Ma cosa sta capitando in Cina?

di RedQ

 

Il Dibattito - Per cercare di fare un po’ di chiarezza su quanto sta attualmente capitando in Cina, abbiamo posto alcune domande a due conoscitori della realtà dell’ex Impero Celeste. Alfonso Tuor, che anche per ragioni personali da anni segue molto da vicino i fatti cinesi e Simone Pieranni, quasi sicuramente il miglior analista italiano di quella realtà.

Non c’è dubbio che la crisi immobiliare cinese sia parecchio grave, tenendo conto anche dell’importanza economica di questo settore nel PIL cinese. Come valuti la gravità di questa crisi e come pensi che si possa sviluppare rispettivamente risolvere?

Alfonso Tuor

Non vi è dubbio che la crisi immobiliare cinese è e continuerà ad essere un freno alla crescita. Il settore rappresenta il 25/30% dell’economia cinese ed è stato uno dei comparti trainanti degli ultimi decenni. All’indomani della liberalizzazione del mercato immobiliare decisa da Deng Xiaoping, si sono costruite ex novo milioni di case per dare un’abitazione ai milioni di migranti (circa 300 milioni) che si sono riversati nelle città e per dare case più moderne e più belle alle persone che alloggiavano negli immobili costruiti dopo la rivoluzione. Insomma il boom immobiliare ha creato un’enorme ricchezza che ha permesso l’affermazione del ceto medio cinese. Come sempre, quando un’attività offre una redditività eccezionale, si è inserita la speculazione che non ha capito che il boom del mercato immobiliare non poteva continuare all’infinito. Il danno maggiore della crisi è che ha spento quell’ottimismo nel futuro dei cinesi e che era sicuramente una delle molle del boom del Paese. Non bisogna però pensare che tutto il Paese è fermo. La vita continua come prima anche nelle città secondarie dove si vedono gli scheletri degli edifici vittime della crisi.

Simone Pieranni

La gravità di questa crisi non dipende esclusivamente dalle difficoltà delle aziende immobiliari, che è cronica e ciclicamente ritorna a causa della sua crescita a debito. In questo senso il governo cinese ha sempre messo delle toppe senza mai decidere per misure più drastiche. La pericolosità, più che la gravità (tra l’altro il “collasso” cinese è auspicato da almeno 30 anni specie dagli economisti statunitensi) dipende dall’attuale situazione economica generale e dal fatto che la popolazione cinese, stando ai numeri relativi a consumi occupazione e stando a quanto si può leggere sui social cinesi e anche sui media, è in una fase di forte sfiducia nei confronti del futuro. Quella fase ottimista di grande crescita è in chiara contrazione e questo credo sia il problema più urgente per il PCC, cioè ritrovare una connessione con il popolo.

Di fronte a questa crisi, ormai presente da parecchio tempo, la risposta del governo cinese è sembrata abbastanza blanda, se pensiamo a certi suoi altri interventi. Come mai?

 

Alfonso Tuor A mio avviso, Pechino sta muovendosi con cautela per non commettere gravi errori. Alcune misure sono già state prese. Sono stati versati circa 200 miliardi di dollari agli enti locali, che sono sul lastrico poiché hanno dovuto sopportare i costi della pandemia durante i lunghi lockdown, come cibo, assistenza sanitaria, ecc. e che ora non hanno più i proventi delle aste con cui vendevano i terreni. Basti ricordare che per far fronte alle difficoltà finanziarie alcuni enti locali hanno dimezzato gli stipendi dei loro dipendenti. Agli enti locali Pechino chiede di finanziare il completamento degli edifici che sono stati preventivamente pagati dai cinesi. Il costo del denaro è stato abbassato solo leggermente per evitare una discesa troppo forte del tasso di cambio. Non è stato fatto di più per non ripetere gli errori dei giapponesi che hanno reagito con grande pacchetto di rilancio al crollo dei prezzi immobiliari. Il risultato è che due anni dopo si sono ritrovati a fare i conti anche con i crolli della borsa di Tokyo e con quello delle banche. E stato proprio del sistema finanziario ombra cinese il rischio maggiore. Sono stati infatti fondi investimento, fondi di gestione patrimoniale ecc. a finanziare gli investimenti immobiliari. Probabilmente il governo cinese vuole intervenire solo quando questo sistema bancario ombra comincerà veramente a scricchiolare. Per risolvere questa crisi, occorreranno alcuni anni e forse è giusto non prendere iniziative frettolose.

