Tracce di rosso, ovvero 100 anni di presenza socialista in governo

di Fabio Dozio

 

“Bisogna prendere atto dei duri colpi della vita e prendere gli ideali e abbassarli alla tua altezza”. (Pietro Martinelli)

 

Cento anni di presenza socialista nel governo ticinese, dal 1922 al 2022.

Cento anni fa, un altro mondo! Il dibattito sulla partecipazione all’esecutivo cantonale fu vivace. Lo sciopero generale del 1918 era appena finito, la rivoluzione d’Ottobre in Russia pure. Soffiavano anche sul piccolo Ticino venti rivoluzionari. Lenin era il personaggio del momento. E c’era chi, su Libera Stampa, il quotidiano socialista, citava il leader russo per perorare la causa della partecipazione. Per essere integralmente rivoluzionari è il titolo dell’articolo che afferma: “I rivoluzionari che non sanno unire alle forme illegali di lotta tutte le forme legali sono pessimi rivoluzionari” (in: L’estremismo, malattia infantile del comunismo di Lenin). È quanto spiegano molto bene Pasquale Genasci e Gabriele Rossi, della Fondazione Pellegrini Canevascini (FPC), curatori di Tracce di rosso, la pubblicazione che celebra i cento anni del PS in governo.

 

Nel 1922 il partito socialista si apprestava a entrare in governo con obiettivi di lotta e con una partecipazione anti-collaborazionista. Si trattava di penetrare gli organismi borghesi per metterne a nudo il funzionamento, per servirsene come mezzo di agitazione, senza credere “all’illusione che la soluzione definitiva del problema sociale sia comunque possibile nell’orbita dei poteri presentemente costituiti”.

 

Guido Pedroli, nel 1961, ha sintetizzato criticamente e lucidamente: “In fondo, siccome (i socialisti) non si aspettavano la rivoluzione né dalle loro idee né dalla loro azione diretta ma tutt’al più dal corso stesso delle cose, essi potevano continuare a parlarne, mentre accettavano come ‘rivoluzionaria’ ogni riforma genericamente sociale attuata con il consenso della maggioranza borghese”. (Il socialismo nella Svizzera italiana 1880-1922).

 

Insomma, la via riformista e istituzionale, malgrado certi toni suggeriti dallo spirito dei tempi, era già tracciata...

 

 

Cosa si è fatto?

I curatori di Tracce di rosso concludono l’introduzione affermando che “non è nostro compito lanciarci pro o contro la partecipazione al governo ma fornire, nel limite del possibile, una prospettiva storica per formulare un giudizio più ponderato”.

 

Il dibattito su dentro o fuori il governo avrebbe senso solo se si mettesse in discussione il sistema elettorale, che dovrebbe diventare maggioritario, per giustificare la contrapposizione tra schieramenti.

 

Perciò, per ora, vale la pena porre un altro quesito:

come è stata la presenza socialista in governo e che frutti ha dato?

Per i primi 37 (trentasette!) anni in Consiglio di Stato c’è stato Guglielmo Canevascini, soprannominato il Padreterno, leader indiscusso, sindacalista, fondatore di Libera Stampa e, appunto, consigliere di stato.

 

Lo storico Pasquale Genasci dà un giudizio complessivamente positivo della presenza socialista in governo, anche se “non ha permesso di incidere sempre in profondità”. “Sin dagli inizi Guglielmo Canevascini fu ago della bilancia in governo – ci dice – e, in questa situazione di forza, fu in grado di far passare una serie di idee e proposte di miglioramenti in vari ambiti, specialmente in quello sociale o del lavoro. Durante l’intesa di sinistra, con gli alleati liberali, riuscì ad esempio a far varare due leggi fondamentali: la legge tributaria (1950) e la legge sul lavoro (1953), che impostavano in modo innovativo le due problematiche. Ma anche quando fu ai margini all’interno dell’esecutivo, egli seppe sviluppare il Dipartimento igiene, considerato minore, antenato del Dipartimento delle Opere sociali, istituito poco prima dell’uscita dal CdS nel 1959. Negli anni Cinquanta, complice anche la lunga permanenza nell’esecutivo, egli fu però piuttosto succube della politica liberale, in particolare nella questione idroelettrica, dove si allineò ad esempio a Nello Celio, favorevole al rinnovo della concessione delle acque della Biaschina a privati”.

 

Bilancio positivo con qualche neo

Tracce di rosso è un lessico imperfetto dei socialisti in governo, come lo definiscono i curatori, con una trentina di brevi capitoli, che riassumono gli aspetti principali dell’esperienza socialista.

