No ai caccia F-35 e no all’esercito

di Fabio Dozio

 

Non sarebbe la prima volta che in Svizzera un consigliere federale venisse abbattuto da un caccia militare. Meglio, oggi, da 36 jet, ovvero gli F-35 che il governo svizzero ha deciso di acquistare dagli Stati Uniti. 

 Potrebbe accadere a Viola Amherd, la capa del Dipartimento della difesa, che si è fatta convincere dagli alti graduati dell’esercito a spendere più di 6 miliardi di franchi. La storia degli F-35 puzza già di scandalo.

 

 

 

Prezzo ballerino...

Se ne preoccupa il Controllo Federale delle finanze (CDF) – organo di sorveglianza sulle spese del Governo – che, nel giugno scorso, ha rivelato le sue perplessità sull’acquisto dei caccia: “Il CDF ritiene che per l’acquisto degli F-35A non vi sia la garanzia legale di un prezzo fisso, ossia un importo forfettario ai sensi della giurisprudenza svizzera. Neppure le spese di manutenzione per l’intero ciclo di vita possono essere determinate con certezza. Il CDF raccomanda ad armasuisse di aggiungere questi aspetti finanziari all’inventario dei rischi. Il CDF non ha effettuato una verifica finanziaria dei costi dell’F-35A, né della fase di valutazione dei candidati che ha portato a scegliere questo aereo. Questa sarà esaminata dalla Commissione di gestione del Consiglio nazionale nel corso del 2022”. Il CDF ha pure rivelato che Viola Amherd ha chiesto un parere tecnico esterno allo studio di avvocati Homburger di Zurigo. In due paginette lo studio ha definito “plausibile” la decisione di acquistare i caccia: la perizia è costata 550 mila franchi.

 

...e taroccato.

Il Dipartimento militare ha imbambolato la consigliera federale, dicendo che gli F-35 costano meno dei concorrenti europei Rafale, Eurofighter e Super Hornet. Ma la differenza di costo è discutibile. Nel prezzo d’acquisto figurano anche i costi operativi per i prossimi trent’anni. I vertici grigioverdi hanno ridotto del 20% le ore di volo pianificate per gli F-35 (5 mila ore contro 6480 per i tre jet concorrenti). In questo modo si è ridotto il prezzo dei caccia USA. Questa riduzione delle ore di volo potrebbe, secondo due esperti britannici (Tom Robinson di Aerospace Magazine e Craig Hoyle di Flight International), comportare dei rischi nella formazione dei piloti, che avranno meno opportunità di volare.

 

C’è un’altra ombra sull’operato di Viola Amherd, quella di non aver tenuto conto delle contropartite politiche e finanziarie che avrebbe offerto l’acquisto di un velivolo francese. Mentre il Dipartimento della difesa proponeva l’F-35, altri consiglieri federali stavano trattando con Parigi, per valutare condizioni più favorevoli per l’acquisto del Rafale. Inoltre, far volare i nostri top gun costerà dai 55 ai 60 mila franchi l’ora.

 

871 carenze tecniche

I problemi tecnici del F-35 sono noti da anni. Dieci anni fa l’ “USA Government Accountability Office” (GAO), la Corte dei Conti americana, denunciava i difetti del jet della Lockheed Martin, venduto quando ancora non erano ultimate le verifiche tecniche. Recentemente, fonti del Dipartimento della difesa statunitense hanno denunciato, davanti al Congresso, 871 carenze tecniche dell’ F-35, fra cui almeno una decina che possono “causare la morte o lesioni gravi”. Sempre il GAO, ha rivelato Bloomberg nel giugno scorso, ha denunciato problemi al reattore dell’F-35, che si “degrada più velocemente del previsto”.

 

Rumorosissimo

Altra pecca del gingillo miliardario è l’eccessivo rumore. I nuovi caccia producono un rumore doppio rispetto agli attuali F/ A18. Per chi abita nelle vicinanze degli aeroporti di Payerne (VD), Meinringen (BE) e Emmen (LU), ci saranno effetti nefasti sul sonno e sulla salute. Per correre ai ripari, il Dipartimento della difesa ha deciso di ridurre i voli del 50%. Miliardi per lasciare i superjet negli hangar!

