Xi sempre più timoniere nella burrasca

di Gabriele Battaglia, corrispondente da Pechino

 

Il ventesimo congresso del Partito comunista cinese è stato unanimemente descritto dagli osservatori internazionali come conferma della tendenza all’accentramento del potere attorno alla figura di Xi Jinping, più che mai segretario del Partito e presidente della Commissione Militare Centrale.

La terza carica chiave, quella di Presidente della Repubblica Popolare Cinese, gli sarà assegnata la prossima primavera (probabilmente a marzo), quando si svolgerà il Lianghui, cioè la doppia sessione dei parlamenti cinesi che si svolge ogni anno. Partito-esercito-stato, ecco l’accumulo di cariche che definisce la leadership suprema in Cina. Niente di nuovo, Xi Jinping ricopriva già quegli incarichi nei suoi primi dieci anni al comando, così come i suoi due predecessori, ma l’accelerata sul processo di accentramento è resa manifesta da altro.

 

 

Prima di tutto, ci sono gli aspetti politici

Xi Jinping è sempre più “nucleo”, cioè hexin, parola che ricorre nei documenti ufficiali, come per esempio nella formula “Il Comitato Centrale del Partito con il compagno Xi Jinping come nucleo (o al centro)”, che fin dal 2016 ha sostituito la locuzione “come segretario generale”. Attorno a lui, ci sono i sei alti funzionari del Comitato Permanente del Politburo.

 

In Cina fino a poco tempo fa, vigeva una regola non scritta: qi shang, ba xia – cioè “sette su, otto giù” – significa che un politico può essere promosso o riconfermato in un alto incarico fino a 67 anni di età, mentre a 68 esce di scena. Xi Jinping ha 69 anni, ma che per lui la regola non valesse era già chiaro da tempo. È però indicativo che, al momento del congresso, ben quattro componenti del precedente Comitato Permanente non avessero raggiunto il limite di età, eppure due di loro non sono stati riconfermati: gli ex numero 2, Li Keqiang, e numero 4, Wang Yang, che molti indicavano invece come candidato alla seconda posizione gerarchica dietro al leader nel nuovo Comitato Permanente. Pur nel graduale accentramento in corso da anni e nelle rituali e ricorrenti manifestazioni di fedeltà al leader, erano considerati non affiliati a Xi, almeno come origine.

 

Nel nuovo Comitato Permanente restano invece Zhao Leji e Wang Huning, fedelissimi di Xi così come i quattro di nuova nomina. Ecco chi sono. Scavalcando posizioni su posizioni, al numero 2 c’è ora Li Qiang, che probabilmente diventerà anche premier della Repubblica Popolare Cinese durante il Lianghui. In questo caso, avverrebbe uno strappo alle regole, perché Li Qiang – a differenza del numero 2 uscente, Li Keqiang – non è mai stato vice-premier e ha solo esperienza di governo locale, da segretario del partito a Shanghai. Non ha imparato il mestiere, ma è legato a Xi, essendo stato suo sottoposto nella provincia dello Zhejiang (si vocifera anche che un suo mentore fosse amico personale del padre di Xi). Inoltre, avendo 63 anni, per la regola dei “sette su, otto giù” uscirà di scena tra cinque anni, al prossimo congresso. È un numero 2 transitorio.

 

Transitori sono anche due dei rimanenti tre membri del Comitato Permanente: Cai Qi (numero 5) e Li Xi (7). L’unico che non avrà raggiunto il limite d’età nel 2027 è invece Ding Xuexiang, nuovo numero 6 della gerarchia. È il primo componente del Comitato a essere nato negli anni Sessanta (1962) e al prossimo congresso diventerà probabilmente il numero 2, lasciando quindi a Xi la posizione più elevata. Un’indicazione più precisa arriverà se, come tutti pensano, verrà nominato vice-premier (dietro a Li Qiang) nei prossimi mesi.

 

Il dato che emerge dalla nuova composizione del Comitato Permanente è che non si vede una nuova generazione di leader, non c’è un successore di Xi Jinping. Lo conferma anche l’esclusione dal Politburo – l’organismo dei 24 più alti funzionari – di Hu Chunhua, accreditato membro della sesta generazione, ritenuto un possibile erede dell’attuale numero uno (che appartiene alla quinta generazione).

 

A oggi, ci sentiamo di dire che – salute permettendo – Xi resterà al comando non per cinque anni, bensì per altri dieci. Del resto, nel 2032 avrà 79 anni, la stessa età di Biden oggi. E quindi, perché no?

