“Si sarebbe potuto evitare questa operazione di salvataggio” se…

Intervista a Sergio Rossi

di Franco Cavalli

 

C’erano alternative all’acquisizione a prezzo stracciato da parte di UBS?

“Al punto in cui si era giunti a metà marzo di quest’anno, l’unica soluzione possibile era quella di un’acquisizione di Credit Suisse da parte di un grande istituto bancario ma con delle solide garanzie dello Stato, viste le enormi difficoltà in cui si trovava questa banca da ormai troppo tempo, che ne rendevano impensabile un’acquisizione spontanea, senza alcun contributo pubblico. Se le autorità di vigilanza avessero svolto correttamente e nei tempi corretti il loro lavoro, si sarebbe potuto evitare questa operazione di salvataggio, e fare in modo che Credit Suisse ristrutturasse e riducesse le proprie attività senza indurre una crisi di fiducia come quella che ha scatenato il panico e costretto la Banca nazionale svizzera (Bns) e la Confederazione a intervenire urgentemente.”

 

Quanto ha giocato in questa crisi bancaria, come quella in California, la politica monetaria delle banche centrali mirata a ridurre il tasso d’inflazione? C’è chi dice che stiano per ragioni anche ideologiche favorendo solo i superprofitti. E che ci sia una chiara componente orientata a rifiutare le richieste di aumenti salariali per le categorie di lavoratrici e lavoratori del ceto medio.

“I ripetuti e notevoli aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali sono un fattore importante, ma non quello principale, all’origine della crisi bancaria, tanto negli Stati Uniti quanto in Svizzera. Questi aumenti decisi dalle principali autorità monetarie per contenere l’aumento dei prezzi nel mercato dei beni e dei servizi hanno comportato, tra altro, una tendenza a vendere nei mercati finanziari le obbligazioni pubbliche che, in quanto emesse all’epoca dei tassi di interesse vicini a zero negli Stati Uniti, non erano più interessanti visto il loro basso rendimento. Mediante i loro ripetuti aumenti dei tassi di interesse, le banche centrali intendono ridurre la domanda nel mercato dei prodotti al fine di ridurre le pressioni al rialzo dei prezzi al consumo. Ora, in realtà queste pressioni risultano dall’aumento del margine di guadagno di diverse imprese, soprattutto quelle in campo energetico, che sfruttano le conseguenze economiche della guerra in Ucraina per massimizzare i loro profitti, facendo dunque aumentare a dismisura i prezzi al consumo. Non si tratta quindi di una spirale salari-prezzi, ma di una spirale profitti-prezzi, che in nessun modo le politiche monetarie restrittive riusciranno a contenere. È necessario che si introduca una imposta speciale su questi superprofitti delle imprese attive nel campo energetico, ossia nell’estrazione, nella trasformazione e nel commercio del petrolio, del gas naturale e dei loro derivati. Anche le istituzioni finanziarie che speculano in questo campo devono essere chiamate alla cassa, a maggior ragione quando le loro attività nei mercati globalizzati peggiorano la situazione per molti portatori di interesse, oltre che danneggiare l’ambiente e l’ecosistema a livello mondiale.”

 

Quanto gioca in questa crisi il trasferimento di potere anche economico verso l’Oriente e l’indebolimento dell’Occidente capitalista (vedi la vostra dichiarazione sulle ragioni economiche della guerra in Ucraina)?

“Il conflitto geopolitico tra i paesi occidentali, spinti dagli Stati Uniti, e il blocco russo-cinese è di natura economica, trattandosi di una lotta per l’egemonia sul piano mondiale e in particolare per quanto riguarda l’uso del dollaro statunitense nell’economia globale e l’approvvigionamento di materie prime di varia natura, nel campo energetico come in quello tecnologico, tra altro. Gli Stati Uniti sono sempre più confrontati con l’emergere di coalizioni internazionali volte a contrastare l’egemonia del dollaro americano, anche per evitare di essere colpiti dalle sanzioni imposte loro dai paesi occidentali, soprattutto nel traffico dei pagamenti internazionali e nella gestione dei grandi patrimoni finanziari. Come ebbe a dire nel 1972 il Segretario al Tesoro statunitense, John Connolly, di fronte ai suoi omologhi europei, «il dollaro è la nostra moneta e un vostro problema». Sempre più paesi asiatici, latino-americani o medio-orientali cercano di staccarsi dal dollaro per creare una loro stanza di compensazione basata su una moneta comune, che permetta di non più subire le scelte politiche statunitensi, soprattutto quelle della Riserva federale e del Tesoro pubblico, che hanno creato un regime unipolare a vantaggio esclusivo degli Stati Uniti.”

 

Come giudichi il Consiglio federale, che ha stravolto una serie di leggi con un atto di forza che non ha niente di democratico?