 

Simone Pieranni Questo non lo sa nessuno e se lo chiedono tutti. Tutti si aspettavano un grosso aiuto che non è arrivato. Può dipendere da due cose: dal fatto che Xi Jinping è impegnato in modo piuttosto forte sul fronte interno (dopo il ministro degli esteri da due settimane non si vede in giro il ministro della difesa) e su quello relativo alle politiche nel settore tecnologico. Sul fronte della crisi immobiliare per ora i rimedi sono stati modesti. Sul fronte invece dei consumi ci sono poche soluzioni se non aumentare i salari e pensare a soluzioni di welfare che consentano alle famiglie una maggior capacità di spesa.

 

 

Non c’è dubbio che siamo confrontati con un rallentamento dell’economia cinese. Quali sono, secondo te, le cause principali e quanto questo rallentamento può rendere ancora più difficile quella trasformazione ad un’economia ad alto valore aggiunto (economia della conoscenza) di cui il presidente Xi parla da molto tempo?

 

Simone Pieranni Le cause sono molteplici: i lockdown durante il Covid che ha pesato molto più di quanto pensiamo: hanno chiuso molte aziende e questo ha comportato un rallentamento della produttività a cui va aggiunta la sfiducia di cui abbiamo parlato a proposito della prima domanda. Sul fronte del posizionamento della Cina sulla catena del valore in una posizione più vantaggiosa i problemi arrivano dalle sanzioni e dallo scontro con gli Usa ma siamo di fronte a un percorso che ormai è intrapreso e non si torna indietro. La Cina continua a essere all’avanguardia nei super computer nei satellici quantistici e questa non è una cosa che si possa invertire. E per quanto riguarda i semiconduttori come ha detto il boss di Nvidia, i cinesi sapranno come produrseli da soli. Di certo gli Usa hanno dato una brutta botta al settore, ma è stato istituito un nuovo fondo di 40 miliardi: nel corso della sua storia, ad esempio la bomba atomica senza sostegno sovietico, la Cina ha dimostrato di saper risolvere questo tipo di problemi.

 

 

Molto del consenso di cui sin qui ha goduto il governo cinese, soprattutto tra la classe media, era basato sul fatto che “le cose andavano ogni anno meglio”. Se ora l’economia rallenta di molto e se c’è un chiaro aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, quanto questo può mettere in pericolo il consenso su cui ha potuto sin qui contare il governo di Pechino?

 

Alfonso Tuor L’impegno nelle nuove tecnologie non è assolutamente diminuito. Pechino continua ad aumentare gli stanziamenti governativi. Non solo. A tale scopo ha anche varato una riforma del sistema universitario che prevede di creare nel Paese sei centri di ricerca di grande eccellenza che affiancheranno le università. A conferma di quanto dico, basta menzionare “l’orrore” degli americani quando hanno scoperto che i nuovi telefonini di Huawei contengono semiconduttori che hanno potenzialità solo di poco inferiori ai chips di ultima generazione statunitensi. Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, che ha raggiunto il 20% e di cui non vengono più diffusi i dati, si sta reagendo alla Mao, ai giovani vengono offerti stipendi maggiorati se sono disposti a trasferirsi nei villaggi rurali per tre anni per migliorare la qualità delle scuole o per affiancare le amministrazioni locali. Dobbiamo renderci conto che la cultura cinese è diversa e il problema del consenso per il momento non sembra ancora porsi.

