Destra USA: la crociata anti “woke” dilania il Paese

di Luca Celada, corrispondente da Los Angeles

 

Lo scorso novembre, mentre i candidati repubblicani ottenevano modesti risultati nei midterm, in Florida Ron DeSantis veniva rieletto governatore con uno storico scarto di ben venti punti – record degli ultimi 40 anni.

La chiave della sua ascesa è stato l’uso della Florida come prototipo di governo conservatore e vetrina di politiche improntate alle “culture wars” divenute carburante della destra populista. Il caso della censura del David di Michelangelo in una scuola di Tallahassee, rappresenta insomma solo il punto di arrivo di una sistematica operazione repressiva.

 

Quando lo scorso inverno, ad esempio, sono state ventilate nuove normative di energetiche che avrebbero disincentivato le vendite di cucine a gas, i repubblicani hanno gridato all’ennesima imposizione di “burocrati e ambientalisti.” DeSantis non solo si è unito al coro, ma ha dichiarato le cucine simbolo di libera scelta degli Americani ed annunciato agevolazioni fiscali per promuoverne le vendite, escludendo di proposito modelli elettrici più efficienti.

 

Un’altra diatriba ad alto profilo ha contrapposto il governatore alla Disney, padrona del parco Disney World di Orlando e rea di aver obbiettato pubblicamente alle politiche anti LGBTQ promulgate dallo stato. Per punizione, DeSantis ha decurtato le agevolazioni fiscali e amministrative di cui l’azienda ha da sempre goduto, annunciando simili regole per tutte le aziende che tentino di imporre una “linea ideologica” ai cittadini/clienti.

 

“Combatteremo il woke nelle scuole e nelle corporation,” ha dichiarato enfaticamente il governatore italoamericano. “Non ci arrenderemo mai e poi mai alla mafia del woke, la Florida sarà il cimitero del woke”, ha aggiunto scandendo come un mantra il termine che ha soppiantato la correttezza politica come anatema pigliatutto della destra radicale.

 

Non passa giorno ormai senza che esponenti della destra americana non si scaglino contro l’enigmatico flagello che nessuno sa definire con precisione, ma che designa vagamente ogni iniziativa atta a produrre progresso sociale. Se la definizione è aleatoria, negli “stati rossi,” i 26 stati (su 50) attualmente governati da Repubblicani, la crociata per eliminarne la presunta perniciosa influenza è sempre più codificata in leggi fin troppo concrete che prendono di mira diritti che sembravano acquisiti da decenni, modificando radicalmente i contorni della società americana.

 

La crociata improvvisamente ubiqua contro il woke rende il limite delle destre che preso il potere non riescono a progredire oltre le provocazioni sui temi “emozionali” con cui raccolgono consensi elettorali: “gender” immigrazione, sovranismo, identità, temi “caldi” (come in Italia la procreazione assistita) che meriterebbero un approfondito dibattito sociale e a cui i governi conservatori, radicalizzati dal populismo, tentano di applicare un pugno di ferro. Una strumentale attrazione a legiferare cultura e moralità che li avvicina fatalmente ad un retaggio liberticida e autoritario.

 

Il caso che più eclatante negli Stati Uniti riguarda ovviamente l’aborto. L’abrogazione del diritto federale all’interruzione della gravidanza l’anno scorso da parte della corte suprema ha rimesso ai singoli stati l’autonomia decisionale. Prevedibilmente nella maggior parte degli stati conservatori l’aborto è stato fortemente ristretto o reso illegale. In Texas sono state introdotte ricompense per i cittadini-delatori che denunciano donne e chi le assista nel procurarsi un aborto. Medici e personale sanitario sono divenuti passibili di forti pene anche detentive, tribunali hanno decretato ingiunzioni per obbligare madri a portare a termine gravidanze anche in casi senza possibilità di sopravvivenza del feto, dottori hanno rifiutato di interrompere gravidanze anche in casi di necessità medica o hanno aspettato che la vita della madre fosse effettivamente in pericolo – ad esempio per setticemia – per essere al riparo da condanne (5 donne in Texas hanno sporto querela contro lo stato in casi di questo tipo). In metà degli stati americani le cittadine debbono “espatriare” verso stati garantisti per abortire e farlo in segreto onde evitare sanzioni. In South Carolina a marzo è stata proposta una legge che equipara il reato di aborto all’omicidio e prevede fra le punizioni anche la pena di morte.

 

Il prossimo obbiettivo degli anti abortisti è l’aborto farmacologico. Il mese scorso il Wyoming ha messo fuori legge le pillole utilizzate a questo scopo e un ricorso ai tribunali federali potrebbe estendere il divieto a tutto il paese. Per milioni di donne, il passaggio da regime di democrazia liberale a distopia è stato praticamente istantaneo, grazie anche al gran numero di giudici conservatori di cui Trump ha infarcito i tribunali federali, privando il sistema di un vero contrappeso costituzionale.

