Da Kiev a Berna

L'editoriale - Q45

 

Al momento di andare in stampa, la situazione in Ucraina continua ad essere di stallo totale. Finora la controffensiva ucraina, che i nostri media per mesi avevano sbandierata come imminente e decisiva, non ha sortito effetto alcuno, salvo quello di enormi perdite umane.

Il conflitto assomiglia sempre di più alla 1ª Guerra Mondiale e ciò non solo per la sua futilità ed in fondo in buona parte casualità. Come allora, pur coscienti che il disastro si sarebbe dovuto e potuto evitare, una volta innescata la dinamica della guerra, più nessuno seppe come uscirne se non poi dopo quattro anni e quasi 20 milioni di morti.

 

La parte più oltranzista della NATO, in particolare la Polonia ed i Paesi baltici, ma sotto sotto anche Washington, spinge perché si arrivi, costi quel che costi, alla sconfitta totale della Russia: non è neppure escluso che diverse teste calde di Varsavia pensino, qualora il conflitto si generalizzasse, addirittura ad una possibile annessione della parte più occidentale dell’Ucraina, che nella storia la Polonia ha spesso rivendicato.

 

Zelensky, sempre più alle prese con la cronica corruzione di cui da sempre soffre il paese, stringe i bulloni e limita molte libertà, abolisce ogni protezione sindacale e nel frattempo svende il paese ai grandi gruppi finanziari internazionali, BlackRock in primis.

 

A trionfare per intanto sono solo i produttori di armi, i petrolieri e buona parte dei capitalisti americani.

 

Anche perciò, nell’opinione pubblica occidentale l’iniziale massiccio sostegno a Zelensky sta a poco a poco, ma costantemente riducendosi, mentre Putin, dopo la rivolta da operetta di Prigozhin, sembra più che mai padrone della situazione in Russia. Esattamente com’era capitato qualche anno fa ad Erdogan dopo che era riuscito in quattro e quattr’otto a sventare una specie di tentativo di colpo di stato.

 

A poco a poco molti tra coloro che inizialmente ci avevano accusati di essere filo-Cremlino, in quanto da subito avevamo proclamato come nostra posizione “Né con Putin né con la NATO”, stanno abbassando i toni, mentre sembra rafforzarsi nell’opinione pubblica internazionale la posizione di chi si è sempre battuto per la ricerca di una soluzione pacifica, posizione ben esemplificata da Papa Francesco e da Lula.

 

Queste considerazioni ci sembrano importanti anche in vista delle elezioni federali di ottobre, dove probabilmente, contrariamente a quanto era sin qui sempre capitato, la politica estera potrebbe giocare un ruolo. Proprio perciò nel programma comune della lista “Verdi e ForumAlternativo” (vedi pag. 11) abbiamo chiaramente detto che, a fronte di proposte sempre più esplicite da parte dei partiti borghesi, noi siamo invece totalmente opposti a qualsiasi ulteriore avvicinamento alla NATO.

 

Non siamo invece a favore dell’iniziativa-bidone dell’ala blocheriana dell’UDC che vorrebbe far mettere nella nostra costituzione una “neutralità eterna ed armata” del nostro paese. Ne parla ampiamente in questo numero (pag. 4) Fabio Dozio. Iniziativa-bidone perché prevede eccezioni tali, per cui la Svizzera potrebbe benissimo ritrovarsi o addirittura partecipare attivamente ad un conflitto armato. Allo stesso tempo però l’UDC giustificherebbe con questo articolo costituzionale un aumento continuo ed ancora più spropositato, di quanto non stia già capitando, delle spese militari. È di questi giorni la richiesta di ulteriori 13 miliardi!

 

È probabile che anche il tema dell’Unione Europea sarà al centro della campagna elettorale: ne parla in modo approfondito Vasco Pedrina (pag. 6) Non c’è dubbio alcuno che su questo tema il Consiglio Federale stia facendo una figura incredibilmente barbina. Dopo aver fatto fallire in modo altezzoso le trattative con l’UE per un accordo quadro, il nostro governo a sorpresa di tutti si è ritrovato senza l’ombra di un piano B. È per noi chiaro che quell’accordo quadro, soprattutto o forse solo per le sue conseguenze a livello dei diritti sindacali e delle garanzie salariali, non poteva essere accettato. Noi siamo però convinti che su questi temi con una prova di forza con il padronato svizzero il Consiglio Federale avrebbe potuto trovare delle controproposte concrete e probabilmente accettabili per il fronte sindacale. Ma la maggioranza borghese del nostro governo, sostenuta dall’UDC, si è ben guardata dal percorrere questa strada. Per intanto il Consiglio Federale continua invece a balbettare penosamente, mentre gli studenti ed i ricercatori svizzeri stanno maledettamente soffrendo per l’esclusione dai programmi europei.

 

Non vorremmo essere fraintesi. Noi abbiamo sempre combattuto la versione neoliberale che da un paio di decenni domina l’UE. Siamo però sempre ancora internazionalisti e come tali rifuggiamo da gretti nazionalismi e sovranismi. E restiamo convinti che un vero futuro socialista per l’Europa sia possibile solo in una prospettiva continentale e non possiamo perciò accettare le derive rosso-bruniste che sembrano fare il verso all’UDC. Queste derive sono sempre state una piaga della sinistra radicale, come già ebbero occasione di denunciare più di un secolo fa sia Lenin che Trotsky.

 

È però evidente e giusto che i temi centrali della campagna elettorale che si sta aprendo saranno soprattutto quelli legati alla sempre più esplosiva crisi climatica nonché all’aumento delle ingiustizie sociali e ad un sempre più evidente sfruttamento degli strati meno abbienti della popolazione. Questa miscela sarà resa ancora più esplosiva dai nuovi, brutali aumenti dei premi di cassa malati, che già sono stati annunciati a mezza voce. E non c’è dubbio che su questo tema tra poco inizierà sia da parte del Consiglio Federale che dei nostri politici cantonali il solito bla bla imbonitore che ci stanno servendo, anno dopo anno, da più di un decennio. Forse la nuova stangata potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso. E allora, com’è stato il caso per i minacciati tagli delle pensioni, le piazze potrebbero riempirsi.

Ce lo auguriamo.

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