Da Fukujama al SultaNATO

L'editoriale - Quaderno 39

 

Dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, il politologo americano ed influente consigliere a Washington Fukujama dichiarò urbi et orbi che il capitalismo aveva definitivamente vinto, che il mondo sarebbe stato ormai unipolare (diretto naturalmente da Washington), minacciando il peggio a quei riottosi che magari non avrebbero voluto capire che aria tirava.

 

Così, dopo le speranze degli anni della “coesistenza pacifica” si risdoganava, e neanche troppo implicitamente, la guerra quale proseguimento “normale” della politica imperiale. A dimostrarlo ci sono la decina o più di guerre, quasi mai neanche minimamente conformi al diritto internazionale, degli ultimi 30 anni: dall’Iraq allo Yemen, passando dall’Afghanistan e dalla Jugoslavia. Nel frattempo l’Occidente tramite FMI e Banca Mondiale imponeva alla Russia un immediato e violento passaggio ad un capitalismo duro e puro, con milioni di vittime (si veda in questo Quaderno l’articolo su Holodomor) e sulle cui ceneri si è poi formato l’attuale capitalismo degli oligarchi.

 

Brzezinski, per molti anni ispiratore della politica americana, formulò chiaramente la necessità che la Russia venisse degradata a potenza regionale, senza ruolo dominante in Eurasia, “di cui l’Ucraina è la porta d’entrata fondamentale”. Seguendo quanto era riuscito con la Jugoslavia, si faceva anche capire che sarebbe stato utile scomporre la Federazione Russa in 7 o 8 staterelli indipendenti. La rivolta di Majdan nel 2014, la cui dinamica non è mai stata veramente chiarita, e le sue conseguenze, compresa la guerra civile nel Donbass con i suoi 14'000 morti, non possono essere comprese senza tener conto di questa tela di fondo.

 

Washington, forte del suo controllo del commercio mondiale grazie al dollaro e della sua schiacciante supremazia militare, dopo la scomparsa dell’URSS, non ha mai veramente accettato l’idea di un mondo multipolare. Da qui il contrasto evidente tra l’estensione a marce forzate della NATO verso Est e il poco entusiasmo (eufemisticamente) statunitense per l’allargamento dell’UE sino ai confini russi.

 

Da qui anche il fallimento, in gran parte provocato da Washington, degli accordi di Minsk che grazie all’impegno di Angela Merkel avrebbero probabilmente potuto risolvere la crisi ucraina. Merkel da sempre aveva favorito una struttura piuttosto multipolare del mondo e forse perciò ora è scomparsa dai media occidentali o allora viene senza troppe perifrasi accusata di corresponsabilità dell’aggressione di Putin, essendo lei sempre stata “troppo debole” verso l’autocrate del Cremlino.

 

E se è evidente che l’attuale guerra criminale è stata scatenata dalle mire imperiali neo-zariste di Putin, non si possono però sottacere né lo scontro d’interessi economici tra oligarchi russi e ucraini né la volontà sempre più evidente della NATO di prolungare lo scontro armato (in buona parte già coordinato dall’intelligence occidentale), non tanto per aiutare la “democrazia in Ucraina”, ma bensì per indebolire al massimo la Russia. Ma non solo.

 

Grazie a questa guerra, NATO e Washington hanno ormai messo in riga l’UE, obbligata ad abbandonare ogni velleità di costruire un terzo polo tra USA e Cina. Sempre più evidenti sono poi gli enormi profitti che si stanno generando a favore dei petrolieri, dell’industria bellica e di altre multinazionali, che stanno moltiplicando 5 o 10 volte (Glencore!) i loro già stratosferici guadagni. L’evidente maggiore efficacia delle armi occidentali fornite a Kiev (droni, ma soprattutto gli ormai famosi missili Himars) è poi una magnifica vetrina pubblicitaria che sta già facendo esplodere il commercio d’armi statunitensi.

 

È quindi sempre più chiaro che molti, soprattutto tra gli oligarchi occidentali, che controllano anche il 95% dei media mainstream, non vogliono la pace e che questa è una guerra in gran parte combattuta sulla pelle del popolo ucraino, anche se quest’ultimo sta dimostrando, contrariamente a quanto credevano a Mosca, un’eroica resistenza. Popolo che si meriterebbe senz’altro un governo migliore di quello corrotto e oltranzista di Zelensky. Ormai quasi tutti hanno capito che quanto sta capitando ha invece relativamente poco a che fare con la tanto sbandierata lotta tra “democrazie e autocrazie”, favoletta questa data in pasto soprattutto all’opinione pubblica internazionale.

 

Per rendersene conto basterebbe pensare anche solo un attimo al ruolo che gioca in tutta questa storia il sultano Erdogan, autocrate non certo migliore di Putin e da anni impegnato nel genocidio del popolo curdo. È anche sempre più evidente che da questa tragedia ad uscire rafforzati saranno soltanto gli Stati Uniti. Ciò non potrà che rappresentare una grave minaccia per la pace mondiale.

 

Washington, sempre più alle prese con la sua ingravescente crisi interna, non ha difatti nessuna intenzione di accettare la possibilità che la Cina possa uguagliarne la forza economica e che grazie al faraonico progetto della nuova Via della Seta possa affermarsi a livello mondiale come nuovo polo magari equivalente come sfera d’influenza a quello statunitense. Ultima dimostrazione ne è stata l’irresponsabile visita di Nancy Pelosi a Taiwan.

 

Tutti gli storici ricordano che questa costellazione coincide con la famosa Trappola di Tucidide (allora riferita a Sparta e ad Atene), dove la potenza declinante ma sempre ancora militarmente più forte quasi mai riesce ad evitare la tentazione di annientare l’avversario con mezzi bellici.

 

Oggi però questo significherebbe quasi sicuramente la guerra nucleare, che già in Ucraina si sta sfiorando senza troppi patemi d’animo. Diventa quindi estremamente urgente rilanciare a livello mondiale un forte movimento pacifista.

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