Militarizzazione, NATO e Svizzera

di Tobia Schnebli*

 

Uscire da un futuro di guerre

La guerra scatenata dal regime russo il 24 febbraio scorso contro l’Ucraina ha effetti traumatici per le popolazioni colpite in modo diretto dalle operazioni belliche, ma avrà conseguenze molto gravi anche per molte altre popolazioni, soprattutto nel Sud globale con la penuria e il rialzo dei prezzi dei cereali e di molte materie prime.

Le devastazioni multiple e d’intensità variabile (guerre, catastrofi ambientali, crisi economiche) che da anni colpiscono buona parte del Medio Oriente e dell’Africa non si fermeranno certo con la corsa al riarmo alla quale partecipano tutte le potenze, siano esse globali, regionali o locali.

 

Riarmo globale e rafforzamento della Nato

In Europa la guerra nell’Ucraina ha ancora intensificato le paure e il sentimento d’insicurezza di buona parte delle popolazioni già angosciate dai due anni di Covid che si sono aggiunti al degrado sociale, economico e ambientale degli anni precedenti. In questo contesto di crisi multiple e di ritorno della guerra nell’Est europeo, le classi dirigenti europee e statunitensi stanno imponendo in tempi brevissimi un riarmo senza precedenti come soluzione immediata per “garantire la sicurezza” alle loro popolazioni.

 

La Germania, col sostegno di Verdi e SPD ha adottato un programma straordinario di cento miliardi di Euro per nuove spese militari e fornisce armi sempre più “pesanti” all’Ucraina. La presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen vuole “la vittoria dell’Ucraina”, esattamente come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. La Finlandia e la Svezia, col consenso delle rispettive socialdemocrazie, stanno aderendo a tutta velocità alla Nato.

 

Nella globalizzazione neoliberista divenuta multipolare, dove ogni potenza globale o regionale mette in campo i mezzi militari di cui dispone, fino a iniziare o provocare conflitti armati per imporre i propri interessi, le classi dirigenti occidentali hanno deciso di fermare le velleità di potenza della Russia in Ucraina con misure economiche dirette (le sanzioni) e misure militari indirette (gli ingenti aiuti militari all’esercito ucraino). Per il momento evitano lo scontro militare diretto con la Russia per ridurre la possibilità di una guerra nucleare. Comunque vada, la guerra in Ucraina rischia di trascinarsi ancora, con conseguenze estremamente nefaste non solo per le popolazioni direttamente implicate.

 

Il riarmo dell’Offshoristan elvetico

I partiti borghesi svizzeri si sono parzialmente allineati alla politica di sostegno economico-militare all’Ucraina degli USA e dell’UE e di isolamento economico e indebolimento militare della Russia. La borghesia svizzera cerca nel contempo di mantenere il più possibile i benefici derivanti dai privilegi fiscali che l’Offshoristan svizzero, ovvero la piazza economica e finanziaria svizzera, accorda a una parte importante degli attori della globalizzazione neoliberista basati in Svizzera (società multinazionali di ogni tipo, i traders di materie prime, gli oligarchi e i miliardari di tutto il mondo).

 

Le sanzioni economiche contro la Russia e contro gli oligarchi vicini al regime di Putin sono state applicate con ritardo e difficoltà dalla Svizzera. Ancora oggi (fine maggio) il Consiglio federale sta rispondendo con manovre dilatorie alle richieste statunitensi e europee di cooperare con la Task Force internazionale “REPO” (Russian Elites, Proxies and Oligarchs) per rintracciare efficacemente le centinaia di miliardi di averi russi depositati, tra le altre, nelle banche svizzere.

 

La disponibilità a cooperare è invece molto più forte in ambito militare. L’aumento spettacolare da 5 a 7 miliardi all’anno delle spese militari imposto dal centro-destra borghese serve anche a dimostrare ai partner europei e americani che la Svizzera non cerca solo di approfittare del suo statuto di paradiso fiscale “Offshore”, formalmente indipendente dall’UE e dalla Nato, ma che intende partecipare in modo “sostanzioso e credibile” allo sforzo militare per la difesa dell’Europa e degli interessi occidentali. Se vuole mantenere il suo statuto particolare (il “Sonderfall” caro all’UDC), comunque strettamente legato agli interessi occidentali, la Svizzera deve offrire almeno una partecipazione al “rafforzamento della cooperazione con la Nato”, confermato nel recente incontro al WEF di Davos tra la ministra della Difesa svizzera Viola Amherd e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.

 

L’espressione-chiave per la cooperazione militare con la Nato è la “interoperabilità” dei sistemi d’armamento. Le modernizzazioni dell’esercito svizzero per effettuare manovre in comune con la Nato hanno un prezzo che la Svizzera intende assumere. Nello stesso senso va letta la pressione antidemocratica senza precedenti per confermare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 ancora prima del voto sull’iniziativa popolare che chiede di rinunciare a quell’acquisto.

 

Esponenti dei partiti borghesi stanno proponendo anche nuove soluzioni per aggirare gli ostacoli legali all’esportazione di armi verso l’Ucraina in guerra, per esempio esportando materiale di guerra verso paesi che non partecipano direttamente alla guerra, ma che potrebbero così fornire all’Ucraina le proprie scorte di armi, sostituendole nei propri arsenali con quelle fabbricate in Svizzera.

 

L’opposizione al riarmo massiccio proposto dai partiti borghesi rimane per il momento confinato al parlamento. Anche tra i Socialisti e i Verdi che hanno votato contro l’aumento delle spese militari c’è chi contesta i modi (la precipitazione, la difesa autonoma, le spese per armi classiche, munizioni, mortai, lifting dei carri armati) piuttosto che il principio di una difesa all’altezza delle nuove minacce (cyberattacchi, satelliti, guerre elettroniche…) e integrata a un sistema di difesa europea.

 

Per un’uscita utopica dalla logica di guerra

Il riarmo, i conflitti armati e le politiche d’interesse delle potenze economiche mondiali e regionali non porranno termine all’attuale cammino autodistruttivo dell’umanità.

 

Dopo il 24 febbraio, il boicottaggio immediato e totale del gas e del petrolio russi, aggiunto alla confisca e alla ridistribuzione in Ucraina e in Russia di tutti i capitali e i beni degli oligarchi russi sparsi nel mondo, avrebbero potuto segnare un inizio serio per una politica di pace, di giustizia sociale, di giustizia climatica e ambientale, da estendere rapidamente al mondo intero.

 

 

 

 

*Tobia Schnebli

militante del GSsE e presidente del Parti du Travail di Ginevra

Tratto da: