In Germania migliaia di decessi per la mancanza di infermiere. E da noi?

di Franco Cavalli

 

Persino la Neuer Zürcher Zeitung, organo della destra economica, ha dovuto recentemente riconoscere che il sistema ospedaliero tedesco ha grossi problemi, nonostante che molti politici dei nostri partiti borghesi abbiano spesso preso, e ancora oggi prendano, la situazione tedesca quale esempio per liberalizzare ancora maggiormente il nostro sistema sanitario.

Nel citato articolo la NZZ riconosce che sono ormai migliaia i decessi che capitano annualmente in Germania a seguito di un’ingravescente mancanza di infermiere. Il governo tedesco sta ora cercando di porre rimedio e dall’inizio di quest’anno ha fissato, almeno per quattro reparti (cure intense, geriatria, chirurgia traumatologica, cardiologia) un numero minimo di infermiere a cui gli ospedali devono attenersi. Così per esempio per le cure intense durante il giorno dovrà esserci un’infermiera per 2,5 pazienti, mentre durante la notte l’infermiera non potrà occuparsi di più di 3,5 pazienti. Questa disposizione, di per sé molto sensata e che dovrebbe ragionevolmente valere anche per tutti gli altri reparti, sta creando grossi problemi, perché semplicemente le infermiere mancano.

 

Di conseguenza molti ospedali stanno chiudendo interi reparti o perlomeno diminuendo il numero di letti disponibili. Così per esempio il portavoce della clinica pediatrica universitaria di Hannover, una delle principali del paese, ha riconosciuto che nel 2018 hanno dovuto rifiutare per mancanza di personale e quindi di letti disponibili ben 400 casi pediatrici, molti dei quali gravi.

 

Da noi l’Associazione Svizzera delle Infermiere (ASI) è da parecchio tempo che si preoccupa di questa mancanza di personale infermieristico, a cui per intanto si riesce a porre almeno parzialmente rimedio grazie ai frontalieri. Per questa ragione l’ASI ha lanciato un’iniziativa popolare “Per cure infermieristiche forti” e in pochissimo tempo ha raccolto le necessarie firme (vedi intervista ad Annette Biegger, Quaderno del Forum 16), anche se il Consiglio Federale nel suo messaggio alle Camere l’ha semplicemente rifiutata, dicendo che si sta già facendo abbastanza per risolvere il problema (vedi articolo “Il Consiglio Federale snobba le infermiere, queste rispondono a muso duro”, Quaderno del Forum numero 19)!

 

 

A questo proposito abbiamo posto alcune domande a Yvonne Willems-Cavalli, responsabile del settore infermieristico EOC.

 

 

 

Qual è la situazione in Svizzera per quanto riguarda la mancanza di infermiere e quali sono le misure più importanti da prendere per migliorare la situazione?

 

A livello nazionale la situazione, per quanto riguarda la mancanza di infermieri, è più marcata che da noi, anche perché negli ultimi anni in Ticino abbiamo fatto tanto a livello della formazione degli infermieri. Per migliorare la situazione bisogna, per dirla in breve, rendere più attrattiva la professione. Questo significa in particolare: un clima di lavoro soddisfacente e quindi una buona leadership, un piano di lavoro che dia continuità ai turni e che permetta un buon equilibrio tra lavoro e vita privata e, naturalmente, un salario adeguato. Inoltre deve esserci la possibilità di lavorare a tempo parziale e, ciò che è molto importante, le infermiere devono avere tempo sufficiente per poter entrare in relazione con i pazienti e per parlare delle proprie emozioni all’interno dell’equipe.

 

 

 

La situazione germanica sembra essere molto grave: come mai si è arrivati sino a questo punto? E quanto siamo distanti in Svizzera da una situazione “alla tedesca”?

 

Il disastro è iniziato una dozzina d’anni fa con l’introduzione in Germania dei DRG (cioè dei pagamenti forfettari) che, aumentando la concorrenza, avrebbero dovuto far diminuire i costi. Anche se lo si è sempre voluto negare, ciò che in pratica e soprattutto è capitato, è stato che si è risparmiato sul personale, cominciando nel non sostituire infermieri che per una ragione o l’altra se ne andavano. Quindi, un razionamento implicito. Siccome gli ospedali assumevano sempre meno personale e quando lo facevano preferivano (per ragioni di risparmi) operatori sociosanitari agli infermieri diplomati, le giovani leve hanno capito che non aveva un gran senso seguire una formazione, per cui le scuole infermieristiche si sono poco a poco svuotate ed alcune hanno addirittura dovuto chiudere.