 

Svizzera sicura senza F-35

Chi l’avrebbe detto? Fra i contrari all’acquisto di questi caccia americani c’è anche un gruppo borghese svizzero tedesco, formato da militari, imprenditori e politici: “Gruppo per una Svizzera sicura”. Ai loro occhi, l’F-35 non è un buon apparecchio, non è adatto alla polizia dei cieli, ma è indicato per sganciare bombe di precisione su un paese nemico, cosa che la Svizzera non è chiamata a fare!

 

Parola al popolo

In settembre, le commissioni del Parlamento dovranno valutare ancora la questione dei costi. Sull’acquisto dei caccia si dovrebbe esprimere il popolo, visto il successo del referendum per vietarne l’acquisto. Fra i motivi dei contrari, anche la dipendenza politica, e non solo tecnologica, dagli Stati Uniti, dove è gestito il sistema informatico dei caccia. “Il Pentagono è sempre a bordo. – ha detto un deputato socialista – La sovranità e la sicurezza dei dati non è garantita”. Ma Viola Amherd non si è smentita nemmeno sul referendum, dicendo, con poco spirito democratico, che intende firmare il contratto con gli USA, prima della decisione popolare.

 

Più soldi per le armi?

L’industria degli armamenti e le lobby militari stanno vivendo un momento magico, determinato dalla guerra in Ucraina. Il conflitto viene sfruttato per imporre la necessità di accrescere la spesa per le armi. Chi ha definito emotiva la scelta di uscire dal nucleare dopo Fukushima, ora sfrutta gli aspetti emozionali della guerra, per chiedere più soldi. L’esercito svizzero riceve più di 5 miliardi di franchi all’anno. Ora la maggioranza parlamentare propone di aumentare la spesa a 7 miliardi. I vertici militari affermano di non sapere come utilizzarli (sic), ma potrebbero sacrificare formazione, sanità e chissà cos’altro.

 

Nelle mani della NATO

L’esercito elvetico fa acqua. La lista dei problemi grandi e piccoli è lunga: dal vecchio scandalo dei Mirages a quello del Panzer 68 (se si accendeva il riscaldamento, sparava!), dai caccia che fino all’altro ieri volavano solo nelle ore d’ufficio, ai ritardi nell’informatica e nella digitalizzazione, alle 700 mila mascherine non a norma acquistate per 6 milioni di franchi. L’esercito ha perso credibilità negli ultimi anni, tanto che sul curriculum di un giovane vale di più il servizio civile rispetto all’anno in caserma.

 

D’altra parte, la dimostrazione logica dell’inefficienza delle nostre truppe la offre Thomas Süssli, futuro generale in caso di conflitto. Alla domanda su come può difendersi la Svizzera in caso di guerra, risponde: “Con i nostri mezzi odierni dopo un paio di settimane è finita. Ma in questo caso la neutralità decadrebbe. Quindi dovremmo e potremmo collegarci ad altri Stati, e anche alla NATO”. Süssli sa bene che, in caso di aggressione, con tre missili su Payerne, Meinringen ed Emmen, i nostri caccia sarebbero sbriciolati. Il capo dell’esercito dovrebbe dichiarare forfait dopo due settimane di conflitto. Certo, la dichiarazione mira a ottenere maggiori soldi: per resistere una settimana in più? Ma cosa ne è stato dei cinque miliardi all’anno ricevuti finora?

 

La Svizzera è nella ristretta cerchia di Paesi che contano il maggior numero di jet per km quadrato, se si considera la dimensione dello spazio aereo. La Confederazione supera Austria, Svezia e Finlandia!

 

Più soldi all’esercito non offrono garanzie di maggiore sicurezza. La guerra in Ucraina sta dimostrando che conta di più la contraerea dei caccia. Semmai, vanno utilizzati e sviluppati i droni e i Pilatus svizzeri.

 

Se il nostro Paese deve mettersi nelle mani della NATO, tanto vale rinunciare all’esercito, come fa l’Islanda.

 

Ma meglio ancora sarebbe rinunciare all’esercito e anche alla NATO.

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