La neutralità nella Costituzione

di Fabio Dozio

 

La neutralità deve essere ancorata nella Costituzione?

Dopo gli sconvolgimenti geopolitici dell’ultimo anno, il tema è attuale. Il vero dilemma è se si vuole una neutralità armata o umanitaria e pacifista.

La neutralità svizzera è a rischio? È un interrogativo che circola nel Paese a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. La Svizzera ha messo in atto sanzioni contro la Russia, come deciso dall’Unione europea, e negli ultimi mesi si continua a discutere sull’eventualità di vendere carri armati in disuso del nostro esercito a paesi europei che potrebbero inviarli in Ucraina. Da ultimo, fa discutere la decisione del Consiglio federale di partecipare al sistema di difesa aerea Sky Shield. Una scelta considerata da molti osservatori come un ulteriore avvicinamento alla NATO.

 

Ma la vicinanza elvetica alla NATO non è una novità. Da anni il nostro paese partecipa al “Partenariato per la pace”, singolare definizione per un programma di collaborazione militare! Inoltre, il Dipartimento militare ha deciso di acquistare, per 6 miliardi di franchi, i caccia americani F-35 che hanno il sistema informatico collegato con il Pentagono. (Qualcuno avrà spiegato a Frau Amherd che la guerra in Ucraina – paese quindici volte più grande della Svizzera – dimostra l’importanza dei droni e non dei jet?). Il Consiglio federale non ha ancora sottoscritto il trattato dell’ONU sull’interdizione delle armi nucleari, come deciso dal Parlamento nel 2018: perché alla NATO non piace? E, mastodontica perla, la dichiarazione del capo dell’esercito Thomas Süssli: in caso di conflitto, la Svizzera, nel giro di due settimane, sarebbe fritta e dovrebbe appoggiarsi alla NATO. Difesa elvetica poco efficace: due settimane di resistenza ci costano cinque miliardi di franchi all’anno, che diventeranno sette…

 

La neutralità svizzera è a rischio? Guardando ai fatti citati diremmo di sì. Dopo la “neutralità attiva”, inventata nel 2006 da Micheline Calmy-Rey, il ministro Ignazio Cassis fa un passo in più e, con un giochetto semantico, vara la “neutralità cooperativa”. Vale a dire, maggiore vicinanza al partner storico americano e alla sua alleanza di riferimento (NATO). D’altra parte è inutile far finta che una neutralità assoluta (“non allineata”) sia mai esistita.

 

Non dimentichiamo che la neutralità ha rappresentato un ottimo strumento per fare affari nel corso dei secoli, attitudine che ha portato a definire la Svizzera un paese di ricettatori.

 

Per alcuni esperti, per esempio, rispettare fino in fondo la neutralità avrebbe impedito di far parte delle Nazioni Unite. Il Dipartimento degli affari esteri precisa comunque che “la Svizzera dà alla sua neutralità un orientamento umanitario e pacifico, conforme alla sua tradizione in materia di buoni uffici e di aiuto umanitario. Essa organizza la sua neutralità tenendo conto dei bisogni della solidarietà internazionale, mettendola al servizio del mantenimento della pace e della prosperità”. L’avvicinamento alla NATO rispetta questi principi?

 

In questo clima geopolitico insicuro, confrontato con il pericolo della catastrofe nucleare, c’è chi – come l’associazione nazionalsovranista Pro Schweiz, vicina a Christoph Blocher – coglie l’occasione per lanciare un’iniziativa popolare federale sulla “Salvaguardia della neutralità svizzera (Iniziativa sulla neutralità)”. In sostanza si propone di inserire nella Costituzione un articolo che sancisce che “La Svizzera è neutrale. La sua neutralità è permanente e armata”. “La neutralità svizzera – affermano i promotori – è un punto bianco nel mondo, un luogo universalmente riconosciuto dove le parti in guerra e in conflitto possono incontrarsi e parlarsi senza armi. Finché ci sarà una Svizzera neutrale, la pace avrà più possibilità”.

