Pensioni pubbliche, una lotta per la comunità

di Francesco Bonsaver

 

17mila lavoratori, il 7% della forza lavoro cantonale, sta lottando per non vedersi diminuire drasticamente le rendite pensionistiche. Sarebbe il secondo taglio subito nel giro di quindici anni, che ridurrebbe le loro rendite del 40%.

 

I numeri sono impietosi. Laura, classe 1977, per un impiego nell’amministrazione cantonale a tempo pieno, percepisce 5’431 franchi. La sua rendita pensionistica precedente al primo taglio, sarebbe stata di 2’762 franchi. Se passasse il secondo, ne prenderebbe mille in meno. Elisa, cuoca in una casa anziani al 60% per cui riceve 3’385 franchi, coi due tagli si vedrebbe decurtare la rendita mensile da poco più di mille franchi a 676 franchi.

 

Dal monitoraggio di Pro Senectute Svizzera pubblicato in autunno, sappiamo che il Ticino è il cantone in cui c’è la maggiore proporzione di pensionati in condizioni precarie: il 29,5%. L’aspetto tragicomico della vicenda è che se la cifra di pensionati poveri aumenterà, il “merito” sarà dell’autorità cantonale. Dei 17mila lavoratori di cui si parla, 10mila sono suoi dipendenti, 7mila sono dipendenti di enti parastatali o di comuni assoggettati all’IPCT. Sono il personale di pulizia degli stabili cantonali, gli insegnanti, gli assistenti di cura e nelle case anziani, i dipendenti comunali o dell’amministrazione cantonale, della giustizia e moltissime persone che lavorano in un’infinità di servizi statali.

 

All’ipotesi di quel taglio, in molti hanno detto basta e hanno iniziato a reagire. Autorganizzandosi. Quei dati sui salari attuali e le future rendite, li abbiamo ricavati dal sito della Rete per la difesa delle pensioni, l’associazione nata dal basso, da lavoratrici e lavoratori toccati dal possibile taglio. «La forza di Erredipi sta nella capacità di accumulare competenze diverse per metterle al servizio della collettività» spiega Enrico Quaresmini, membro di Erredipi. «Il calcolatore sul nostro sito per sapere a quanto ammonterà il taglio alla tua rendita pensionistica, è stato elaborato da un matematico con conoscenze informatiche. Gran parte degli accattivanti slogan e delle performance che hanno accompagnato le nostre iniziative sono nate da alcuni docenti delle scuole cantonali. Le informazioni chiare e comprensibili sui meccanismi tecnici della Cassa pensioni, arrivano da persone esperte del ramo. Nell’apparato statale ci sono tante belle teste pensanti che si mettono disposizione della comunità».

 

La prima iniziativa di Erredipi è stata informare gli affiliati di cosa volesse dire la frase “sarà diminuito il tasso di conversione” contenuta nella lettera inviata dall’Istituto di previdenza del Cantone Ticino (IPCT) ai suoi affiliati. «La diminuzione del tasso di conversione, senza misure accompagnatorie, corrisponde a una riduzione delle rendite pensionistiche. Poiché nel 2012 vi era già stata una riduzione delle rendite, nel giro di quindici anni, le rendite mensile della Cassa pensioni cantonale scenderebbero del 40%» spiega Alessandro Frigeri di Erredipi.

 

L’associazione di lavoratori ha dunque colmato una lacuna informativa della Cassa pensioni. Il Consiglio di amministrazione di Ipct è composto per metà da rappresentanti dei lavoratori, eletti dagli affiliati nelle liste proposte da tre sindacati (Vpod, Ocst e Sit). Vi sono dunque delle responsabilità dirette dei sindacati nella mancata informazione agli affiliati alla cassa pensione. Ma anche a livello decisionale, ricorda Quaresmini: “I rappresentanti dei tre sindacati hanno accettato il principio di una discesa del tasso di conversione ‘alla cieca’, ossia prima di conoscere le misure accompagnatorie che si sarebbero dovute applicare. Perché è questo il punto: si può scendere col tasso di conversione, ma bisogna prevedere delle misure di compensazione per non scaricare i costi sui lavoratori, esonerando il datore. Questo è stato il peccato originale» racconta Quaresmini.

