Silicon Valley: striscia a destra. Una deriva inquietante

di Luca Celada, corrispondente da Los Angeles

 

Il nome Silicon Valley, sede dell’industria con l’impareggiabile potere di plasmare la nostra quotidianità in maniera intima ed epocale, trasuda progresso tecnologico e un impegno per un mondo migliore proclamato in innumerevoli campagne pubblicitarie.

Più che un semplice luogo (i sobborghi per la verità abbastanza anonimi di San Josè) il nome evoca un’utopia di virtuosa meritocrazia e giovani innovatori che sorseggiano caffè biodinamico (e gratuito) al bar aziendale.

 

Ma se l’etos prevalente nella forza lavoro rimane sicuramente di “illuminata iconoclastia,” ai vertici si va rafforzando una fazione decisamente opposta. Per alcuni il “coming out” è coinciso con l’elezione di Donald Trump, quando il presidente ancora in pectore aveva convocato un summit di magnati digitali cui erano accorsi fra gli altri il capo della Tesla Elon Musk e il fondatore di Pay Pal Peter Thiel. I due erano stati pionieri della new economy lavorando assieme negli anni 90 allo sviluppo della piattaforma di pagamenti elettronici. Ognuno a modo suo sarebbe stato destinato a ricoprire un ruolo di rilievo nell’ala Alt Right di Silicon Valley.

 

Musk, capace di usare la propria azienda aerospaziale (Space X) per mettere in orbita una delle sue auto (Tesla) è il prototipo di imprenditore-star, vedetta dei rotocalchi.

 

Durante il suo (apparentemente fallito) takeover di Twitter ha sposato posizioni progressivamente più spregiudicate. Prima si è pronunciato a favore della riammissione al social dell’ex presidente bannato, poi in una serie di polemici tweet ha denunciato la deriva “estremista” dei liberal (solo la radicalizzazione a sinistra, ha scritto, poteva spiegare come lui potesse apparire reazionario). In verità Musk non sembra avere bisogno di aiuto alcuno per dire e fare “cose di destra”. Come quando, ad esempio, nel pieno della pandemia, ha intimato agli operai della fabbrica Tesla di Fremont in California di rimanere alla catena di montaggio malgrado il lockdown proclamato dalla autorità sanitarie. A giugno di quest’anno è tornato a minacciare i suoi impiegati di licenziamento in tronco se non avessero fatto immediato ritorno agli uffici dopo mesi di regime a distanza.

 

Una contraddizione di fondo vi è sempre stata fra il progressismo sociale di Silicon Valley e l’incontrovertibile realtà dell’industria come una delle maggiori oligarchie monopoliste della storia del capitalismo. L’anti sindacalismo ad esempio è insito nel DNA di Silicon Valley, collegato al mito individualista ed al culto della meritocrazia estrema che vi impera. L’’allergia alla contrattazione collettiva di personaggi come Jeff Bezos ad Amazon è la regola più che l’eccezione in un’industria che ha introdotto il precariato endemico della gig economy.

 

La filosofia liberista (“libertarian) è fortemente radicata a Silicon Valley. È un’ideologia che postula l’influenza quasi misticamente benefica del libero mercato e che ebbe forte impulso nell’opera di Ayn Rand. Negli anni 20 e 30 l’autrice transfuga russa guadagnò un nutrito seguito con la sua filosofia “oggettivista” e le sue tesi ultra individualiste che idealizzavano l’iniziativa del singolo come massima espressione virtuosa dell’uomo (fra gli adepti vi era anche l’ex chairman della Federal Reserve, Alan Greenspan). Rand, il cui viscerale anticomunismo la portò più tardi a collaborare con la caccia alle streghe di Joe McCarthy, è stata oggetto di un revival nella nuova destra a partire dagli anni ‘90. Fra i suoi ammiratori vi è Peter Thiel, l’esponente più celebre e radicale della destra radicale a Silicon Valley.

 

Di famiglia tedesca, cresciuto in Namibia sotto l’apartheid prima di trasferirsi in California, Thiel ammira Rand (oltre che Ronald Reagan) già da ragazzo. Successivamente, a Stanford, fonderà la rivista studentesca conservatrice Stanford Review. Sarà fra i primi investitori di Facebook (quando Zuckerberg era ancora studente di Harvard), rimanendo nel consiglio di amministrazione fino a quando il suo contributo di 1,5 milioni di dollari alla campagna di Donald Trump porterà alle sue dimissioni – allineandolo con esponenti dell’estrema destra, come il parlamentare Matt Gaetz, che accusano FB di censurare le opinioni dei conservatori.