 

Complessivamente, il bilancio che esce dalla pubblicazione della FPC è positivo. Come dice Werner Carobbio, grande vecchio del socialismo ticinese e uno dei leader del Partito socialista autonomo, “per la sinistra e i socialisti essere presenti in governo anche se in minoranza non solo è utile, ma necessario”.

 

Vale però la pena, anche per non cadere nell’agiografia, cercare di evidenziare, nei testi proposti, alcuni punti critici che rivelano le debolezze di questa partecipazione.

 

Una valutazione di fondo: nel corso del secolo il dibattito politico si è affievolito. 37 anni di Canevascini in governo hanno appiattito il partito. Poi c’è stata la vampata post sessantotto, con l’espulsione del gruppetto che ha dato vita al Partito Socialista Autonomo. Il dibattito si è rinvigorito, ma con l’unificazione si è tornati al quieto vivere. Il partito ha avuto ancora qualche slancio di discussione, ma l’opera del consigliere di stato ha sempre mantenuto un connotato di riformismo collaborazionista, sostanzialmente ministeriale, all’opposto di quanto predicato agli albori.

 

Come accennato sull’idroelettrico Canevascini ha fallito: “Fu solo grazie alla petizione in Gran Consiglio dell’ex giudice federale Fernando Pedrini che la politica idroelettrica venne rovesciata con l’assunzione in proprio delle acque della Biaschina da parte del Cantone e con la creazione dell’Azienda elettrica ticinese (1958)”, scrive Pasquale Genasci.

 

Ha fatto discutere, alla fine degli anni settanta, la scoperta che anche il PST riceveva bustarelle. “Benito Bernasconi, allora in carica, non negò il versamento al partito, ma escluse qualsiasi nesso casuale tra il versamento e l’assegnazione dei lavori e affermò che simili ‘regalie’ ai partiti erano una cosa normale e risaputa”, scrive lo storico Marco Marcacci.

 

Partito e consigliere non sono sfuggiti al triste fenomeno del clientelismo. Su questo tema lo storico Gabriele Rossi ha indagato gli anni 1922-25, i primi con Canevascini. “Non succedeva mai che un candidato di un altro partito fosse sostenuto perché più valido; semmai perché era in atto un’operazione di scambio di favori. Le discussioni sulle nomine sembrano occupare la parte preponderante delle riunioni”. Solo alla fine degli anni sessanta, scrive Rossi, si nota un certo cambiamento di costumi, favorito dall’indebolimento dei partiti e dalla maggiore specializzazione degli impieghi.

 

Il mito del risparmio...

Un capitolo che meriterebbe di essere approfondito è l’atteggiamento dei consiglieri socialisti in merito al risparmio. Pietro Martinelli, malgrado provenisse da un’esperienza più radicale (PSA), ha imboccato in più occasioni questa strada, non estranea alle teorie della “terza via” socialista, che ammiccava al liber(al)ismo.

 

Il sindacalista Graziano Pestoni non è tenero con Martinelli, perché ha appoggiato la decisione di riformare l’amministrazione cantonale con una precisa ideologia: “quella secondo la quale il mercato, la concorrenza e il profitto sarebbero stati i migliori strumenti per gestire la cosa pubblica. Competitività e concorrenza avrebbero dovuto sostituire la collaborazione e il lavoro di squadra”. Inoltre, nel 1999 Martinelli ha proposto di aziendalizzare l’Istituto delle assicurazioni sociali (IAS), operazione non andata in porto. Anche l’aiuto domiciliare è stato vittima di misure di risparmio, che hanno fatto nascere i servizi privati, perché il fabbisogno era crescente.

 

Nella legislatura 1975-79, annotano gli storici Maurizio Binaghi e Isabella Rossi, anche i socialisti hanno approvato una politica di contenimento dei costi che ha portato a drastiche misure di risparmio che, per quanto riguarda il Dipartimento Opere Sociali (con alla testa Rossano Bervini), hanno investito prestazioni sensibili come il cosidetto “anticipo alimenti” alle madri divorziate, soppresso nel 1981.

 

... e quello dell’affidabilità

Altro mito è quello dell’affidabilità. “Complesso, - scrive Silvano Toppi - radicatosi negli anni ottanta, presente anche tra consiglieri di stato socialisti (liberal-socialisti) di fronte al trionfo del mercato e del neoliberismo, che ha dato vita alla ricerca di un compromesso, la cosiddetta ‘terza via’, posta tra il keynesiano interventismo statale e il neoliberismo dello Stato è il problema. E abbiamo avuto consiglieri di stato blairiani (Bervini e Martinelli, ndr). E c’è chi vi ha visto l’inizio dell’indebolimento della socialdemocrazia”.

