La disfatta del male minore

L'editoriale - Q52

 

L’ampiezza della sconfitta di Kamala Harris ha sorpreso un po’ tutti. Che Trump avrebbe vinto lo si era però già compreso la sera del 5 novembre alle 22, quando la CNN ha presentato i dati dei primi exit poll, anche se negli Stati Uniti non si chiede ai votanti quale partito o candidato hanno scelto, ma su quale motivo si è basata la loro scelta.

 

Quasi due terzi degli intervistati aveva risposto che a decidere il loro voto era stata “una grande insoddisfazione con la situazione presente”. La conseguenza logica era la scelta del candidato che prometteva un cambiamento epocale, cioè Trump.

 

Come riporta il nostro corrispondente Luca Celada (Dalla padella di Kamala alla brace del duo Trump-Musk, pag. 18), Bernie Sanders spiega la disfatta democratica con il fatto che la cupola di questo partito da molti anni ha voltato le spalle ai lavoratori. Sanders ricorda anche che almeno il 60% degli americani fa molta fatica ad arrivare alla fine del mese, per cui sono arrabbiati ed hanno quindi ragione di esigere un cambiamento. E Donald Trump ha saputo sfruttare con cinismo ed infiniti mezzi comunicativi questi rancori.

 

Già Bertolt Brecht in uno dei suoi famosi aforismi (“Zuerst kommt das Fressen, dann die Moral”) aveva centrato il problema: chi ha la pancia vuota, decide in base alle sue necessità primarie e non seguendo ideali astratti.

 

Che poi con il terribile duo Trump-Musk le classi meno abbienti cadranno dalla padella nella brace è evidente e non potrà essere diversamente. Basterebbe vedere come con la volata di Wall Street, che ha fatto seguito alla vittoria di Trump, in tre giorni i dieci uomini più ricchi abbiano già guadagnato oltre 64 miliardi di dollari. I principali consiglieri del nuovo Presidente stanno ora preparando la realizzazione del Project 2025 che prevede la distruzione quasi totale del welfare e riforme legislative che potrebbero aprire la strada ad uno stato di polizia.

 

Ci risultano perciò incomprensibili le prese di posizione di quei commentatori “di sinistra” secondo i quali Kamala e Donald erano la stessa minestra o addirittura si poteva quasi preferire quest’ultimo per un suo presunto “pacifismo”, mentre suo genero sta pianificando alberghi di lusso sulle spiagge di Gaza, quando queste saranno ripulite da tutti i palestinesi. Non ci possono essere dubbi sul fatto che Trump, come Orbán, Milei, Bolsonaro, Salvini e camerati rappresentano la faccia moderna di quello che Umberto Eco chiamava il fascismo eterno. L’ampiezza della sconfitta di Kamala Harris dimostra però come, soprattutto nei momenti di crisi, è insufficiente presentarsi come il male minore di fronte ad un candidato misogino, razzista e fascistoide.

 

La storia degli ultimi 100 anni dimostra inoltre che quando la sinistra si sposta verso il centro e non rappresenta più le classi lavoratrici, quest’ultime cadono nelle trappole demagogiche tese dall’estrema destra. Ne sappiamo qualcosa anche in Svizzera! Per cui la sinistra dovrà smetterla di avere solo posizioni difensive e di voler essere il male minore, ma dovrà riprendere un discorso di classe, che abbandoni alleanze contro natura con una parte importante dell’establishment economico e che sappia affrontare di petto l’oligarchia sempre più dilagante. In fondo, per ritornare agli Stati Uniti, Roosevelt era riuscito ad imporre il New Deal con una lotta senza quartiere, minacciando addirittura la galera, contro la parte più reazionaria e dominante del capitalismo americano.

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