 

Thiel farà fortuna soprattutto con Pay Pal (una joint venture con Musk e un gruppo di altri imprenditori noti come la “Pay Pal Mafia”) ma stabilisce anche un paio di fondi di investimenti tech e la società di software Palantir (il nome è preso dalle pietre divinatorie del mago Sauron nei libri di JRR Tolkien). Negli anni le sue posizioni politiche si fanno sempre più radicali. Nel 2006 è relatore per la Property & Freedom Conference, una formazione anarco-capitalista che riunisce “libertariani” e nazionalisti bianchi, inoltre è membro della commissione permanente del gruppo Bilderberg.

 

Nel gergo di Silicon Valley i disruptor sono spregiudicati capitani d’industria che rompono gli schemi e inventano il futuro scrivendo le proprie regole, e male sopportando le interferenze di regole e normative. Figure prometeiche insomma, simili ai personaggi nei romanzi della Rand. Ma Thiel va oltre. In un saggio per il Cato Institute, arriva a scrivere: “Non credo più nella compatibilità di democrazie e libertà (perché) se abilitato, il demos finirà inevitabilmente per votare restrizioni al potere dei capitalisti e quindi restrizioni alle loro libertà.”

 

È una filosofia che spiega anche il fascino esercitato dalle cripto valute come strumento di affrancamento dall’autorità delle banche centrali e degli stati che la esprimono, una attraente prospettiva per aziende che spesso dispongono di riserve liquide simili al PIL di piccole nazioni. Né è casuale, forse, l’attrattiva che hanno su molti magnati del digitale le città utopiche che alcuni di loro propongono di costruire. Fra queste vi sono Telosa e Blockchain City entrambe nel deserto americano e numerosi progetti di “seasteading” complessi abitativi galleggianti in acque internazionali – quindi fuori dalle giurisdizioni nazionali. Al centro di ogni progetto ricorre l’idea della “costruzione del benessere” tramite un mercato senza briglie, e l’indipendenza dalle amministrazioni pubbliche. E poco sotto la superficie, si trova la convinzione che queste cittadelle siano prototipi di entità post-statuali destinate a sopravvivere il collasso prossimo venturo della società collettiva.

 

È un imaginario apocalittico più diffuso di quello che si possa pensare nella capitale della tecnologia e rimarrebbe confinato alle fantasticherie fantascientifiche se non fosse che alla destabilizzazione della democrazia USA magnati come Thiel sembrano lavorare attivamente. In questo quadro si inseriscono le sue laute donazioni a campagne politiche di candidati “negazionisti” (sostenitori della tesi sulle elezioni “rubate” a cui Trump punta per tornare al potere). Fra questi spiccano Blake Masters e JD Vance, aspiranti senatori rispettivamente in Arizona e Ohio, entrambi noti per le fatali attrazioni ad ambienti antisemiti e suprematisti. Da lui hanno ricevuto più di 30 milioni di dollari. Si profila insomma una saldatura strategica fra utopia liberista e nazional populismo, confermata anche dai contatti che Thiel ha avuto con Steve Bannon e con lo stesso Trump nel buen retiro di Mar-aLago.

 

Le simpatie conservatrici di Silicon Valley non sono confinate a figure così estreme. Personalità come Larry Ellison (Oracle), Craig Barret (Intel) Michael Dell (Dell), Palmer Luckey (Oculus VR) e Tim Armstrong (AOL) sono tutti stati sostenitori finanziari del GOP. Il “partito” trasversale libertarian inoltre conta aderenti in aziende come Airbnb, Reddit, SpaceX, Uber e Lyft.

 

In un momento che sta mostrando la fragilità strutturale della democrazia americana, passata in pochi mesi da un tentato golpe all’abrogazione di un diritto acquisito come l’aborto da parte di una fazione fedele alla minoranza integralista religiosa, le pulsioni estremiste emergenti fra gli artefici del capitalismo della sorveglianza – i signori dei dati e dell’informazione - non possono non inquietare.

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