 

Simone Pieranni Questa è LA domanda delle domande ed è quello che a mio avviso preoccupa di più il Partito. Xi Jinping ha iniziato la sua leadership dicendo che la corruzione del Partito allontanava la popolazione ed era un pericolo per l’esistenza stessa del Partito. Oggi siamo di nuovo in quella condizione, il Partito viene visto come un corpo estraneo dal punto di vista del suo sostegno ai cittadini e viene percepito solo come apparato securitario. Quel patto sociale di cui parli nella domanda deve essere rinnovato per forza di cose, specie con le generazioni più giovani.

 

 

Non c’è dubbio che la Cina si stia chiudendo (è molto più difficile p.es. ottenere un visto), e l’atmosfera generale nella società si sia fatta più pesante anche perché il controllo del PCC sulla società è diventato più stretto. Pensi che ciò sia dovuto solo alla paura di uno scontro, magari anche militare, con gli Stati Uniti o ci sono anche altre ragioni? Come si spiegano le nuove campagne anticorruzione, anche p.es. nel settore ospedaliero e farmaceutico?

 

Alfonso Tuor Non si può parlare di stretta politica se non la si mette in relazione con i rapporti con gli Stati Uniti. I cinesi sono giustamente convinti che Washington vuole fermare il continuo progresso cinese e che a questo scopo è disposta ad usare tutti i mezzi. Ed in effetti gli americani, pressoché ogni giorno, adottano misure contro la Cina. Sarebbe troppo lungo fare l’elenco: si va dalla messa al bando di Huawei al divieto dell’esportazione dei chips di ultima generazione, fino al divieto degli investimenti diretti cinesi negli Stati Uniti e anche nei Paesi “vassalli” europei. Ma queste misure non bastano per frenare la Cina, per cui vengono costruite alleanze militari anti cinesi nell’area del Pacifico. Il governo cinese è convinto che sarà difficile evitare un conflitto militare, per cui stringe i bulloni anche perché sa che Washington cercherà di usare anche l’arma della guerra ibrida, cercando di sostenere manifestazioni di protesta. Per non dare adito ad equivoci, i rapporti tra Stati Uniti e Cina sono già in una fase di preparazione alla guerra. A tale scopo voglio citare le dichiarazioni del responsabile dei servizi di sicurezza cinese, che naturalmente i giornali occidentali non hanno pubblicato. Egli ha recentemente detto: “I responsabili dell’amministrazione americana vengono a Pechino a fare dichiarazione distensive. Non sanno però che noi sappiamo esattamente che il tenore delle loro discussioni a Washington è ben diverso”.

 

Simone Pieranni Il XX Congresso sembrava averci detto di un partito completamente sotto controllo: le epurazioni, non solo nel settore ospedaliero ma anche in quello militare ad esempio, ci dicono che sta succedendo qualcosa, ma non sappiamo cosa. Quello che accade all’interno del PCC è imperscrutabile. L’atmosfera nasce dall’idea che il PCC ha che gli Usa non vedano l’ora di attuare strategie per mettere in difficoltà la Cina (Hong Kong è stata letta così dalla leadership, come una specie di “rivoluzione colorata”) e questo ha portato a stringere le maglie del controllo. Ma il controllo è anche un business, un volano per poi prendere quella tecnologia ed esportarla. Poi a mio avviso c’è stato un restringimento di quella dialettica che pure in Cina c’era tra Partito e intellettuali e in questo senso credo che la motivazione sia da ritrovare nell’atteggiamento di Xi che ha cambiato molto il paese anche sotto il profilo normativo (l’assemblea nazionale non ha mai prodotto così tante leggi come da quando c’è Xi) e nel comparto giustizia. Ha chiuso e non poco gli spazi nelle università: una involuzione pericolosa, se sommata alle difficoltà economiche.

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