L’esempio grigionese
di Francesco Bonsaver
«In una società che progressivamente invecchia, il tema dell’assistenza e della cura delle persone anziane diventa sempre più importante.
Nel 2019 in Ticino il 23% della popolazione aveva più di 65 anni e il 7,1% più di 80 anni. Gli scenari demografici prevedono un’ulteriore crescita degli anziani nei prossimi anni: lo scenario di riferimento prevede nel 2050 una quota di ultrasessantacinquenni pari al 33,8%, e di ultraottantenni pari al 15,5%». Inizia così l’analisi proposta dall’Ufficio di statistica cantonale sullo stato dell’”Assistenza informale e familiari curanti in Ticino”, pubblicato nel 2020 sulla rivista Dati da Matteo Borioli dell’Ustat. Per il padre della statistica ticinese, Stefano Franscini, l’importanza di acquisire dell’informazione oggettiva attraverso i dati statistici aveva unicamente senso se concepito al servizio del cittadino, fornendogli strumenti conoscitivi per la partecipazione democratica.
Un insegnamento dimenticato da buona parte dell’attuale classe politica cantonale che tende a snobbare la statistica ufficiale per poi tentare di rimediare ai problemi sociali quando ormai sono conclamati, nel migliore dei casi apportandovi dei cerotti non risolutivi. Di fronte agli innegabili dati dell’invecchiamento ticinese e delle sue conseguenze, la società del care in alternativa al mercato della cura diventa un tema politico imprescindibile e urgente. “Dalle analisi risulta che i familiari curanti, sono una realtà importante sia in Ticino che nel resto della Svizzera. Essi rappresentano un aiuto fondamentale per le persone assistite e complementare all’offerta di servizi e cure a domicilio” si legge nell’articolo dell’Ustat, che aggiunge: “i sentimenti e le emozioni che i familiari curanti ed i loro assistiti vivono ogni giorno non sono tuttavia misurabili con le statistiche e per questo motivo ci limiteremo a descrivere questa realtà con grande rispetto e riconoscenza per il grande lavoro svolto».
Lavoro e riconoscimento sono due parole chiave della presa a carico dei familiari. Un lavoro quasi mai riconosciuto finanziariamente e che in molti casi si scontra col tempo di lavoro retribuito della persona che aiuta il familiare. Quando ne ha la possibilità, la persona tende a ridurre il tempo di lavoro retribuito per poter accrescere il tempo di lavoro gratuito di cura al familiare. Ciò equivale a una penalizzante riduzione del reddito per chi assiste i propri cari. Un problema serio e grave dimenticato dalle autorità federali, che solitamente si limitano nelle rituali occasioni a formulare bei discorsi di circostanza sull’importanza dell’impegno profuso dai familiari curanti.
Nel Canton Ticino si è persino riusciti a spacciare quale importante misura a favore dei familiari curanti la nascita di una piattaforma composta da enti e associazioni attive nel campo, la cui nascita si deve al baratto in cambio di sgravi fiscali di decine di milioni a favore di pochi benestanti, nel famigerato baratto fiscale-sociale approvato dagli elettori per un soffio nel 2018. La piattaforma potrà avere anche una funzione, ma di certo non migliora le condizioni economiche delle persone che si prendono carico dei parenti malati o anziani non più autosufficienti, rinunciando magari a parte del proprio reddito mensile. Alcuni cantoni, pochi in verità, sono invece passati dalle parole ai fatti, riconoscendo economicamente il contributo sociale di quest’ultimi.
L’esempio più recente arriva dal Canton Grigioni, il cui governo ha deciso lo scorso autunno di proporre un assegno di accompagnamento di circa 500 franchi al mese per i familiari curanti che assistono un loro congiunto. Per la misura, il governo retico ha messo a preventivo 2,4 milioni di franchi all’anno a partire dal 2025, stimando a circa 300 il numero dei possibili beneficiari. Il Dipartimento grigionese di giustizia, sicurezza e sanità diretto dal consigliere di Stato Peter Peyer (PS) sta ora elaborando la base legale che permetta di concretizzare il progetto. Secondo Peyer, senza i familiari curanti il sistema sanitario grigionese non sarebbe più in grado di adempiere alle sue funzioni. Una misura simile è già in vigore nei cantoni Vallese, Vaud e Glarona.
In Ticino, stando a quanto si legge nell’analisi dell’Ustat, nel 2017 circa 51mila persone «avevano aiutato una persona cara una o più volte a settimana negli ultimi 12 mesi». Un numero decisamente importante per il contesto ticinese. L’articolo spiega che quasi tre familiari curanti su quattro erano impegnati più volte a settimana ad aiutare i propri cari e che la stragrande maggioranza di loro era attiva sul mercato del lavoro retribuito. Gli analisti dell’Ustat hanno suddiviso in fasce di reddito mensile i familiari curanti, confrontandole con la quantità di tempo dedicato alla cura dei parenti, per poi giungere alla seguente conclusione: «Si può ipotizzare, in un’ottica di costi-benefici, che chi dispone di un reddito elevato opta per pagare un aiuto (ad esempio un/a badante) piuttosto che diminuire il proprio tempo lavorativo per seguire personalmente il familiare bisognoso».
Si conferma dunque anche in Ticino l’importanza del fattore economico nella possibilità di prendersi cura dei parenti in caso di bisogno, in particolare vista l’evoluzione demografica.
Beppe Savary-Borioli, nella sua esperienza pluridecennale di medico di base nelle valli del Locarnese, conosce bene il ruolo dei familiari nella presa a carico di parenti malati o degli anziani non più totalmente autonomi. «Per esperienza diretta, posso garantire quanto sia essenziale il contributo dei parenti per il benessere fisico e mentale dei pazienti. Nel caso degli anziani non più autosufficienti poi, si rivela spesso determinante nella possibilità di quest’ultimi di poter restare a casa propria». Savary Borioli, gran consigliere ticinese eletto nelle file del ForumAlternativo alle ultime elezioni di aprile, garantisce che in tempi brevi si farà promotore di un atto parlamentare che prenda spunto dal modello grigionese di riconoscere economicamente l’impegno dei familiari curanti.
«Purtroppo, viste le maggioranze in Parlamento, non mi faccio molte illusioni su una risposta positiva. Ma di certo non demordo. Tutte le volte che mi si risponderà “non ci sono i soldi”, ricorderò loro quanto sia stato possibile in una notte trovare 259 miliardi per finanziare una banca privata nell’acquisire un’altra banca privata sull’orlo del fallimento».
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