 

I limiti all’aborto rappresentano una grande vittoria del movimento conservatore che dopo 50 anni di progressiva radicalizzazione è giunta a controllare la maggioranza sulla corte suprema e ora intravede l’opportunità di allargare l’azione a quella che è percepita come l’”ingiusta” egemonia culturale della sinistra. Negli ultimi 20 anni il partito repubblicano ha regolarmente perso il voto popolare, allo stesso tempo si è spostato su posizioni progressivamente più dogmatiche ed intransigenti, effetto anche della forte componente integralista religiosa al suo interno. Quello che tradizionalmente è stato il partito del governo minimo, post-Trump è dunque sempre più fautore di imposizioni autoritarie per favorire “l’ordine trascendentale proveniente dalle tradizioni, la filosofia o la teologia.” Questa frase proviene dal manifesto del Teneo Network, una rete di ultraconservatori fondata da Leonard Leo, l’uomo che precedentemente aveva dato vita alla Federalist Society con l’obbiettivo, brillantemente conseguito, di blindare il massimo tribunale. Teneo, e l’odierno GOP, si prefiggono di compiere la stessa operazione per gli altri punti nevralgici della società come università ed imprese, usando il potere dei governi statali.

 

Predicata sulla “protezione dei nostri figli” dal presunto “indottrinamento” dell’“ideologia woke” la crociata per “ristabilire i valori tradizionali” si è dunque focalizzata sull’istruzione pubblica, diventata, come in Florida, paradigmatico campo di battaglia. Nel suo stato DeSantis ha promulgato una serie di decreti “dimostrativi” a partire dal cosiddetto “stop woke act” (legge 1467) che definisce quali “argomenti razziali” possono lecitamente venire trattati nelle lezioni scolastiche. La legge criminalizza gli insegnamenti che possano “mettere a disagio o indurre sensi di colpa” in base alle azioni collettive di una razza o di un sesso. È quindi diventato illecito insegnare che lo schiavismo e la segregazione sono state politiche ufficiali degli Stati Uniti, per non “provocare disagio” ai discendenti degli schiavisti. Il governo ha successivamente commissariato alcuni distretti scolastici e proibito corsi di studi etnici, specificamente quelli di storia afroamericana e ispanica.

 

Un altro fronte è quello LGBTQ, preso di mira dal decreto detto “Don’t say gay”, che vieta di abbordare nelle scuole della Florida questioni di genere e orientamento sessuale, secondo il precetto di DeSantis, che ha ordinato agli insegnanti di “concentrarsi su matematica e grammatica, non il cambio del sesso.” Per denunciare un eventuale insegnante trasgressore basta la “segnalazione” da parte di un genitore o studente e gli eventuali trasgressori rischiano sanzioni fino a cinquemila dollari e 5 anni di reclusione – più la perdita dell’idoneità professionale.

 

“Non abbiamo alcuna intenzione di sovvenzionare con fondi pubblici covi di vecchia ideologia,” ha poi dichiarato DeSantis a proposito dell’Università della Florida di cui ha designato nuovo rettore conservatore e annunciato la costituzione di un istituto per “l’educazione civica e classica” che nei campus statali promuoverà valori patriottici ed anticomunisti come modo per “espugnare le cittadelle di indottrinamento marxista” (come ritiene essere ad esempio la critical race theory.)

 

Camuffate dalla retorica nazional populista, queste leggi hanno di fatto normalizzato la censura, colpevolizzando il pensiero critico, soprattutto sulla questione razziale, perenne radice di divisione sociale, motore di attivismo, e ora di recriminazione di una destra bianca in panico demografico. DeSantis si è dimostrato fra i più abili a strumentalizzare questi temi, ma non si tratta di un caso isolato. Negli ultimi anni sono state ratificate ben 64 leggi in 25 stati che stabiliscono quali siano i contenuti idonei per le lezioni nelle scuole.

 

Altrove, Sarah Huckabee Sanders, governatrice del Arkansas (ed ex portavoce di Trump) ha firmato il divieto di usare il termine neutro “latinx” per definire cittadini ispanici e limitato per legge i pronomi “alternativi.”. In Tennessee sono state approvate restrizioni al “cabaret adulto,” l’eufemismo usato per spettacoli di drag queen, per proteggere i bambini dall’“indottrinamento gay.” L’ossessione repubblicana ha colorato perfino la critica ai recenti fallimenti bancari provocati, secondo esponenti GOP, dall’eccessiva adesione degli istituti finanziari a precetti “woke” come l’assunzione di minoranze o la responsabilità sociale, che avrebbero offuscato la governance finanziaria.

 

Per trovare un simile livello di ingerenza governativa e disinvolta persecuzione ideologica occorre risalire alla red scare maccartista. Con la psicosi del “woke” si giustificano oggi restrizioni alle libertà di parola e di pensiero che sarebbero state impensabili fino a pochi anni fa. Né si tratta più solo di retorica, oggi in metà paese la demagogia viene codificata in ordinamenti con forza di legge e conseguenze reali sulla vita dei cittadini, ad esempio sulla scelta di dove vivere, studiare e lavorare. Lo scontro promette di acuirsi ancora con l’avvio della stagione elettorale, e, soprattutto in un atmosfera arroventata dagli attacchi di Trump ai magistrati che lo indagano, spaccare ulteriormente il paese in due nazioni incompatibili: una democrazia liberale se pur imperfetta ed una emergente nazione securitaria, oscurantista e dalle marcate caratteristiche integraliste.

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