 

Manuele Bertoli si è speso per riformare la scuola, ma non ha evitato il mito dell’affidabilità. Quando, nel 2014, è stata votata la proposta di ridurre il numero di allievi per classe, nata da un’iniziativa in cui Bertoli era firmatario, non ha preso posizione durante la campagna prima del voto, perché temeva la reazione degli altri colleghi.

 

Ha fatto eccezione Patrizia Pesenti nel 2003, che si è invece “sdraiata sui binari”, rifiutando di accettare tagli alla spesa nel settore sociale, pur essendo una consigliera che non ha lasciato tracce di rosso nel suo operato. La scelta di non adeguarsi alla collegialità ha però fruttato al PS un ottimo risultato elettorale alle nazionali. Le rotture pagano!

 

Tracce di rosso merita di diventare spunto di discussione, per valutare punti forti e punti deboli di cento anni di politica governativa e per guardare al futuro senza dimenticare il passato.

 

“Penso che ogni epoca abbia la sua storia – ci dice la sindacalista Françoise Gehring – E credo che oggi sia necessario un fronte progressista rosso-verde, dove le due anime abbiano veramente pari dignità. Coniugare diritti sociali e diritti ambientali è fondamentale per dare delle risposte alle sfide sempre più complesse che avranno un impatto sulla nostra società. Anche in Ticino è giunto il momento di unire le forze, che non deve essere la somma di forze politiche diverse, bensì la coesistenza di tali forze, capaci di dialettica e soprattutto di sintesi. Un grande cambiamento? Sì, ma è inevitabile, se guardiamo attorno a noi e se vogliamo rispondere al clima di restaurazione culturale che ci circonda”.

 

Guardando ai cento anni che sono stati sostanzialmente ministeriali, resta ancora qualche interrogativo. Qual è il bilancio dell’attività parlamentare dei socialisti? In che misura c’è stato un rapporto con le istanze della società civile? Fa specie, per esempio, che numerose associazioni che si occupano di educazione speciale, disabilità, dipendenze da sostanze, ecc., siano nate dalla società civile e lo Stato sia arrivato solo in un secondo tempo. E come è stato il rapporto con i movimenti dei giovani, delle donne, del mondo sindacale, della protezione dell’ ambiente?


Presenza socialista in Consiglio di Stato

È stata utile e positiva per il Partito?

 

Ai tempi del PSA, almeno fino al 1983, ritenevamo non utile essere rappresentati in Consiglio di Stato. Di fatto in un sistema istituzionale come il nostro quella posizione non rispondeva al modo di far politica svizzero e ticinese. Per cui anche per la sinistra e i socialisti essere presenti in governo anche se in minoranza non solo è utile ma necessario. Ha permesso e permette di battersi per ottenere riforme condizionare le scelte sui problemi che interessano la gente. In tutti i 100 anni di presenza socialista in governo lo provano numerose riforme portate avanti proprio grazie all’operato dei suoi rappresentanti. Come ad esempio quanto fatto a suo tempo con Canevascini per lo sviluppo dell’agricoltura o per la difesa della scuola laica o con Martinelli per il potenziamento della socialità e per una fiscalità equa e sociale, con Ghisletta nell’ambito dell’agricoltura e con Bertoli per il miglioramento e il potenziamento della scuola. Quindi la partecipazione all’esecutivo va considerata positivamente anche se non sempre si è potuto ottenere quello che era necessario per il paese e se non sono mancate le sconfitte e le delusioni.

 

Per il Partito il bilancio nonostante tutto può essere valutato positivamente e ha permesso di profilarsi come forza politica importante. Basti ricordare negli anni trenta e quaranta l’azione contro il fascismo e le sue propaggini locali, durante i primi anni dell’intesa della sinistra la lotta contro il clericalismo, o ancora le battaglie per un Ticino aperto e solidale. Negli anni ottanta l’istituzione di molti servizi sociali con il Dipartimento opere sociali e l’opposizione agli sgravi fiscali, alla creazione e al potenziamento dell’Azienda elettrica ticinese. Certo ci sono stati anche aspetti discutibili negativi come l’eccessivo adeguamento del Partito alla politica governativa, in particolare negli ultimi anni dell’intesa di sinistra o ancora negli anni della presenza in governo di Pesenti e Bervini con la conseguente debolezza dell’azione alternativa del Partito

 

Werner Carobbio


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