L’esercito turco impiega armi chimiche contro il PKK e la popolazione kurda?

di Beppe Savary-Borioli, di ritorno dal Kurdistan

 

In un recente articolo sulla questione curda (si veda Q35) avevamo già descritto i pesanti sospetti che gravano sull’esercito turco nell’impiego di armi chimiche contro la guerriglia del PKK e la popolazione civile curda. Quei sospetti sono giustificati?

 

Per rispondere al quesito, su invito del Congresso nazionale del Kurdistan, una delegazione della sezione germanica dell’Associazione internazionale di medici per la prevenzione della guerra nucleare (IPPNW) si è recata a fine settembre nella regione di Slemani (Sulaymaniyya) nella zona controllata dalla PUK, la regione autonoma kurda dell’Iraq settentrionale. La delegazione era composta dal dottor Jan van Aken, biologo germanico già esperto per l’ONU in armi chimiche e biologiche, nonché ex membro del Bundestag per “Die Linke” e dal sottoscritto nella veste di medico d’urgenza e di catastrofe e presidente della sezione svizzera di PSR/IPPNW.

 

Nella prima parte della missione, abbiamo visitato i luoghi del massacro perpetrato nel 1988 dalle truppe di Saddam Hussein dove persero la vita più di 200’000 persone, per la maggior parte bambini e donne kurde. L’impiego criminale di Yperite, (sostanza tossica impiegata nella Prima Guerra Mondiale nella città fiamminga di Ypres) e di altre armi chimiche, fu ordinato dal ministro di guerra e cugino di Saddam Hussein, Ali “il chimico”. Nella nostra visita, abbiamo incontrato dei sopravvissuti, in gran parte sofferenti dalle conseguenze invalidanti delle armi chimiche.

 

Grazie ad una ONG statunitense che, proprio perché americana, ha l’accesso privilegiato alla zona dei combattimenti nel nord iracheno, siamo stati informati di un caso di possibili ustioni da Yperite su una bambina kurda in uno dei villaggi nella “zona calda”. La nostra volontà di recarci sul posto si è scontrata col fatto che la zona è controllata dal KDP dei Barzan, fedeli cani di guardia di Erdogan. Con i suoi peshmerga, il KDP protegge le operazioni militari turche, impedendo a chiunque non gradito da Erdogan di entrare nella zona di conflitto. Il governatore di Amediyne, villaggio “di confine”, ha inizialmente negato l’impiego di armi chimiche dell’esercito turco. Poi, messo alle strette col caso della bimba, ci ha proibito l’accesso al villaggio adducendo ragioni di sicurezza. “Non posso assumermi la responsabilità del vostro viaggio” ha dichiarato il governatore, aggiungendo che due canadesi che avevano provato senza il suo benestare, sono stati colpiti “per sbaglio” da un drone turco. Un canadese è morto mentre il secondo è rimasto gravemente ferito. Data la meteo favorevole ai droni spia turchi sempre attivi sul territorio, abbiamo rinunciato ad incamminarci verso le montagne per aggirare i checkpoint. Non volevamo mettere a repentaglio la vita del nostro giovane interprete curdo, oltre alle nostre esistenze, seppur più consumate.

 

Rientrati a Slemani, grazie all’eccellente collaborazione di “Zagros”, il nostro contatto col PKK, sulla scorta di numerose testimonianze e documentazione, abbiamo stilato un rapporto all’indirizzo di IPPNW Deutschland, dove elenchiamo indizi eloquenti sull’impiego di armi chimiche dell’esercito turco. A chi volesse consultarlo, troverà la versione italiana tradotta da Rete Kurdistan Italia al seguente uikionlus.org/la-turchia-sta-violando-la-convenzione-sulle-armi-chimiche. Nel rapporto sono documentate la presenza di sostanze riconducibili ad armi chimiche “fai da te” e di filtri BC delle maschere da gas abbandonate sul campo dai soldati turchi. I motivi per cui l’esercito turco dovrebbe impiegare armi chimiche, sono presto detti. Nelle montagne, la guerriglia curda utilizza una fitta rete di caverne bunker per ostacolare l’accesso ai soldati e mercenari dell’esercito turco. I gas tossici costituiscono l’arma ideale per sconfiggerli. Il 16 febbraio dello scorso anno, il ministro di guerra turco Hulusi Akar in Parlamento sostenne che la Turchia impiegherebbe unicamente dei gas lacrimogeni nella lotta contro i “terroristi” del PKK. Al ministro-generale sfugge che l’utilizzo di questa sostanza nel contesto bellico è vietato dal trattato sull’utilizzo degli armi chimiche. Il suo utilizzo è consentito unicamente in tempo di pace alle forze dell’ordine da una clausola d’eccezione.

 

L’utilità di un’inchiesta internazionale

Le uniche due istituzioni internazionali che possono esigere una verifica dell’eventuale impiego di armi chimiche sono l’OPCW, istituzione preposta al controllo della proibizione delle armi chimiche con sede a Den Hag e il Segretariato generale dell’ONU. Da regolamento, è sufficiente che uno stato membro dei due organismi richieda la verifica. Sebbene presidente e ministro degli esteri iracheni siano curdi, è molto improbabile che l’Iraq ne farà richiesta. Stesso discorso vale per la Germania, principale partner della Turchia in Europa. Forse la Svizzera, con un medico alla testa del Dipartimento degli affari esteri? Affaire à suivre.

 

È legittimo chiedersi quali effetti avrebbe un’eventuale condanna della Turchia per uso di armi chimiche. Il caso siriano insegna: l’effetto è stato quasi nullo. Ma l’impegno delle autorità turche nel negare i dubbi sollevati dal nostro rapporto, potrebbe suggerire che Erdogan, sentendosi sotto stretta osservazione internazionale, potrebbe esser cauto nell’impiego futuro di queste armi. Per i curdi, questo risultato costituirebbe già un notevole progresso. Al novello Sultano non aggrada essere accusato d’impiegare armi chimiche.

 

La professoressa in medicina legale Sebnem Korur Fincanci, presidente dell’Ordine turco dei medici e autorità nel campo riconosciuta a livello mondiale, si trova ora in carcere per aver coraggiosamente sollevato gli stessi dubbi contenuti nel nostro rapporto. Noi siamo a piede libero, mentre lei si trova in prigione per sostegno ad un’organizzazione terroristica, il PKK. A favore di una sua liberazione immediata si sono prontamente attivate molte organizzazioni nazionali di medici e associazioni a difesa dei diritti umani. Anche il Dipartimento affari esteri elvetico su iniziativa di Cassis ha intrapreso i passi necessari. Aspettiamo invece la presa di posizione di Yvonne Gilli, presidente dell’ordine dei medici svizzeri ed ex consigliera nazionale verde.

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