di Roberto Livi, corrispondente dall’Avana
Dopo due giorni di riunioni all’Avana tra politici e imprenditori russi (una cinquantina) e cubani, venerdì 19 maggio il vicepremier moscovita Dimitri Chernyshenko ha assicurato che verrà creata una infrastruttura bancaria che faciliti lo scambio commerciale e la presenza di imprenditori russi a Cuba.
Tre banche russe si sono dette pronte a aprire filiali nell’isola, mentre il sistema di pagamenti mediante la carta di credito Mir è già operante. Il vicepremier russo ha anche annunciato che dal primo luglio riprenderanno i voli diretti dalla Russia a Cuba e che si pensa anche a un collegamento stabile navale. Prima di lasciare l’isola Chernyshenko e il ministro del Commercio estero Cabrisas hanno inaugurato alla periferia dell’Avana l’Acciaiera Elettrica dell’impresa Antillana de Acero, rinnovata con capitali russi.
Da parte cubana si attendono investimenti dalla federazione russa nelle aree del trasporto, logistica, agricoltura, zucchero, costruzione e industria oltre che del turismo. Naturalmente, come ha affermato il direttore del Consiglio imprenditoriale Russia-Cuba, Boris Titov, l’Avana concederà «facilitazioni per incentivare» la presenza di investimenti russi, in campo fiscale e con la possibilità di esportare profitti.
Le mani tese da Mosca per aiutare il governo cubano a far fronte alla crisi economica peggiore degli ultimi trent’anni hanno ovviamente un prezzo: l’appoggio del vecchio alleato come socio geopolitico per aprire nuovi mercati alla Russia, oggetto di un duro boicottaggio da parte degli Usa e dell’Europa a causa dell’invasione dell’Ucraina. Cuba può rappresentare una sorta di porta di ingresso degli investimenti russi in vari paesi dell’America latina. «Per opporci alle sanzioni occidentali» per causa della guerra in Ucraina, «siamo interessati a investimenti finanziari in Argentina, Brasile, Paraguay, Bolivia, Uruguay e Venezuela», ha affermato Oleg Savchenko, vicepresidente del Comitato finanziario della Duma (parlamento russo). Per questa ragione dall’inizio dell’anno vi è stata all’Avana una sfilata di politici e imprenditori russi, dal ministro degli Esteri serghei Lavrov, al presidente della Duma, Volodin, al segretario del Consiglio di sicurezza, Patrushev, al direttore del gigante petrolifero statale Rosneft, Sechin, al consigliere economico di Putin, Titov
Le recenti misure adottate dal governo cubano, come quelle per la «soberania alimentaria», non hanno dato risultati concreti. Così la percezione della situazione che ha il cubano de a pie, il cittadino comune, è che la crisi si aggrava, l’inflazione cresce, le medicine non si trovano, i generi alimentari e di prima necessità scarseggiano, salvo ad apparire in negozi privati - diventati micro o piccole imprese- ma a prezzi astronomici per chi riceve lo stipendio in pesos. Come ha di recente riconosciuto il primo ministro Marrero se tutti i proclami e le iniziative del governo non si manifestano concretamente «nel piatto del cittadino», allora si tratta di buone intenzioni «non di soluzioni».
Recenti inchieste informano che per il 64% della popolazione il principale problema è l’estrema scarsezza di prodotti alimentari e il loro costo. La percentuale si eleva tra i cubani che non ricevono rimesse dall’estero e vivono dei pesos del loro salario. «Noi cubani passiamo 12 ore al giorno per trovare prodotti alimentari di base e le altre dodici a discutere sulle ragioni che impediscono allo Stato di fornire i prodotti che dovrebbe garantire», afferma di fronte alla Bodega vicino a casa mia un pensionato, ex professore di biologia, amareggiato di fronte ai prezzi: un litro di olio di semi 1000 pesos, un cartone di uova più di 2000 pesos, una libbra (mezzo chilo) di riso a 180 pesos di fronte alla sua pensione che supera di poco i 3000 pesos. Non stupisce dunque che solo meno del 20% della popolazione ritenga possibile un miglioramento in tempi brevi.
Questa situazione ha prodotto una frattura del tessuto sociale dovuta sia all’aumento del livello di povertà sia a una “inconformidad”, una sfiducia nella possibilità di un cambiamento e miglioramento della vita e una percezione di un incremento dell’autoritarismo del vertice politico-amministrativo.
Parte della popolazione ha reagito con un aumento dell’astensionismo nelle ultime elezioni politiche e anche un forte incremento dell’esodo migratorio – ad aprile, mentre l’amministrazione Biden inaspriva le condizioni di accettazione dell’immigrazione alla frontiera col Messico, la Guardia costiera degli Usa ha segnalato l’arrivo in Florida di 5900 “balseros” cubani, e l’intercettazione in mare di altri 6000 cubani che tentavano di raggiungere la costa nordamericana in imbarcazioni di fortuna.
Per l’economista Omar Everleny in questo frangente «è vitale incrementare l’offerta nazionale di beni e servizi. Bisogna fare passi avanti verso l’introduzione di elementi dell’economia di mercato, perché vi sia maggior competizione e per mettere fine ai monopoli di qualsiasi genere». Dunque è necessaria «una vera riforma economica integrale, in modo da diminuire l’enfasi sull’impresa statale e invece si parli di impresa cubana, statale o meno, in modo da promuovere un’integrazione tra imprese di stato e private o cooperative» sotto il controllo macroeconomico dello Stato. Insomma, le misure tampone prese con l’intenzione di guadagnare tempo non funzionano. Anche perchè l’Amministrazione Biden non ha mollato la presa e continua a mantenere Cuba nella lista dei paesi che per gli Usa «favoriscono il terrorismo».
Una bufala che ben pochi credono anche negli Usa, ma che serve allo strangolamento economico dell’isola. E che riduce drasticamente le possibilità di aumentare gli investimenti esteri necessari per le riforme. Il neonominato (dal presidente Díaz-Canel) ministro del Commercio estero e degli investimenti stranieri, Ricardo Cabrisas (86 anni) sta attuando misure che diminuiscono le difficoltà burocratiche per favorire gli investimenti esteri. Ma il tempo è scarso. Per questo vanno bene le mani tese di Mosca.
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