 

 

Oltre agli aspetti politici, vanno osservati quelli rituali/simbolici

Pochi giorni dopo la fine del congresso, si è tenuta la prima sessione di studio del nuovo Politburo, dedicata all’esito dei lavori appena terminati. In quella sede - riportano i media cinesi - i sei membri del Comitato Permanente che ruotano come elettroni attorno al “nucleo” hanno fatto relazioni sul congresso in cui, inevitabilmente e sotto lo sguardo vigile di Xi, hanno magnificato di fronte agli agli altri 17 altissimi ufficiali il ruolo decisivo del leader.

 

Ancora più significativo è stato un altro rituale ormai consolidato e cioè la gita di gruppo post-congressuale, in cui la scelta della destinazione è carica di significati simbolici. Nel 2017, Xi Jinping aveva portato il precedente Comitato Permanente a Shanghai, nella casa-museo dove fu fondato il Partito comunista nel 1921 (tema: fedeltà alle origini e alla missione); e nel 2012, alla mostra pechinese “La strada per il ringiovanimento” (tema: “ringiovanimento nazionale”, slogan dello stesso Xi e obiettivo da realizzare entro il 2049).

 

Quest’anno, il “nucleo” ha guidato gli altri sei a Yan’an, quartier generale e soviet dei comunisti tra il 1936 e il 1948, cioè tra la fine della Lunga Marcia e la conquista del potere nella guerra civile contro il Kuomintang, periodo segnato anche dalla lotta antigiapponese e dal consolidamento del Partito sotto la guida di Mao. Qui, Xi ha enfatizzato lo spirito di sacrificio e di lotta dei comunisti in tempi difficili, parlando anche della necessità di “una direzione politica ferma e corretta” e di “promuovere solidamente la prosperità comune”. Il messaggio appare chiaro: prepariamoci a lottare per strappare con le unghie e con i denti benefici collettivi.

 

Oltre allo spirito di lotta, la visita di Yan’an richiama un parallelismo con il settimo congresso del Partito comunista (1945) che segnò il consolidamento del potere di Mao Zedong.

 

 

Mao Zedong-Xi Jinping, il parallelo è giustificato?

Grazie a una conversazione con Simone Dossi, docente di Relazioni internazionali dell’Asia orientale alla Statale di Milano (la trovate in integrale nel podcast “Il Cielo Sopra Pechino”:

https://rbe.it /2022/ 11 /05/icsp-0601-xx-congresso-xi-jinping-cina/), ci sentiamo oggi di sottolineare alcune differenze fondamentali.

 

Al contrario di Mao, che scardinava continuamente l’assetto burocratico con varie ondate di mobilitazione dal basso, Xi Jinping accentra il potere utilizzando le norme. Una strategia consolidata in questo senso è la creazione di istituzioni formali alla cui testa viene messo lui stesso. Tre esempi sono la Commissione Nazionale di Sicurezza Nazionale (2013), la Commissione per il Completo Approfondimento delle Riforme (2013) e la Commissione per la Sicurezza Cibernetica e l’Informatizzazione (2014). La prima serve a mettere sotto il controllo del Segretario Generale del Partito tutti i diversi organismi che compongono la sicurezza di stato; la seconda stabilisce a quali politiche bisogna dare priorità; la terza decide sulle questioni che riguardano internet e tecnologia. Sono tutte nate all’inizio dell’era Xi e si aggiungono alle due preesistenti: la Commissione per la Finanza e l’Economia (1949) e quella degli Affari Esteri (1958).

 

Si tratta di organismi di partito e stanno quindi un gradino sopra ai ministeri, possiamo considerarli “superministeri”. Queste commissioni nascono generalmente dai cosiddetti Piccoli Gruppi Dirigenti, che sono migliaia e vengono creati ad hoc a tutti i livelli amministrativi, per coordinare gli altri organismi su politiche specifiche, questioni complesse o eventi eccezionali. L’istituzionalizzazione di un Piccolo Gruppo Dirigente lo trasforma in Commissione Nazionale.

 

Se non bastassero i superministeri di partito, sotto Xi Jinping c’è stato anche il proliferare delle Commissioni di stato, che lui guida in quanto presidente della Repubblica Popolare. Prima del suo avvento, esistevano il Piccolo Gruppo per gli Affari Taiwanesi (1954) e la Commissione per lo Sviluppo Integrato Militare e Civile (1954), sotto il suo comando sono nate la Commissione per la Governance basata sul Diritto (2018) e la Commissione di revisione (2018).

