Save the people not the banks

I miliardi per le banche e per l’esercito ci sono sempre. Nella socialità, nella formazione e nella cura si taglia

di Fabio Dozio

 

Sarebbe bello se le coincidenze fossero istruttive. Purtroppo lasciano indifferenti.

A pochi giorni dalla decisione del Consiglio federale di intervenire per salvare la piazza finanziaria dal tracollo di Credit Suisse (CS), con la promessa di concedere garanzie per 109 miliardi di franchi alla nuova UBS, più 5 milioni, oltre ai 150 miliardi previsti dalla Banca nazionale, il governo annuncia una serie di tagli volti a “sgravare il bilancio della Confederazione”. Il Consiglio federale precisa che “il pacchetto adottato per scongiurare il dissesto di Credit Suisse non avrà alcun impatto sul bilancio ordinario e non renderà affatto necessaria l’introduzione di ulteriori misure correttive”.

 

Quindi, care concittadine e cari concittadini, non fatevi ingannare da chi interpreta la coincidenza di decisioni come contradditoria, suggerisce Berna. Si salvano le banche, ma non il popolo, al contrario di come esclamavano una dozzina di anni fa i giovani di Occupy Wall Street e anche di Occupy Paradeplatz.

 

Berna intende tagliare 250 milioni di franchi nell’assicurazione disoccupazione, ridimensionerà il progetto sulla custodia di bambini (asili nido, ecc.), 150 milioni in meno all’infrastruttura ferroviaria e verranno toccate anche le rendite AVS, in particolare quelle vedovili. Inoltre, sono già previsti tagli di 70 milioni di franchi sui politecnici di Zurigo e Losanna. Ma non finisce qui, c’è ancora una ciliegina sulla torta dei risparmi: “La forte crescita delle uscite attesa nell’ambito della previdenza sociale – scrive il CF – (in particolare per l’AVS, le prestazioni complementari, le riduzioni dei premi e ora anche per la cura dei figli complementare alla famiglia) e dell’esercito, nonché le grandi incertezze legate alle uscite del settore della migrazione, rendono indispensabile l’adozione di ulteriori misure correttive al più tardi a partire dal 2025”. Un taglio diretto dei contributi federali all’AVS era già stato annunciato dal Tages Anzeiger, ma è – per ora – sparito dalle misure. Fino a quando?

 

Risparmi soprattutto nell’ambito sociale e della cura, dove invece bisognerebbe investire per creare una ricaduta positiva sulla società. E spese inutili per l’esercito: si propone di aumentare il finanziamento, mentre i vertici militari affermano bellamente che non sanno ancora come investire i nuovi milioni promessi.

 

Molti esperti, all’indomani del tracollo del CS, hanno sottolineato che purtroppo la stupidità, l’arroganza e l’incompetenza non possono essere perseguite penalmente.

Vale anche per i politici?

 

Riassumiamo: si salvano le banche e si penalizzano i cittadini.

 

 

Tassare i ricchi

Per evitare tagli nel sociale, che mettono in difficoltà i settori più fragili della società (anziani, vedove, madri che lavorano), ci sono almeno due possibilità. Non ridurre la spesa pubblica dello Stato, uscire dal cappio del mito del deficit, che mira all’assurda parità di bilancio, consigliabile in famiglia, ma non per lo Stato. Oppure far pagare più tasse ai ricchi e ai super ricchi.

 

Diamo un’occhiata a quest’ultimo aspetto. Non tutti i ricchi piangono quando devono pagare le tasse, c’è anche chi si lamenta perché versano imposte insufficienti, troppo basse.

