Sgravi, tagli e poco più non aiutano le finanze

di Christian Marazzi

 

Un amico prezioso mi ha ricordato che esattamente vent’anni fa, il 19 ottobre del 2003, l’allora direttrice del DSS Patrizia Pesenti fu esautorata da buona parte delle sue funzioni per essersi rifiutata di effettuare tagli alla spesa per case per anziani, indigenti e disabili.

 

Oggi siamo di nuovo qui, come se da allora il tempo si fosse fermato. Ma non è il tempo, è la politica che è rimasta immobile, paralizzata come è in quel pensiero unico che crede di risolvere tutti i problemi con sgravi fiscali ai ricchi, freno all’indebitamento, pareggio di bilancio e, ovviamente, tagli alla spesa sociale. Quante volte si è detto e ripetuto, anche guardando a quanto accaduto in altri Paesi, che non era questa la strada da seguire, che così facendo saremmo andati a sbattere contro il muro, che la maggior ricchezza dei più ricchi non sgocciola nell’economia reale ma va dove crea ancor maggiore ricchezza, che per promuovere la crescita lo Stato deve operare per ridurre le disuguaglianze, che l’indebitamento pubblico non è un male se si traduce in investimenti nella formazione, nella sanità, nella socialità, nella cultura.

 

Niente, anzi il pensiero unico perorato dalle lobby locali di fiscalisti e operatori finanziari è entrato addirittura nella Costituzione e si è fatto «decreto Morisoli», ponendo, con voto popolare, un termine temporale al pareggio di bilancio: 2025, cioè domani.

 

E ora la mazzata. Le misure di rientro, insomma i tagli preventivati per il prossimo anno, sono indecenti. Si va dal non adeguamento dei salari al carovita e alla tassa di solidarietà dei dipendenti pubblici (il settore privato ringrazia), all’esclusione dai sussidi ai premi di cassa malati di migliaia di persone, ai tagli nel settore sociosanitario, della disabilità e del disagio giovanile, che sta dilagando.

 

Misure avulse dalla situazione economica, con la stagnazione (forse anche la recessione) e l’inflazione che incombono, con due guerre destinate a durare a lungo, con una crisi del mondo del lavoro fatto di precarietà e bassi salari.

 

Appellandosi alla Costituzione e alla legge, lo Stato dichiara la sua impotenza: i margini d’azione sono ristretti, si dice, siamo costretti a varare misure antisociali. Anzi, questo è solo l’inizio, sono da prevedere altre misure di rientro, altri tagli, anche perché vogliamo finalmente effettuare quegli sgravi necessari per rafforzare il «substrato fiscale », altrimenti i ricchi contribuenti scappano. Insomma, il vuoto di potere è pressoché assoluto, la politica è stata sacrificata sull’altare del pensiero unico, fattosi Costituzione e legge. E se magari il Parlamento cercasse di modificare queste norme, se si riappropriasse del suo ruolo, della sua autonomia progettuale, del suo coraggio?

 

Sono passati vent’anni, vent’anni sono andati perduti? Forse no. Allora scesero in piazza migliaia di cittadini, allora si disse no all’ingiustizia sociale e all’arroganza istituzionale.

 

Non è escluso che il passato illumini anche quest’altra realtà.

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