 

Mao Zedong esercitava il potere informalmente, non necessitava di cariche formali per via del suo grande carisma, era stato lui a creare la Nuova Cina attraverso la lotta. Xi invece non brilla di luce propria nonostante il lavoro continuo della propaganda per creare un culto della personalità molto postmoderno; lui ha bisogno di regole formali e di ruoli formali, non si spiegherebbe altrimenti l’emendamento alla costituzione che ha rimosso il limite dei due mandati nel marzo del 2018.

 

L’istituzionalizzazione di alcune norme, non necessariamente scritte, è stata per molti anni vista da buona parte degli studiosi di cose cinesi come un freno alla concentrazione del potere politico: più metti delle regole, dei paletti, e meno il leader di turno potrà accentrare il potere, che sarà quindi sempre più collegiale. Gli esiti dell’ultimo congresso e più in generale dell’era di Xi Jinping sembrano smentire questa impostazione: l’istituzionalizzazione non è necessariamente un freno, può essere uno strumento del potere.

 

Quando si analizzano gli aspetti politici emersi dall’ultimo congresso, non va sottolineato solo il rafforzamento del potere di Xi Jinping, bensì anche la continuità in due settori chiave, gli Esteri e la Difesa.

 

Nel Politburo di 24 membri, solo tre superano i 68 anni. Uno, come si è visto, è Xi; gli altri due sono Zhang Youxia (72 anni), vicepresidente della Commissione Militare Centrale, e Wang Yi (69), attuale ministro degli Esteri. Gli unici due dirigenti a cui si applica la deroga al “sette su, otto giù” occupano dunque ruoli chiave alla Difesa e agli Esteri, il che significa che qui valgono le competenze consolidate, ci vuole continuità. La percezione del contesto internazionale che emerge anche molto chiaramente dai documenti del congresso è che questi siano tempi difficili per la Cina. Si parla in maniera ricorrente di “egemonismo” e “politica di potenza” che si traducono in “unilateralismo” e “protezionismo” (considerati quasi sinonimi), nonché “prepotenza”, parola che di recente torna spesso nella pubblicistica ufficiale con la traduzione fonetica dell’inglese bullying, cioè baling.

 

Si prenda come esemplare questa frase pronunciata da Xi Jinping nel suo rapporto di inizio congresso (poi adottato come piattaforma politica alla fine dei lavori): “(...) prendiamo una posizione chiara contro ogni egemonismo e politica di potenza, ci opponiamo incrollabilmente a qualsiasi unilateralismo, protezionismo, bullismo”. Ovviamente si sta parlando degli Stati Uniti, ma non si fanno nomi e cognomi.

 

Di fronte a questo scenario sempre più turbolento, Wang Yi salirà probabilmente di grado all’interno della Commissione Centrale Affari Esteri, l’organismo che sovrintende tutta l’attività diplomatica con a capo lo stesso Xi Jinping. Wang è sempre stato considerato un moderato, ma è lui che negli ultimi anni ha tenuto a battesimo la “diplomazia Wolf-Warrior” (zhanlang waijiao), un nuovo stile di politica estera molto aggressivo verso l’Occidente, teso a ribattere colpo su colpo nel quadro dell’attacco alla Cina scatenato dagli Stati Uniti e dai loro alleati fin dai tempi del “pivot to Asia” dell’accoppiata Obama-Clinton. Wolf Warrior è un film cinese d’azione molto patriottico/nazionalista: prima la diplomazia cinese dissimulava, adesso reagisce. D’altra parte, come numero due dietro a Wang Yi sarà probabilmente scelto Qin Gang (in veste di ministro degli Esteri), attuale ambasciatore negli Usa e stretto collaboratore di Xi. Ha “solo” 56 anni, quindi dovrebbe restare in circolazione per un bel po’.

 

Il messaggio in politica estera appare dunque duplice: da un lato, nessuno potrà mai più sentirsi in diritto di impartire lezioni alla Cina o di metterla spalle al muro, dall’altro si mantiene aperto il canale con l’unico grande interlocutore veramente riconosciuto da Pechino, cioè gli Usa. Ovviamente, Washington permettendo.

 

 

 

 

PS Questo articolo è stato redatto prima dei recenti avvenimenti che commenteremo nel prossimo Quaderno

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