 

Preso atto del problema, i lavoratori si sono autorganizzati, creando l’associazione Erredipi. Il passaggio successivo è stata la mobilitazione per impedire il taglio. Alla prima manifestazione d’autunno, parteciparono 4mila persone. Il 14 dicembre invece, 1500 persone circondarono simbolicamente il Palazzo delle Orsoline dove si stava tenendo una seduta del Gran Consiglio. L’ultima iniziativa in ordine temporale, è stata lo sciopero dello scorso 10 maggio che ha visto una buona partecipazione. Uno sciopero quasi autorganizzato, dato che il contributo dei tre sindacati alla costruzione della giornata d’astensione pare sia tiepido. Organizzare uno sciopero non è cosa semplice. Come siete strutturati, chiediamo a Quaresmini. «Abbiamo delle assemblee aperte, orizzontali, organizzate con una cadenza mensile. Poi vi è il comitato. Dall’estate scorsa, tra le 15 e le venti persone si ritrovano ogni settimana per mettere in atto quando deciso in assemblea. Un terzo del comitato è composto da personale dell’amministrazione cantonale, il restante lavora in ambito scolastico». Il loro movimento spaventa partiti e istituzioni, perché democraticamente autonomo.

 

L’autorità cantonale si rifiuta di riconoscerli quali rappresentanti dei lavoratori appellandosi alle formalità e quando può, cerca di intimidirli. Coi docenti si riesce meno, vuoi per tradizione storica di combattività, vuoi perché è oggettivamente più difficile licenziarli. Ma dei dipendenti dell’amministrazione rei di aver espresso liberamente la loro contrarietà ai tagli, sono stati più o meno velatamente ripresi dai superiori. «Sono diverse le persone che ci hanno confidato di non poter continuare a esporsi durante le azioni pubbliche di Erredipi per paura di ritorsioni». Contro due membri di Erredipi, il governo ha avviato un’inchiesta amministrativa. Sono stati interrogati per un paio d’ore dai vertici dell’amministrazione su chi avesse inviato delle mail ai dipendenti cantonali, dove li si informava del possibile taglio. Il brutto gesto intimidatorio risalente all’inizio della mobilitazione, non ha avuto l’effetto sperato. Erredipi ha continuato a lottare. Nei fatti, i lavoratori chiedono di non dover pagare il conto di un danno di cui non hanno responsabilità. Lasciata marcire nel tempo, la situazione dell’istituto pensionistico è diventata grave, economicamente parlando. Il datore di lavoro, l’autorità cantonale, è ora chiamata a risolvere il problema. Fedele alla sua natura democratica, Erredipi ha avanzato una semplice rivendicazione. «La richiesta di Erredipi è che, qualsiasi ipotesi di soluzione dovesse arrivare, sia sottoposta ai lavoratori prima di essere discussa dal Gran consiglio. Al momento attuale, non abbiamo alcuna garanzia che sarà così» chiarisce Quaresmini.

 

I liberisti di Udc e della Lega dei Ticinesi hanno già annunciato il referendum «contro qualsiasi franco speso a favore di questa casta di privilegiati» ha scritto Lorenzo Quadri, il politico leghista retribuito 220mila franchi l’anno dai contribuenti ticinesi. Il deputato Udc Paolo Pamini ha invece definito i dipendenti pubblici dei consumatori d’imposte. Pamini non ha mai nascosto i suoi sogni liberisti. Sogna un mondo dove non esista una struttura collettiva, lo Stato, per cui non si dovrà pagare le imposte. Il libero mercato penserà a tutto. La società non esisterà più come comunità, ma ci saranno solo dei singoli individui in competizione tra loro. L’attacco alle pensioni e ai salari dei dipendenti pubblici fa parte del disegno ideologico per arrivare al sogno liberista di Pamini.

 

La lotta che sta conducendo la Erredipi per evitare che i dipendenti statali da anziani diventino dei poveri, non è una questione di categoria, ma interroga l’intera società ticinese. Il senso di appartenenza a una comunità si costruisce e si rafforza quando quest’ultima garantisce dei servizi e le opportunità a tutti i suoi membri, nella vita quotidiana o nel momento di bisogno. Denigrare queste lavoratrici e lavoratori (anche a livello salariale e pensionistico), equivale a sminuire l’importanza del servizio garantito dallo Stato alla popolazione, indipendentemente da quale estrazione sociale sia il beneficiario. Ecco perché non possono essere lasciati soli. Sentirsi comunità non è uno slogan buono da esibire solo durante le pandemie. La comunità esiste tutti i giorni e i servizi che questi lavoratori e lavoratrici offrono con professionalità, sono una delle sue massime espressioni.

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