriere geografiche. Bisogna perciò pensare che il Covid-19 non sia stato un incidente della storia, ma una prima pandemia a cui potrebbero seguirne molte altre, anche parecchio peggiori.

 

La stessa ricerca indica che più che le foreste sono le aree di nuova coltivazione (agricoltura intensiva) e di insediamento umano a rappresentare i rischi maggiori.

 

A rendere ancora più fosco l’orizzonte ci ha pensato quasi negli stessi giorni (27 aprile 2022) la Convenzione dell’ONU per la lotta contro la desertificazione (UNCCD) che ha pubblicato il suo rapporto Global Land Outlook che dovrebbe servire da base per le discussioni alla prossima COP15 che si terrà ad Abidjan in Costa d’Avorio nel mese di maggio. Secondo questo rapporto il 40% del suolo mondiale è già fortemente degradato e oltre 3 miliardi di persone cominciano già a sentirne le conseguenze.

 

Le cause di questa degradazione sono molteplici, ma la principale è chiaramente identificata dal rapporto: l’agricoltura moderna che consuma massicciamente i terreni e che divora gli spazi naturali a disposizione, soprattutto perché spinta dal doping a base di sostanze chimiche. Secondo questo rapporto, al ritmo attuale ben presto 16 milioni di chilometri quadrati saranno fortemente degradati, una superficie che corrisponde a quella del Sudamerica. Il rapporto dice chiaramente: è evidente che stiamo andando contro il muro e che bisogna cambiare direzione, trasformando fondamentalmente il nostro modo di produrre e di consumare. Difatti, è il nostro sistema alimentare a essere responsabile dell’80% della deforestazione e del degrado del suolo a disposizione.

 

Lo studio pubblicato da Nature e questo rapporto dell’Agenzia dell’ONU vanno naturalmente nella stessa direzione, in quanto è evidente che tra i due fenomeni c’è una forte correlazione di causa ed effetto. Se la deforestazione e il degrado del suolo stanno facendo aumentare continuamente il numero di coloro che muoiono già ora di fame, gli stessi fenomeni peggiorano in modo quasi esponenziale la tendenza alla crisi climatica, che da parte sua molto probabilmente genererà ulteriori e probabilmente più gravi pandemie in un prossimo futuro. Alle stesse conclusioni era arrivato il premio Nobel svizzero Jacques Dubochet nella lunga intervista che avevamo pubblicato in uno degli ultimi numeri dei nostri Quaderni (Quaderno 35) e che aveva pure lui concluso dicendo “stiamo andando con la testa contro il muro”.

 

Diventa quindi estremamente urgente cambiare direzione e aumentare la pressione sul mondo politico ed economico.

 

I semplici appelli alla ragione non bastano ormai più. Vista l’urgenza, diventa fondamentale scuotere l’opinione pubblica con metodi più efficaci, e se necessario plateali, come quelli per esempio usati da Rebellion Extinction.

 

Diamoci quindi tutti una grande mossa!

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