 

Più di cento miliardari del mondo intero (però non c’è nessuno svizzero…) hanno inviato una lettera, in gennaio, al World Economic Forum, dicendo che l’attuale sistema fiscale è ingiusto e che i ricchi devono pagare più tasse. “La maggior parte di noi – scrivono i paperoni – può dire che mentre il mondo ha attraversato una quantità immensa di sofferenza negli ultimi due anni, la nostra ricchezza è aumentata durante la pandemia. Pochi, se non nessuno di noi, possono dire onestamente di pagare le giuste tasse. Il mondo, ogni paese, deve esigere che i ricchi paghino. Tassate i ricchi, e tassateci ora”. Negli stessi giorni, sempre a Davos, veniva pubblicato il rapporto Oxfam che sottolinea che le disuguaglianze uccidono: i 10 uomini più ricchi al mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni durante gli anni di pandemia, da 700 a 1500 miliardi di dollari! “È il virus della disuguaglianza, non solo la pandemia, a devastare così tante vite. – afferma Oxfam – Ogni 4 secondi una persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, per fame, per violenza di genere. Fenomeni connotati da acute disparità”.

 

Purtroppo l’appello dei miliardari non sembra aver effetto sulle politiche mondiali. Anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres aveva, già due anni fa, esortato i governi a considerare “una tassa di solidarietà o di ricchezza su coloro che hanno tratto profitto durante la pandemia, per ridurre le estreme disuguaglianze”. Parole al vento.

 

 

Benvenuti super ricchi

Dalle nostre parti i rappresentanti dell’economia e del commercio, i politici che rappresentano le élite, sono insensibili alle disuguaglianze e chiedono riduzioni fiscali per chi è già benestante.

 

A Ginevra, lo scorso 13 marzo i cittadini hanno respinto, con il 59,2 % dei votanti, la proposta di aumentare la tassazione dei dividendi degli azionisti. L’iniziativa proponeva di tassare l’integralità dei dividendi e non solo il 70% come ora. I promotori della riforma hanno spiegato che negli ultimi vent’anni i salari degli operai dell’industria sono aumentati del 18%, mentre i guadagni degli azionisti sono cresciuti di dieci volte.

 

In Ticino, il partito liberale ha proposto di ridurre il carico fiscale per gli alti redditi, “Un Ticino attrattivo per gli ottimi contribuenti”. Negli ultimi due anni nel Cantone ci sono state due riforme che hanno attenuato la pressione fiscale. Una riduzione dell’aliquota sulla sostanza delle persone fisiche e un abbassamento dell’imposta sull’utile delle persone giuridiche, che dal 2025 dovrebbe scendere ancora dall’attuale 8% al 5,5%.

 

I socialisti hanno chiesto di sospendere questa ulteriore riduzione, fino al 2028, visto i risultati del bilancio cantonale: “mentre il governo prepara i tagli per colmare un deficit strutturale di 150 milioni di franchi, frutto delle minori entrate cantonali, si introduce una modifica che andrà a favore delle persone più facoltose”.

 

 

Povertà allarmante

In Svizzera il rischio di povertà sta diventando preoccupante. 722 mila persone – fra cui 133 mila bambini – sono colpite da povertà, ovvero l’8,5% della popolazione. Sono dati che si riferiscono a inizio 2020, prima della pandemia. Caritas svizzera ha indicato alcune misure da adottare per sconfiggere la povertà: “Occorrono stipendi che permettano di garantire l’esistenza, una sicurezza sociale e la garanzia di un minimo vitale a livello di prestazioni complementari per tutte le persone. Sono necessarie pari opportunità educative per tutti, un sufficiente numero di alloggi a prezzi accessibili, premi della cassa malati più bassi e un’offerta finanziariamente sostenibile di servizi di buona qualità per l’assistenza all’infanzia complementare alla famiglia”.

 

 