“Si è trattato di un’azione autoritaria che viola non soltanto il diritto della concorrenza e i diritti degli azionisti sia di UBS sia di Credit Suisse, ma anche i diritti democratici per i rischi e le conseguenze negative che questa azione comporta per la collettività nel suo insieme. Agli occhi della popolazione, inoltre, la somma di 200 miliardi di franchi, vale a dire un quarto del prodotto interno lordo, che la Banca nazionale svizzera ha messo a disposizione nell’ambito dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, contrasta con la decisione della Bns di non versare nulla nelle casse pubbliche per l’anno 2022, vista la perdita di 132,5 miliardi di franchi che essa ha registrato contabilmente. Ora, a ben vedere, la Bns aveva comunque la possibilità di versare almeno 6 miliardi di franchi – di cui 2 miliardi alla Confederazione e 4 miliardi ai Cantoni – per l’anno 2022, viste le sue riserve monetarie, che a fine 2022 ammontavano a 105,2 miliardi di franchi. Senza i versamenti della Bns iscritti a preventivo delle loro finanze pubbliche, molti cantoni, tra cui il Ticino, si ritrovano in difficoltà per fare quadrare i loro conti e hanno già indicato, volenti o nolenti, che procederanno con dei tagli alla spesa pubblica che faranno male a numerosi soggetti economici, dunque in fin dei conti anche all’insieme della società, in una dinamica che trascinerà al ribasso l’economia nel suo insieme, riducendo in fin dei conti anche le risorse fiscali dello Stato, cui non si potrà porre rimedio fintanto che non ci sarà la volontà politica di aumentare l’imposizione fiscale dei grandi patrimoni come pure dei redditi elevati, tra cui si trovano i profitti stravaganti delle imprese attive nella compravendita di materie prime energetiche.”

 

Già ora comandavano le banche (vedi legge debole contro rischi di too big to fail), ora con questa banca monstre, come l’hai definita tu, sarà ormai lei a dettare le decisioni fondamentali della politica svizzera?

“Se dopo il salvataggio di UBS nel 2008 da parte della Bns e della Confederazione si poteva ancora dubitare che le autorità federali sarebbero nuovamente intervenute per salvare una banca di importanza sistemica, dopo il salvataggio di Credit Suisse con i soldi dei contribuenti è evidente che nessun altro istituto bancario sarà lasciato fallire. Ciò vale anche per le banche di medie dimensioni, visto che gli istituti bancari hanno delle strategie di investimento molto simili e soprattutto sono molto interconnesse: se una banca rischia di fallire, diverse altre banche rischieranno a loro volta di fallire per l’elevato volume di prestiti che si concedono reciprocamente a scadenze ravvicinate. A maggior ragione ora che l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS ha creato una banca ancora più grande dei due istituti che ne sono all’origine, i suoi dirigenti hanno la certezza che potranno continuare a giocare al ‘grande casinò’ della finanza globalizzata, sapendo che potranno speculare con i loro fondi e quelli della loro clientela – tra cui si trovano anche molte casse pensioni, che gestiscono i risparmi forzati dei loro assicurati – per massimizzare i profitti di questo gigante bancario al fine di ricavarne dei dividendi e dei bonus stravaganti, fino a quando scoppierà la prossima crisi finanziaria, che vedrà lo Stato intervenire per evitare l’implosione del capitalismo finanziario venutosi a creare dopo la fine dei Trenta Gloriosi anni (1945–73) durante i quali le politiche economiche di stampo Keynesiano aveva permesso di aumentare il benessere e la prosperità, grazie anche alla creazione dello Stato sociale e al suo consolidamento nell’interesse generale, ossia anche delle banche e delle imprese – che in tal modo possono aumentare la propria cifra d’affari e i loro utili, versando anche delle remunerazioni elevate ai loro dirigenti e dei lauti dividendi ai loro azionisti in una situazione di prosperità e di pace sociale – che ormai non esiste più da quando il capitalismo finanziario ha iniziato a smantellare sia lo Stato sociale sia la collaborazione sinergica fra Stato e mercato.”

 

Come valutare la decisione della Banca nazionale svizzera, che il 23 marzo ha annunciato un aumento di mezzo punto percentuale del tasso di interesse di riferimento?

“Questa decisione non mi ha stupito, però mi ha lasciato un po’ inquieto. Se non è stata presa per aumentare i profitti che le banche guadagnano tramite i loro prestiti, i dirigenti della Bns hanno commesso un grave errore, pensando di calmare in questo modo la cosiddetta inflazione importata. Sussiste infatti il rischio che questa manovra non riesca a ridurre il rincaro dei prezzi al consumo, anzi potrebbe addirittura esacerbarlo. Infatti se le imprese pagano maggiori tassi di interesse per rifinanziarsi presso le banche, prima o poi trasferiranno questi maggiori interessi sui prezzi di vendita dei loro prodotti. Ciò si ripercuoterà negativamente sul commercio al dettaglio e perciò sulla cifra d’affari di molte imprese, che faranno fatica a vendere se aumentano i prezzi in una situazione in cui l’economia ha già evidenti difficoltà. Sul mercato finanziario, l’aumento dei tassi di interesse certamente porterà maggiori redditi alle banche, perché riceveranno maggiori interessi sui prestiti che concedono, ma una parte dei loro debitori potrebbe pure essere fragilizzata se non addirittura resa insolvente, inducendo una serie di effetti a catena che faranno male tanto all’economia quanto alla coesione sociale e a quella nazionale, in un periodo in cui i conflitti socio-economici sono già evidenti e dovrebbero preoccupare le autorità politiche.”

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