Netanyahu ormai dipendente dai partiti fascisti

Israele alla deriva

di Michele Giorgio, corrispondente da Gerusalemme

 

Il nuovo governo israeliano, nel momento in cui scriviamo, non è ancora formalmente nato. 

Il leader della destra e premier incaricato Benyamin Netanyahu continua le trattative per la formazione di un esecutivo che, sulla base degli esiti delle elezioni del primo novembre, e una maggioranza di 64 seggi sui 120 della Knesset, sarà il “più a destra della storia di Israele”.

 

Più a destra persino di quelli ultranazionalisti che lo stesso Netanyahu aveva guidato tra il 2009 e il 2021 quando, per un anno e mezzo lo scettro di primo ministro è passato nelle mani prima di Naftali Bennett (destra religiosa) e poi del centrista Yair Lapid. A rallentare la nascita del nuovo governo sono state le richieste di ministeri di primo piano nella politica e nella vita di Israele – Difesa, Pubblica sicurezza, Istruzione, Edilizia (importante per i coloni nei Territori palestinesi occupati), Esteri, Finanze – avanzate dai famelici leader dell’estrema destra Itamar Ben Gvir (Potere ebraico) e Bezalel Smotrich (Sionismo religioso). Entrambi sono ritenuti unanimemente i veri protagonisti dell’ampia vittoria elettorale ottenuta dalla destra israeliana più fanatica, tanto da raddoppiare la loro rappresentanza alla Knesset passata da 7 a 14 seggi e di diventare la terza forza dopo il Likud di Netanyahu e Yesh Atid di Lapid.

 

 

Fascisti, non solo razzisti

“Siamo davanti a un nuovo fenomeno – spiega l’analista Meron Rapoport, ex caporedattore del giornale Haaretz – abbiamo di fronte partiti che non dipendono da Netanyahu. Piuttosto è Netanyahu che dipende da questi partiti che sono fascisti, non neofascisti. Sono forze che esprimono chiaramente il loro razzismo e che affermano che gli ebrei hanno più diritti degli altri, che questa terra è soltanto per loro. E chi si oppone a questo regime può essere ucciso come terrorista o si può deportarlo, anche se è un ebreo. Tutto questo non l’abbiamo visto dal 1948 (dalla Nakba palestinese, ndr). Senza dimenticare che anche i due partiti religiosi ultraortodossi (haredi), anch’essi alleati di Netanyahu, hanno accresciuto la presenza in parlamento. I leader politici ultraortodossi hanno dato a novembre un primo ma significativo assaggio di ciò che potrebbe accadere nella società israeliana e per i diritti civili quando il mese scorso hanno chiesto di separare gli uomini dalle donne negli eventi pubblici e culturali ai quali prendono parte i religiosi”.

 

La lotta per l’assegnazione dei ministeri è destinata a ritardare ma non a impedire la formazione del nuovo esecutivo tanto desiderato dalla destra estrema religiosa. Ne sono consapevoli gli arabo israeliani (palestinesi con cittadinanza israeliana, il 21% della popolazione) e i palestinesi nei Territori occupati che guardano con timore alla nomina, data per certa, di Itamar Ben-Gvir a ministro della pubblica sicurezza. Si guarda a cosa accadrà quando il leader di Otzma Yehudit – la cui campagna elettorale è stata diretta principalmente contro i cittadini arabi di Israele – assumerà il suo incarico. Così come alla nomina di Bezalel Smotrich a un ministero importante – ma non a quello della Difesa, a causa del veto degli Usa – e alla supervisione della Amministrazione Civile (Cogat), ossia il dipartimento delle forze armate che si occupa della gestione degli affari riguardanti la vita dei palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza sotto occupazione militare israeliana da 55 anni. Ben-Gvir, erede politico di Meir Kahane (il rabbino fondatore del partito razzista Kach) è ben noto per la sua aggressività contro i palestinesi d’Israele e dei Territori e come sostenitore di profondi emendamenti alle regole di ingaggio in modo da permettere a poliziotti e soldati di aprire il fuoco senza restrizioni. Questo quando le statistiche dicono che nel 2022, fino a novembre, sono stati uccisi dalle forze armate israeliane circa 200 palestinesi (tra cui decine di minori), 150 dei quali in Cisgiordania teatro di incursioni quasi quotidiane dell’esercito dopo gli attentati dello scorso aprile a Tel Aviv e in altre città in cui rimasero uccisi 18 israeliani. Numeri che non si registravano da molti anni in Cisgiordania e che Israele spiega come risultato della “lotta al terrorismo”.

 

 

E gli arabo israeliani?

