Alcune domande scomode a Boas Erez

di RedQ

 

Boas Erez, è professore di matematica presso l’Università della Svizzera italiana, di cui è stato Rettore da settembre 2016 a maggio 2022. Nato a Coira nel 1962, ha passato i primi anni della sua vita a Berna, città di cui è originario. 

 Ha frequentato le scuole fino al Liceo a Lugano, e ha effettuato gli studi universitari a Ginevra. Dopo un primo impiego come professore presso la Harvard University, ha proseguito la sua carriera a Bordeaux, dove ha vissuto per 24 anni.

 

Redazione: Alcune sue prese di posizioni pubbliche su temi politici, dopo la sua uscita di scena quale rettore dell’USI, hanno fatto parecchia impressione all’Establisment ticinese, a cui professori e ricercatori vanno bene, finché non mettono il naso in politica. Che ne dice?

Boas Erez: Rispondo parafrasando quanto ha detto il Prorettore vicario Lorenzo Cantoni in un’intervista rilasciata recentemente al Corriere del Ticino. Penso che le prese di parola che hanno come obiettivo di cercare di avvicinarci alla verità sono sempre legittime. Non si giustificano invece quelle volte a mettersi in mostra.

 

Oltre le varie dichiarazioni, ha partecipato al meeting anti-NATO a Madrid, ha accompagnato gli edili nella grande manifestazione organizzata a Zurigo da UNIA, ed è stato visto al presidio in Piazza Dante contro la guerra in Ucraina a Lugano. I commentatori mainstream ticinesi parlerebbero di manifestazioni di estrema sinistra. È quella la sua casa?

Riconosco l’importanza di alcune posizioni che definiscono la sinistra della sinistra, e apprezzo gli interventi di alcuni suoi esponenti. Come ho avuto modo di spiegare in un’intervista in Area, mi è interessato e piaciuto vedere da vicino come il sindacato porta avanti una discussione fondamentale per tutto il mondo del lavoro svizzero. Sarebbe triste se la questione del Contratto quadro per l’edilizia interessasse solo l’estrema sinistra. Analogamente, le posizioni espresse dal Comitato (ticinese) contro la guerra in Ucraina possono essere largamente condivise. Ho elaborato questo punto in un articolo, indicando che se si vuole lavorare in buona intesa con il governo ucraino alla ricostruzione dell’ex-Repubblica sovietica, sarebbe opportuno manifestare il proprio dissenso riguardo ad alcune recenti decisioni di stampo neo-liberale che questo governo ha preso, e che contraddicono i principi avanzati per la ricostruzione al termine della conferenza che si è tenuta a Lugano (UCR2022).

 

In un suo commento pubblicato parecchio tempo fa nel Corriere del Ticino, aveva espresso delle posizioni critiche a proposito della politica del Consiglio Federale in tempi di pandemia Covid, critiche che andavano un po’ nella direzione no-Vax o Amici della costituzione. I nostri Quaderni invece hanno sempre sostenuto la necessità di avere misure precauzionali ancora più dure, addirittura vicine alla “zero Covid” cinese. Ci interessa molto il suo commento.

Ho sempre fatto la differenza tra due cose. Da un lato, la questione della vaccinazione, e dall’altro quella del certificato Covid (pass sanitario). Riguardo alla vaccinazione, credo che per portare la popolazione a vaccinarsi si debba usare l’argomentazione razionale, e non – per esempio – giocare sulla paura. Coerentemente con questa posizione sono contrario a imporre l’obbligo della vaccinazione, che certamente nel caso del Covid è un attacco infondato all’integrità fisica delle persone. D’altro canto, l’introduzione del certificato Covid ha dato luogo ad abusi sufficientemente gravi perché lo si abbandoni. Bisogna ricordare che 38% della popolazione si è schierata contro le modifiche della legge Covid-19, non è quindi sorprendente che vi fossero tra gli oppositori cittadini di credo politico diverso. Recentemente, attraverso amici, ho incominciato a frequentare le riunioni del gruppo eterogeneo che fa vivere Tribune Libre (TL), una pubblicazione che nello spirito è simile ai Quaderni. Questo gruppo, essenzialmente composto da persone di sinistra e vicine al mondo sindacale, ha lanciato l’idea di una Conferenza nazionale della resistenza, per cercare di riunire diverse forze che si oppongono agli aspetti liberticidi e antisociali della politica del governo. È chiaro che vi sono persone di ambiti molto vari che potrebbero aderire a una tale idea. Mi sembra però che l’impostazione data da TL all’iniziativa sia sufficientemente rigorosa per evitare derive verso l’estrema destra. Comunque è necessario perseguire scambi a livello nazionale su tematiche di questa importanza, anche al di là degli schieramenti partitici.

 

Il mondo accademico svizzero è in grosse difficoltà per l’impossibilità delle nostre università di partecipare ai programmi europei a seguito della rottura delle trattative sull’Accordo Quadro. Il mondo sindacale con la sua decisa opposizione alle richieste antisociali della Commissione UE, era stato decisivo nel far fallire queste trattative. Un dilemma per ogni ricercatore. Cosa propone?

Istintivamente sono europeista e mi dispiace che l’attuale impostazione dell’Unione europea in ambito economico sia di stampo neo-liberale. L’Unione promuove però anche alcune iniziative esemplari. Per quel che riguarda la difesa dei diritti umani, l’Europa gioca un ruolo che evita derive troppo importanti ai suoi membri. Essa è pure stata più veloce di molti Stati a varare misure per la difesa della privacy, per la libertà di stampa, ecc. I programmi quadro per lo sviluppo della ricerca e della formazione universitaria sono fondamentali per lo sviluppo del Continente. I membri lo hanno confermato accordando a questi programmi un budget sempre più imponente. Ogni accordo dev’essere analizzato per quello che è. Forse attualmente le posizioni della Svizzera e quelle dell’Unione non sono conciliabili. Detto questo, la Svizzera ha una posizione ambigua, che non può sfociare in un negoziato chiaro. È mancato un dibattito a largo raggio, aperto e informato che avrebbe permesso di capire le aspettative e i timori delle varie componenti del Paese, così da arrivare a un compromesso d’insieme, in modo da avere una base solida per le discussioni con la Commissione. Concretamente, promuoverei un tale dibattito.

 

Tutti si aspettano che lei prima o poi scenda in politica, candidandosi ad una delle prossime elezioni. A noi sembra che l’ambito federale sarebbe quello a cui potrebbe maggiormente contribuire e che più le si addice. È anche la sua opinione?

Oltralpe, mi è capitato più volte di vedere che il Ticino si trova al margine delle preoccupazioni dei nostri compatrioti. Peggio, da qualche anno sento che la benevolenza dei gruppi maggioritari nei confronti della nostra minoranza va scemando. È quindi importante far sentire la nostra voce nel coro nazionale. Per questo bisogna essere pronti a lavorare al livello federale con i rappresentanti degli altri Cantoni. È un lavoro che si può fare in più modi. Se un numero sufficiente di persone pensasse che potrei contribuire a far crescere il Cantone lavorando in seno alle Camere federali, lo farei volentieri.

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