 

Fulvio Pelli, già presidente nazionale del PLR, boccia l’iniziativa con un “tre in condotta”, ma la definisce un’ “astuta proposta” che conferma l’ “arguzia politica” di Christoph Blocher e che merita di essere approfondita. (laRegione 28.6.23)

 

Pelli sostiene che la politica estera deve restare nelle mani del Consiglio Federale, per avere la necessaria elasticità di adeguarsi con tempestività alle situazioni critiche, come nel caso della guerra in Ucraina. Spiega che la scelta della neutralità viene da lontano, dal Congresso di Vienna del 1815, e che sarebbe arrogante cambiare le regole del gioco. Osserva inoltre che l’iniziativa “cerca di far passare la neutralità per valore identitario, per nascondere la vera caratteristica di strumento di politica estera”. E aggiunge: “Noi consideriamo la neutralità anche quale elemento identificante delle nostre caratteristiche di svizzeri e quindi quel tema tocca i nostri sentimenti più profondi”.

 

In che misura la neutralità è un elemento fondante dell’identità elvetica o, come dice lo storico Sacha Zala, ha finito per acquisire “uno statuto quasi religioso”?

Il tema è piuttosto complicato, perché entrano in gioco aspetti storici, giuridici nazionali e internazionali e politici. Era dal 1993 che il Consiglio federale non si occupava in modo esaustivo di questo dossier. Lo ha fatto lo scorso ottobre, rispondendo con un rapporto a una precisa richiesta della Commissione di politica estera, formulata dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

 

La neutralità svizzera – precisa il Consiglio federale – possiede cinque caratteristiche:

  • è permanente ed è riconosciuta dal diritto internazionale.
  • è una libera scelta, anche se è riconosciuta internazionalmente, e ci si può rinunciare unilateralmente.
  • è armata.
  • La Svizzera non ha avuto politiche di espansione negli ultimi secoli.
  • La neutralità non è una neutralità di opinione, non significa essere neutri in termini di valori.

Nel suo rapporto, il governo sottolinea che il grado di accettazione della neutralità nella popolazione è elevato. All’inizio del 2022 il 97% degli svizzeri si è pronunciato a favore della neutralità. Dopo l’inizio della guerra in Ucraina i sostenitori sono scesi all’ 89%. In ogni caso, il governo afferma: “In politica interna, la neutralità resta un’importante caratteristica d’identità”.

 

La neutralità svizzera è costituita dal diritto di neutralità e dalla politica di neutralità. Il diritto è il nucleo duro, che àncora la nostra neutralità ai trattati e al diritto internazionale. La politica di neutralità comprende le misure che mirano ad assicurare l’efficacia e la credibilità della neutralità. Una parte rigida e una aleatoria, come il nucleo di un atomo e gli elettroni che ruotano attorno.

 

A proposito della rilevanza costituzionale del tema, il Consiglio federale scrive: “Il legislatore svizzero ha deliberatamente scelto di non iscrivere la neutralità come obiettivo nella Costituzione, perché si tratta di uno strumento e non di un fine in sé. La neutralità ha bisogno di flessibilità per potersi adattare ai tempi. Di conseguenza, trattando della neutralità, la Costituzione federale attuale prevede unicamente che il Consiglio federale e l‘Assemblea federale prendano misure per preservare la neutralità della Svizzera”.

 

Come si vede, o si può immaginare, la questione non manca di ambiguità e rasenta la tautologia. La “flessibilità” e “l’adattamento ai tempi” fin dove potranno portare la Svizzera?

 

Assegnare rilievo costituzionale alla neutralità rafforzerebbe il principio, ma sarebbe un vincolo per il Governo? Potrebbe impedire lo scivolamento del Consiglio federale verso la NATO?

 

L’iniziativa, in proposito, afferma: “La Svizzera non aderisce ad alleanze militari o difensive. È fatta salva una collaborazione con tali alleanze in caso di aggressione militare diretta contro la Svizzera o in caso di atti preparatori in vista di una simile aggressione”.