Alcuni sindaci arabo israeliani come Omar Nassar di Arabeh e Samir Mahamid di Umm al-Fahm stanno lavorando alla formazione di un comitato unitario per fare fronte ad un futuro che si annuncia difficile. “Penso che sia necessario prendere una posizione unita”, ha detto Mahamid “quando il governo sarà formato, il comitato dovrà decidere sui legami con Ben-Gvir, tenendo conto che Ben-Gvir è il seguace del rabbino Kahane”. Il suo collega Nassar è stato esplicito: “Dobbiamo prepararci a combattere la sua politica razzista in ogni situazione”. Personaggi di spicco della minoranza araba e alcuni commentatori ebrei affermano che il primo test del nuovo governo sarà nel deserto Negev e nelle città miste arabo-ebraiche, teatro di violenze e tensioni sempre più frequenti. Fidaa Shahada, membro del consiglio sociale di Lod, ricorda che Ben Gvir e la maggior parte dei partiti del blocco guidato da Netanyahu hanno condotto campagne sistematiche contro gli arabo israeliani. Non meno preoccupazioni generano le politiche che annuncia l’altro leader dell’estrema destra Bezalel Smotrich, al quale potrebbe andare l’Edilizia. Lo sviluppo ulteriore della colonizzazione israeliana dei Territori palestinesi sarà uno dei suoi obiettivi principali, a partire dalla “legalizzazione” di un centinaio di avamposti ebraici creati nella Cisgiordania occupata da giovani coloni e che sono illegali non solo per la legge internazionale ma anche per quella israeliana. Smotrich inoltre attraverso nuove leggi e il monitoraggio dei finanziamenti chiede di sanzionare duramente le ong, palestinesi e israeliane, che denunciano le violazioni dei diritti umani a danno della popolazione sotto occupazione militare. Ben Gvir e Smotrich mirano allo stesso tempo a negare diritti agli arabo israeliani, che considerano una minaccia interna, e a creare sul terreno le condizioni per rendere impossibile qualsiasi forma di autodeterminazione palestinese nei Territori occupati. Non a caso puntano ad ogni occasione il dito contro l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen, già fortemente indebolita dalle politiche dei governi israeliani che pure coopera con lo Stato ebraico nelle questioni di sicurezza.

 

 

I conti di Netanyahu

Come si comporterà Netanyahu è l’interrogativo di molti. Darà sfogo alla sua indole di ultranazionalista assecondando in tutto l’estrema destra che, di fatto, lo ha riportato al potere o proverà a contenere i suoi voraci alleati di governo per considerazioni di politica internazionale? Con ogni probabilità farà in modo da evitare gli “eccessi” che hanno in mente Ben Gvir e Smotrich, specie sul terreno dei diritti civili in Israele, ma non si opporrà più di tanto alla attuazione di un programma di destra radicale nei confronti dei palestinesi. Non impedirà, ad esempio, a Ben-Gvir e ad altri messianici di pregare sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. E questo potrebbe incendiare la situazione intorno a quel sito religioso già molto tesa. Netanyahu non ha mai avuto una visione a lungo termine nei confronti dei palestinesi. Il suo obiettivo apparente nei Territori occupati è sempre stato quello di conservare lo status quo tenendo i palestinesi appena sotto il punto di ebollizione. La sua tattica è quella di trovare sempre un motivo per incolpare i palestinesi del fallimento del processo di pace (non riconoscere Israele come Stato ebraico, fornire denaro alle famiglie dei prigionieri palestinesi, non rappresentare l’intero popolo palestinese, ecc.) delegittimando al contempo la leadership dell’Anp e mantenendo gli islamisti di Hamas indeboliti al potere a Gaza. “Sfruttando la paura dell’Iran – dice l’opinionista Gershon Baskin – e un presidente reazionario alla Casa Bianca come Donald Trump, Netanyahu ha ottenuto (nel 2020) gli Accordi di Abramo che suo dire hanno dimostrato che è possibile fare la pace con gli Stati arabi senza concessioni o proposte negoziali ai palestinesi. La strada che seguirà è la stessa”. Ma, sottolinea Baskin, i suoi conti con ogni probabilità non torneranno, perché i palestinesi dei Territori occupati sono tornati a ribellarsi con forza all’occupazione, soprattutto in questi ultimi mesi.

 

Come si comporteranno i governi occidentali alleati di Israele con il governo di estrema destra è un altro interrogativo. Tutto lascia pensare che si assisterà a uno sdoganamento progressivo del nuovo esecutivo e di personaggi inaffidabili e pericolosi come Ben Gvir e Smotrich. Forse, nei primi mesi del nuovo governo alcuni leader degli Stati arabi con cui Israele ha ora rapporti di amicizia metteranno in guardia Netanyahu. Ma non faranno passi importanti a sostegno dei diritti dei palestinesi. Gli Stati uniti invece continueranno a chiedere che Smotrich non vada al ministero della difesa, con il quale il Pentagono mantiene comunicazioni quasi quotidiane. “Se arrivasse Smotrich distruggerebbe tutto – ha scritto il noto giornalista israeliano Gideon Levy commentando l’ambiguità della posizione statunitense – Smotrich costruirebbe insediamenti e ucciderebbe più palestinesi di quanto l’America permetta. E a quel punto l’America dovrebbe vergognarsi del suo alleato e forse anche prendere provvedimenti contro di lui. Gli Stati Uniti forse boicotteranno Smotrich perché altrimenti dovrebbero ammettere di sostenere uno Stato di apartheid. Smotrich è orgoglioso dell’apartheid e cerca di intensificarlo e allora Washington non potrebbe più inneggiare ai ‘valori condivisi’. E questo è esattamente il motivo per cui l’America non lo vuole (Smotrich). Perché potrebbe strappare la maschera di decenza dal volto dell’America”.

 

Finché lo status quo continua, ha concluso con ironia Gideon Levy, “con i palestinesi che gemono e gli israeliani che festeggiano, l’America è felice. Non distruggiamo questo delicato equilibrio”.

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