Terapie geniche a prezzi stratosferici?

di Andrea Capocci, giornalista scientifico

 

Si è chiuso l’8 marzo a Londra il terzo «Summit mondiale sulle modifiche genetiche umane» a cui hanno partecipato scienziati, giuristi, filosofi e associazioni di pazienti. A differenza delle due edizioni passate, le conclusioni del summit non hanno riguardato tanto la bioetica delle modifiche al genoma umano, quanto il loro impatto sociale.

 

A pochi anni dalla messa a punto, le nuove tecniche di «gene editing» stando già generando le prime terapie. I costi elevatissimi delle terapie geniche rischiano però di ridurne l’accesso e di compromettere lo sviluppo di nuove cure.

 

La conferenza che da poco si è chiusa a Londra è stata la terza edizione, dopo quella di Washington del 2015 e di Hong Kong nel 2018, entrambe a loro modo «storiche». Nel 2015, infatti, venivano per la prima volta presentati all’opinione pubblica mondiale i rischi e le opportunità di una nuovissima biotecnologia denominata CRISPR-CAS9 messa a punto solo un paio di anni prima, con cui modificare il Dna diventava facile ed economico. La tecnica sfrutta un meccanismo del sistema immunitario dei batteri: un enzima viene guidato da una sequenza genetica e «taglia» il Dna delle cellule nel punto esatto del genoma indicato dall’Rna. Il taglio e la successiva auto-riparazione del Dna disattivano il gene colpito e ne bloccano le conseguenze dannose. Con questo metodo, i medici sperano di curare molte malattie ereditarie.

 

L’edizione del 2018 fu invece sconvolta dall’annuncio della nascita di due bambine (che poi sarebbero diventate tre) geneticamente modificate da un semisconosciuto ricercatore cinese, Jiankui He. Di colpo, la comunità scientifica e non si trovava di fronte alla materializzazione di un futuro finora descritto solo dalla fantascienza, con il rischio che simili esperimenti si moltiplicassero grazie alla facilità d’uso della tecnologia CRISPR-CAS9. L’annuncio portò Jiankui He a una condanna a tre anni di detenzione, nonostante la Cina fosse apparsa fin lì più aperta dei paesi occidentali alle sperimentazioni non regolamentate. Nella dichiarazione finale del Summit, i partecipanti concordarono su un bando totale – ribadito anche a Londra – nei confronti dell’applicazione della tecnica CRISPR agli embrioni potenzialmente in grado di dare vita una gravidanza, in mancanza di informazioni certe sulla sicurezza e l’opportunità del suo uso.

 

Al Summit del 2023 le implicazioni bioetiche sono però passate in secondo piano. Lo scandalo generato dall’«esperimento» di Jiankui He e le sue vicissitudini giudiziarie hanno dissuaso altri colleghi dal ripetere simili imprese. Inoltre, in questi anni sono emersi nuovi dubbi sul rischio che la tecnica CRISPR induca anche mutazioni non desiderate, oltre a quelle intenzionali. La tecnica rimane molto più precisa di quelle precedenti, ma prima di essere applicata a nascituri – che non possono, per ovvie ragioni, soppesare rischi e benefici e che trasmettono le mutazioni alla loro discendenza – deve rispondere a criteri di accuratezza assoluti. Nella applicazioni sugli adulti, invece, CRISPR sta facendo grandi passi avanti in campo terapeutico. Grazie a CRISPR sono state messe a punto terapie per alcune malattie ereditarie del sangue come la beta-talassemia e l’anemia falciforme. Altre sperimentazioni promettenti sono in corso per la distrofia muscolare di Duchenne. Le terapie geniche tradizionali introdotte in tempi recenti sul mercato farmaceutico, tuttavia, hanno prezzi altissimi fissati dalle società farmaceutiche. L’ultima approvata negli USA, il farmaco Hemgenix per la cura dell’emofilia B, costa 3,5 milioni di dollari. Poche costano meno di qualche centinaio di migliaia di euro. Laddove, come negli USA, domina la sanità privata, sono le assicurazioni private a doversi sobbarcare il costo scaricandolo poi sulle polizze dei loro clienti più benestanti, gli unici ad accedere a queste terapie. In Europa, dove l’accesso ai farmaci è in gran parte a carico del servizio pubblico, c’è un problema di sostenibilità finanziaria che può compromettere la disponibilità di terapie: ad esempio, la società farmaceutica Bluebird che produce lo Zynteglo (contro la beta-talassemia) e lo Skysona (adrenoleucodistrofia cerebrale) ha deciso di ritirarle entrambe dal mercato europeo per l’impossibilità di trovare un accordo con i servizi sanitari pubblici del continente. C’è il rischio che anche le terapie sviluppate con CRISPR abbiano simili barriere all’accesso? «Con la diffusione di terapie basate sulle modifiche genetiche somatiche, diventa sempre più urgente garantire l’equità, la sostenibilità economica e l’accessibilità dei trattamenti», si legge dunque nelle conclusioni del Summit londinese, in cui si sottolinea anche l’importanza dell’inclusività nelle popolazioni destinatarie dei farmaci e nella comunità scientifica che li sviluppa. Anche perché è proprio nelle aree del mondo disagiate che le terapie geniche possono rivelarsi più utili. «Per l’anemia falciforme (e molte altre malattie ereditarie) un’elevata percentuale dei pazienti vive in paesi poveri e in comunità prive di infrastrutture adeguate» scrive il documento finale. «Il trasferimento di conoscenze tra le nazioni, il miglioramento delle strutture sanitarie sono necessarie per assicurare un accesso sostenibile e sicuro alle terapie».

 

In un intervento recente sul New England Journal of Medicine, la più importante rivista scientifica in campo medico, i ricercatori Kerstin N. Vokinger, Jerry Avorn e Aaron Kesselheim dell’università di Harvard (Usa) e di Zurigo fornito tre suggerimenti preziosi per abbassare il prezzo di queste terapie. Il primo è aiutare le istituzioni pubbliche a sviluppare i farmaci, invece di delegare la commercializzazione alle società private. Il secondo è di aggredire i monopoli brevettuali quando, come nel caso delle terapie geniche, lo sviluppo è in gran parte realizzato dalla ricerca pubblica. Il terzo, specifico per il contesto statunitense, consiste nel sostituire sistemi di negoziazione pubblica con le aziende per l’acquisto delle terapie alla competizione tra le assicurazione private, che inevitabilmente fanno innalzare i prezzi. In poche parole, si tratta di restituire il carattere pubblico a sistemi sanitari che oggi servono soprattutto gli interessi privati.

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