di Franco Cavalli
Il primo anniversario della criminale aggressione putiniana all’Ucraina ci ha regalato un’orgia di retorica, ma ben poche riflessioni oggettive e soprattutto quasi nessuna proposta o idea nuova su come si possa uscire dal drammatico stallo in cui si trova attualmente la situazione.
Il tutto ricorda molto la Prima Guerra Mondiale, iniziata quasi casualmente, per poi durare 4 anni causando 20 milioni di morti, concludendosi solo per lo sfinimento dei contendenti incapaci di trovare un’uscita diplomatica prima del crollo finale.
L’unico nuovo piano di pace attualmente proposto è stato quello cinese: un po’ vago, ciò che però diplomaticamente può anche essere giustificato. Zelensky, forse non ancora ben istruito da Washington, aveva dapprima detto che conteneva spunti interessanti. Ma poi è arrivato Biden, che senza tanti fronzoli ha sgarbatamente rinviato il piano al mittente.
Mi pare che non sia la prima volta che ciò capita. Sembrerebbe difatti confermato il fatto (ne parla anche Chomsky nel suo ultimo libro, appena uscito) che nel marzo 2022, quando dopo un mese di ostilità i ministri degli esteri ucraino e russo si incontrarono in Turchia, a mandare all’aria un accordo d’armistizio che sembrava quasi fatto fu un intervento perentorio di Biden e di Boris Johnson. In Occidente qualcosa forse però si muove. Ne ha parlato anche Romano Prodi, esprimendo il suo timore per una spaccatura tra la parte orientale dell’Ue, sempre più allineata su Washington e i falchi della Nato e la “vecchia Europa” (vi ricordate la polemica di Bush ai tempi dell’invasione dell’Iraq?), dove i governi ormai devono tener conto di un’opinione pubblica sempre meno incline a sostenere un prolungamento della guerra.
A dimostrarlo ci sono le molte manifestazioni di sabato 25 febbraio, dove a gran voce si è chiesto un armistizio immediato: impressionante quella di Berlino, organizzata da Sahra Wagenknecht e dalla femminista Alice Schwarzer, il cui Manifesto di pochi giorni è stato firmato da quasi un milione di tedeschi.
Certo, non sarà facile portare al tavolo delle trattative il neo-Zar moscovita, che sembra non essersi ancora del tutto ripreso dall’incredibile autogol iniziale, quando secondo i piani del Cremlino “l’Operazione Speciale” avrebbe dovuto concludersi in un paio di settimane, perché buona parte della popolazione ucraina avrebbe accolto con applausi l’arrivo dei liberatori russi. Nonostante la posizione per una volta più moderata del Pentagono, l’ostacolo principale all’inizio di trattative di pace sembrerebbe proprio essere l’euforia bellicista della Casa Bianca. L’intransigenza di Washington si spiega con i guadagni stratosferici che sta facendo il complesso industrial-militare americano e soprattutto con la nuova guerra fredda che Biden e Blinken hanno scatenato contro la Cina, colpevole con la sua crescita economica di mettere in pericolo il dominio del dollaro a livello della struttura economica mondiale. Fabrizio Tonello, uno dei migliori conoscitori della realtà statunitense, ha così sentenziato (il manifesto del 22 febbraio): “Le classi dirigenti degli Stati Uniti sono ossessionate dal mantenere il ruolo egemone del loro paese sul pianeta”.
Questa paranoia ha naturalmente evidenti radici economiche: stiamo parlando del buon vecchio imperialismo. Collateralmente, oltre Atlantico si sta sviluppando una nuova ondata di maccartismo, arrivata ora a proibire addirittura ai funzionari di Washington l’uso di TikTok. E naturalmente l’Ue si è subito allineata. Dopo averci rovinato i cellulari di Huawei, ora ci toglieranno anche TikTok?
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