Stalingrado

Vasilij Grossman - Edizioni Adelphi, pp 884, 2022

di Franco Cavalli

 

Grossman, scrittore di origini ebraiche e nato in Ucraina nel 1905, è ormai mondialmente conosciuto per il suo capolavoro Vita e destino, che molti paragonano per il XX° Secolo al Guerra e Pace di Tolstoj per il secolo precedente.

Se il capolavoro di quest’ultimo girava attorno all’invasione napoleonica della Russia zarista, Grossman, che aveva seguito tutta la 2° Guerra Mondiale in qualità di corrispondente per il giornale dell’Armata Rossa, fa in Vita e Destino una narrazione epica della battaglia di Stalingrado, l’episodio decisivo per le sorti della 2° Guerra Mondiale.

Grossman adorava Tolstoj e una serie di figure nel suo capolavoro sembrano controfigure sovietiche tanto abili nel materialismo dialettico di quanto personaggi e figure simili nel capolavoro tolstojano lo erano nel discettare di religione o di umanesimo liberalizzante.

 

Siccome nel suo capolavoro, Grossman non esitava a fare paragoni molto poco ortodossi tra certe pratiche staliniane e simili atteggiamenti criminali nazisti, il manoscritto di Vita e Destino fu confiscato dal Kgb nel 1961 e venne pubblicato solo nel 1980 a Losanna, dopo essere stato trafugato rocambolescamente in Occidente sotto forma di microfilm e quando l’autore era ormai morto da diversi anni.

 

Secondo Grossman Vita e Destino avrebbe dovuto rappresentare solo la 2° parte dell’epopea di Stalingrado, in quanto il libro che presentiamo in questa recensione avrebbe dovuto precederlo, quasi come un’introduzione. Anche quest’opera ha una storia parecchio turbolenta e per certi versi quasi incredibile. Difatti Grossman, dopo aver fatto molti compromessi con la censura, era riuscito a darla alle stampe a Mosca nel 1952 sotto il titolo “Per una giusta causa”, titolo che era stato imposto a quei tempi dai redattori della rivista che l’avevano pubblicata.

 

Il titolo Stalingrado gli era poi stato restituito nel 2019, grazie al traduttore inglese Chandler che ha parzialmente rifatto il testo basandosi su una versione precedente, ritrovata nel frattempo. Ora il tutto sembra corrispondere molto meglio a quanto Grossman avrebbe voluto, se non ci fosse stato l’intervento micidiale della censura, pubblicare sin dall’inizio. Diversi dei personaggi centrali di Stalingrado sono gli stessi che ritroviamo poi anche in Vita e Destino.

 

La grande arte di Grossman è quella di riuscire a far capire al lettore cosa sta capitando a livello geopolitico raccontando la storia di una serie di personaggi “normali”. Proprio come Tolstoj aveva fatto in Guerra e Pace. Anche questo libro si dipana su quasi 900 pagine, per cui risulta impossibile accennare anche solo ad uno o all’altro di questi personaggi. Non si può invece non sottolineare il momento straordinario in cui l’epopea dei due libri viene ripubblicata in Italia.

 

Ci troviamo difatti ora confrontati con un conflitto terribile e ingiusto che avviene in gran parte nella stessa area geografica di cui parla la dilogia di Grossman, epopea questa di una guerra terribile ma “giusta”. Difatti prima di concentrarsi su Stalingrado, l’autore descrive la disastrosa ritirata delle truppe sovietiche all’inizio dell’Operazione Barbarossa, attraverso la sua natale Ucraina fino al Don. Molte pagine sono dedicate proprio a quanto avvenne nel Donbass, già allora epicentro dello sforzo bellico, data l’importanza delle sue miniere.

 

L’Ucraina di quest’opera è una terra immensa, solcata da eserciti crudeli e da interminabili convogli di profughi, mentre a poco a poco si fanno strada le voci sullo spaventoso sterminio degli ebrei in quel paese. Grossman, proprio perché rimane fedele all’internazionalismo di Lenin, è estraneo agli opposti nazionalismi – russo e ucraino – che anche oggi giocano un ruolo tragico nell’attuale situazione.

 

Proprio per la sua opposizione a Stalin, egli accenna anche a temi tabu come il risentimento di buona parte della popolazione ucraina contro il potere sovietico a seguito dei disastri avvenuti nelle campagne ucraine a causa della collettivizzazione forzata dell’agricoltura negli anni 30, il famigerato Holodomor, di cui parliamo anche in un altro articolo di questo numero dei Quaderni.

 

Poi però vorrei mettere qualche puntino sugli i a proposito dell’anti-stalinismo di Grossman, atteggiamento che diviene più palese negli ultimi anni della dittatura staliniana, a seguito di atteggiamenti sempre più antisemiti dell’ultimo Stalin. Grossman non ha mai avuto neanche lontanamente l’intenzione però di equiparare nazismo e comunismo, come fanno oggi molti anti-comunisti incalliti, spesso pure russofobi. Anzi Grossman molto spesso ne dimostra con dovizia di esempi la natura completamente opposta. Il nazismo che estremizza il principio del Darvinismo sociale (oggi alla base del neoliberismo), della supremazia del più forte e quindi anche della necessità del dominio razziale. Come dice Vavilov, uno dei personaggi più importanti del libro, perché nella sua semplicità è “in chiaro su tutto”, per “Hitler la forza è la violenza dell’uomo sull’uomo”. Grossman sottolinea invece come il comunismo cerchi, con enormi difficoltà (ben esemplificate in molti personaggi), di creare una società dove prevalga la tendenza all’uguaglianza quale base necessaria per la libertà di tutti.

 

L’epopea descritta magistralmente da Grossman in Stalingrado è proprio quella dello sforzo titanico (soprattutto in termini industriali) che la società sovietica dovette compiere per sconfiggere la barbaria nazista, sforzo in gran parte coordinato da milioni di comunisti convinti. Nonostante le quasi 900 pagine, il libro affascina e, una volta iniziato, obbliga il lettore a proseguire senza tregua.

 

Se finora alla classica domanda “Se tu dovessi salvare un libro, quale sceglieresti?” avrei risposto Vita e destino, ora vi aggiungerei anche Stalingrado, perché la dilogia non è separabile. È tutta da leggere.

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