 

Il comandante di corpo Süssli può tirare un sospiro di sollievo, sapendo che non gli sarà impedito di abbracciare la NATO, se l’articolo costituzionale entrasse in vigore. E ancora: “La Svizzera non partecipa a scontri militari tra Stati terzi e non adotta neanche misure coercitive non militari nei confronti degli Stati belligeranti. Sono fatti salvi gli obblighi verso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e i provvedimenti volti a impedire l’elusione delle misure coercitive non militari adottate da altri Stati”. E, da ultimo, “La Svizzera si avvale della propria neutralità permanente per prevenire e risolvere conflitti e offre i propri buoni uffici in qualità di mediatrice”.

 

L’articolo costituzionale non offre nuove prospettive alla neutralità. E, soprattutto, non fa fare passi avanti a una Svizzera pacifista. Con una neutralità armata costituzionale si garantirebbero ancora le enormi e inutili spese militari e si confermerebbe la natura affaristica elvetica, anche quando ci sono guerre di mezzo.

 

Stimolante lo storico e giurista Olivier Meuwly, autore della recente Une brève histoire constitutionelle de la Suisse. Al giornalista che gli chiedeva se non fosse esagerato proporre di introdurre nella Costituzione un articolo che avrebbe proibito di tagliare le corna delle mucche, come avvenuto nel 2018, così rispondeva: “Non credo. L’esempio delle corna delle mucche in realtà è molto serio. Pensiamo al dibattito sul veganismo e lo statuto degli animali. Quello sulle corna era un argomento molto al passo con i tempi. Malgrado sia all’apparenza un po’ folcloristica, questo tipo di democrazia ha permesso di discutere di una questione concreta e di fornire una risposta. Sento spesso ripetere questa critica, ovvero che l’iniziativa popolare è un fattore di populismo. Ma in realtà è il contrario. Se il populismo è meno cancrenoso in Svizzera rispetto ad altri Paesi europei, è proprio perché osiamo mettere sul tavolo determinate tematiche sensibili e le affrontiamo”. (Le Temps/Naufraghi 7.7.23)

 

La neutralità è a rischio? È un valore identitario? Ha senso che rimanga “armata”? Rispondendo a queste domande il popolo svizzero – se l’iniziativa avrà successo – deciderà se ancorare nella Costituzione il principio di neutralità.

 

C’è tempo, perché la raccolta delle firme si concluderà nel maggio del prossimo anno.

 

Sarà opportuno che anche la sinistra si chini sul tema evitando, possibilmente, di liquidare la difesa della neutralità come un affare della destra.

 

Forse la neutralità elvetica fa parte di un bisogno di protezione del nostro Paese, come suggerisce, più in generale Pier Luigi Bersani, ex segretario del Partito democratico italiano: “Questo ripiegamento della globalizzazione sta favorendo idee di destra, non più quella liberista, ma quella sovranista, nazionalista. Questa destra risponde a modo suo alla nuova parola d’ordine del mondo che è ‘protezione’. La sinistra invece è ancora attardata su parole d’ordine che furono vincenti nei primi anni Novanta, cioè: opportunità, merito, flessibilità, eccellenze. Ecco, per me, la grande idea della sinistra oggi è proporre protezione sì, ma sulla base dei suoi valori”.

 

La sinistra elvetica deve scegliere da che parte stare, ricordando che, in passato, il PS ha messo in discussione la necessità dell’esercito e ha sottolineato l’importanza di affidarci a una forza internazionale di mantenimento della pace integrata alle Nazioni Unite.

 

Una cosa è chiara: la neutralità rimane un concetto ambiguo. Raymond Loretan, ex segretario del Partito democristiano, è lapidario: “Se la Svizzera vuole essere neutrale, deve tendere la mano alla Russia in modo visibile come ha fatto per l’Ucraina”. Se, invece, la Svizzera vuole essere europea, “deve approfondire la collaborazione con l’UE e con la NATO. È ora che si esca da questa zona grigia poco chiara per la comunità internazionale”.

 

La seconda opzione significa abdicare alla neutralità. La strada per rinsaldare la neutralità che ci contraddistingue, nel bene e nel male, da secoli, è “rafforzare l’orientamento umanitario e pacifico”, come afferma ma non sempre conferma il Consiglio federale.

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