Minimun tax troppo bassa

Unico lumino in questo buio è la tassa minima effettiva del 15% (minimum tax) che le multinazionali dovranno versare in 137 paesi grazie all’accordo tra OCSE e G20. Anche la Svizzera ha sottoscritto questa misura, ma per attuarla sarà necessaria una modifica costituzionale e quindi una votazione popolare a metà del prossimo mese di giugno. Il presidente statunitense Biden aveva proposto, in un primo momento, un tasso del 20%, ma per essere approvata da tutti si è giocato al ribasso. L’economista francese Thomas Piketty sottolinea che i lavoratori dipendenti e i piccoli e medi lavoratori autonomi pagano, di fatto, almeno il 20-30% e spesso anche il 40-50% di imposte. La misura del 15% “si limita a concedere ufficialmente ai più ricchi di commettere frodi”. Solo un piccolo passo, dunque, nella giusta direzione. Perlomeno, in Svizzera, sarà utile per ridurre la concorrenza fiscale fra i Cantoni, un eccesso di federalismo assolutamente controproducente. Intanto, a metà marzo, un centinaio di eurodeputati e molti economisti invitano, con un appello su “Le Monde”, a introdurre un’imposta internazionale progressiva sulle grandi ricchezze. “Quello che siamo riusciti a fare per le multinazionali, va fatto anche per le grandi fortune”. L’ingiustizia fiscale va corretta, perché negli ultimi anni “i paesi hanno progressivamente abbandonato la tassazione sulla fortuna e sul capitale. In media, il tasso d’imposizione delle PMI in Europa supera il 20%, mentre per le multinazionali, per esempio nel settore digitale, si situa attorno al 9%”. Si propone, in particolare, una tassa dell’1,5% a partire da un patrimonio di 50 milioni di euro. Una misura che può ridurre le disuguaglianze, partecipando al finanziamento degli investimenti necessari alla transizione ecologica e sociale.

 

 

È il momento di agire

Un paio di sondaggi svolti fra la popolazione svizzera la settimana seguente il disastro Credit Suisse rivelano che una discreta maggioranza giudica negativamente l’operazione di “salvataggio” e considera favorevolmente l’ipotesi di una eventuale nazionalizzazione temporanea di una parte del nuovo mostro bancario.

 

“Si parla molto di aumentare l’imposizione fiscale dei ricchi e dei super ricchi, ora è il momento di agire. – ci dice Marc Chesney, professore di matematica finanziaria all’Università di Zurigo – Ci sono già stati, in passato, periodi in cui la tassazione dei ricchi e dei super ricchi era molto elevata. Negli Stati Uniti, sotto Roosvelt, si sono applicati tassi dell’80-90%, che hanno avuto un grande successo storico: come ha spiegato Thomas Piketty, hanno ridotto le disuguaglianze e sviluppato lo Stato sociale. È una questione di volontà politica e negli ultimi anni l’ondata liberista ha ridotto l’imposizione fiscale per gli alti redditi. Oggi tocca ai cittadini esercitare pressione sui politici, perché sono i poveri e la classe media che subiscono”.

 

Chesney è critico nei confronti dell’attuale fase politica: “I partiti vogliono conservare lo status quo, che significa difendere questo terribile disordine, significa fallimenti, perdita di posti di lavoro, disuguaglianze e squilibri permanenti. Il sistema finanziario è molto fragile, è tutto molto complesso e, soprattutto, c’è molta opacità. I cittadini sono all’oscuro ma, quando c’è qualche problema, sono chiamati a pagare”.

 

Marc Chesney è stato fra i promotori della prima campagna sulla microimposta sul traffico scritturale dei pagamenti. “È una misura che dovrebbe essere rilanciata. – afferma il professore – Forse in questo momento, con la crisi bancaria che non finirà in fretta, c’è una buona possibilità per sensibilizzare i cittadini sulla necessità di qualcosa di nuovo”.

 

La microimposta, che ricorda la Tobin tax, è una misura semplice che potrebbe cambiare radicalmente il sistema fiscale elvetico. Si propone di tassare con lo 0,1% (o al massimo 0,5%) tutte le transazioni economiche elettroniche: un prelevamento al bancomat, un pagamento con carta di credito, i flussi finanziari. Con questo progetto potrebbero essere eliminate tre tasse: l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta federale diretta e la tassa di bollo. Si stima che la microimposta possa fruttare circa 100 miliardi di franchi l’anno.

 

Non essere schiavi del mito del deficit, far pagare più tasse ai ricchi e alle società che hanno approfittato di enormi guadagni durante la pandemia, introdurre la tassa sul traffico scritturale dei pagamenti. Non mancano le idee e le misure per evitare i tagli e per salvare il popolo e non (solo) le banche.

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