La Cina è già qui

di Franco Cavalli

 

A fine di luglio il giornalista de laRegione Lorenzo Erroi ha discusso al Tendone La Foce a Lugano con Gabriele Battaglia (corrispondente RSI dalla Cina) e Giada Messetti i loro ultimi due libri sulla Cina.

 

Discussione interessante: entrambi hanno dimostrato una conoscenza molto profonda della realtà cinese, rispondendo in modo molto chiaro e fattuale alle domande, spesso provocatorie ed “ideologiche”, del giornalista de laRegione. Mi sono procurato i due libri: quello di Battaglia, lo recensirò nel prossimo Quaderno.

 

Questa volta mi limito a quello di Giada Messetti, sinologa, che ha vissuto a lungo in Cina, da dove ha collaborato tra l’altro anche con il Corriere della Sera e con La Repubblica. Insieme a Simone Pieranni, che molto spesso ha commentato quanto capita in Cina nei nostri Quaderni, ha ideato anche il Podcast Risciò, molto frequentato da chi vuole informarsi sull’“Impero Celeste”. Il libro è scritto in modo lineare e ben comprensibile: parla in fondo relativamente poco di politica, anche se è un contributo molto politico nel senso più etimologico e corretto della parola.

 

Messetti riesce cioè, discutendo vari aspetti della quotidianità, a farci capire alcune particolarità della politica cinese, che non sempre sono di facile comprensione per l’opinione pubblica occidentale. Lei discute per esempio parecchio delle caratteristiche della lingua cinese, di come si formano le frasi e i concetti usando ideogrammi che risalgono a più di 3000 anni fa (nel frattempo le versioni scritte delle altre lingue allora esistenti sono praticamente tutte scomparse) anche se Mao ha semplificato notevolmente ed unificato la lingua, proprio per permetterne la comprensione a tutta la popolazione e non solo ad una piccola élite, come era il caso prima.

 

È evidente che le lingue esercitano un’influenza importante sul modo di concepire il reale e sul sistema cognitivo degli esseri umani. E l’autrice porta una serie di esempi di come nella lingua cinese ci si imbatte continuamente nei due concetti cardine di relazione e di contesto, fondamentali per capire quella realtà.

 

Difatti da sempre in Cina il singolo fa parte di un sistema organico e subordinato al contesto in cui opera e di cui è tenuto a rispettare il funzionamento e a non disturbarne gli ingranaggi sociali. Come ben descrive l’autrice siamo chiaramente di fronte ad uno schema opposto a quello occidentale, che invece si basa sull’assunto degli individui che si autodeterminano: da noi gli obiettivi individuali vengono enfatizzati rispetto a quelli collettivi, che invece predominano nella realtà cinese e ne abbiamo avuto una prova eclatante durante la recente pandemia! L’approccio cinese ha infatti fatto leva sul senso di collettività di origine confuciano e gli esempi in questo senso portati dall’autrice si sprecano.

 

Nel libro vengono poi discussi tutta una serie di altri aspetti quotidiani come ad esempio il ruolo fondamentale dell’atto di mangiare e della composizione del cibo e l’importanza che la tavola ha per costruire e rafforzare le relazioni sociali. Ma anche altri aspetti più cognitivi come il ruolo della memoria, del passato, della vergogna in contrapposizione al nostro senso di colpa vengono descritti in modo accattivante, ciò che può aiutare il lettore a capire alcuni aspetti fondamentali nell’attuale situazione politica della Cina.

 

Chiunque è stato in quel paese si è reso difatti immediatamente conto che i legami che loro hanno con la storia siano molto più forti e presenti nelle loro riflessioni attuali che non da noi. Ciò vale soprattutto per quella che loro chiamano la “grande umiliazione nazionale”, cioè quel periodo che a partire dagli anni 30 del 19mo secolo ridusse in povertà ed in uno stato di dipendenza coloniale la Cina, che sino ad allora aveva goduto di una situazione di benessere equivalente a quella delle potenze occidentali, responsabili poi con varie guerre ed aggressioni di questo disastro. Anche personalmente mi è capitato molte volte in Cina di sentirmi dire dalle più svariate persone: “stavamo bene, voi ci avete ridotti in povertà, noi vogliamo ora tornare ad avere il posto che avevamo nella storia prima della grande umiliazione”.

 

Quest’aspetto è particolarmente importante anche per capire l’atteggiamento di Pechino verso Hong Kong, in quanto il disastro cominciò con l’occupazione di questa città da parte degli inglesi, città da cui partì la disintegrazione della Cina quale impero unificato. Ed i cinesi temono maledettamente il regionalismo, che spesso nella loro storia è stato una maledizione. Anche perciò Mao aveva non solo unificato la lingua, ma addirittura imposto alla Cina, nonostante il suo sterminato territorio, un solo fuso orario.

 

Nel capitolo finale l’autrice riassume molte delle contraddizioni, manifestazioni popolari e scioperi inclusi, della società cinese, anche se il PC sembra riuscire sinora a gestirle con una sorprendente capacità d’adattamento.

 

Messetti sottolinea soprattutto un aspetto essenziale: noi pensiamo a breve termine, i cinesi sono culturalmente abituati a pensare nei lunghi periodi.

 

L’autrice cita Kissinger, uno dei più profondi conoscitori della realtà cinese, che spesso sottolineava come la differenza tra l’Occidente e la Cina la si capisce paragonando il nostro gioco degli scacchi al loro, chiamato weiqi.

Negli scacchi si cerca di annientare l’opponente, nel weiqi bisogna riuscire semplicemente e con molta pazienza a dominare l’altro, senza mai distruggerlo del tutto.

 

Consiglio quindi la lettura di questo agile libretto a coloro che di solito non hanno voglia di cimentarsi con impegnativi trattati di politica: commentando spigliatamente la vita quotidiana dei cinesi, l’autrice riesce a farci capire senza molti sforzi alcuni aspetti fondamentali dell’attuale politica di Pechino.

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