 

Il moltiplicarsi di gravi complicazioni e di eventi avversi in Germania è sicuramente da mettere in relazione quindi a questa diminuzione sempre più marcata di personale qualificato. Molti studi internazionali, che si basano su migliaia di pazienti, hanno difatti mostrato in modo chiaro che c’è una netta correlazione fra il numero di pazienti di cui deve occuparsi un infermiere e la percentuale delle complicazioni, anche letali, registrate durante il soggiorno ospedaliero. Questi risultati dimostrano per esempio che se un infermiere deve assistere 6 pazienti invece di 4, ciò fa aumentare del 2% la mortalità generale. Questo aumento arriva fino quasi al 10% in caso di complicazioni e di cifre simili ne potrei dare molte.

 

La situazione in Germania è diventata ora così grave, per cui il governo e i Länder stanno disperatamente cercando di trovare rapidi rimedi. In Svizzera siamo sicuramente lontani da questa situazione, però anche qui da noi, vi è una tendenza sempre più marcata a privilegiare l’aspetto economico, per cui non sempre il personale viene sostituito. Una tendenza che dobbiamo tenere bene sotto controllo, per non arrischiare di arrivare a situazioni simili a quella tedesca.

 

 

 

L’ASI insiste molto sulla correlazione tra numero di pazienti e di infermiere (quella che in termini tecnici si chiama la ratio): su quali dati oggettivi si basa questa rivendicazione?

 

E’ questo un tema dibattuto da anni, anche se ci sono studi che comprendono migliaia di pazienti e di infermieri che danno una risposta di per sé chiara. Soprattutto secondo me vale la pena vedere cosa è capitato per esempio in California, dove si è introdotta la regola di un infermiere per 4 pazienti. Ciò ha fatto aumentare di molto, non solo la soddisfazione degli infermieri, ma anche dei pazienti e, soprattutto sono diminuiti gli eventi avversi, le complicazioni e quindi la mortalità. Personalmente sono convinta che sia un aspetto fondamentale, anche se naturalmente varia da reparto a reparto. Infatti, questo coefficiente viene chiaramente influenzato dalle caratteristiche e dalla tipologia dei pazienti, e quindi dalla complessità e dall’intensità delle cure. È evidente che in un reparto chirurgico altamente specializzato ci vogliono più infermieri che in un reparto di oftalmologia. Altri fattori che si devono tener presenti sono la superficie e la struttura architettonica di un reparto, nonché la presenza o meno di personale di supporto logistico.

 

 

 

In Ticino, quali sono i settori nei quali la mancanza di personale infermieristico si fa sentire maggiormente?

 

Il settore nel quale la mancanza di personale infermieristico si fa sentire maggiormente è quello dell’area critica, che comprende medicina intensiva, pronto soccorso e anestesia. Una delle ragioni è perché questo settore richiede una formazione molto lunga: 3 anni di formazione di base, 2 anni di esperienza ed in seguito ancora 2 anni di formazione post-diploma. Un infermiere impiega quindi quasi 7 anni per arrivare ad avere il suo diploma. Nonostante ciò siamo riusciti ultimamente, grazie ad una campagna di sensibilizzazione, ad aumentare l’interesse degli infermieri ad intraprendere la formazione in medicina intensiva.

 

 

 

Si sente dire che la percentuale di infermiere frontaliere che lavorano in EOC sta diminuendo. È vero?

 

Si, assolutamente, siamo ora scesi attorno al 21%, che è notevolmente più basso rispetto a cantoni come Basilea, Zurigo e Ginevra.

 

 

 

Cosa sappiamo sul grado di soddisfazione del personale infermieristico in EOC?

 

Negli ultimi 6 anni abbiamo partecipato a tre grandi inchieste sulla soddisfazione del personale curante e dei pazienti. Il primo era uno studio internazionale, il secondo era il prolungamento di questo, entrambi guidati dall’università di Basilea ai quali hanno partecipato più di 30 ospedali spesso multi-sito, quindi in realtà si parla di 50-60 siti ospedalieri diversi.

 

Devo riconoscere che nella prima valutazione del 2010 non siamo risultati troppo brillanti. Negli ultimi 4 anni, grazie a diversi sforzi, la situazione è parecchio migliorata, ed ora, come si deduce chiaramente dal secondo studio, siamo nella buona media svizzera sia per quanto riguarda la soddisfazione dei pazienti che quella degli infermieri: anzi, almeno per certi settori, siamo tra i migliori della Svizzera. Stiamo aspettando con “ansia” i risultati dell’ultima indagine, i cui dati dovrebbero diventare disponibili verso la fine della primavera. Questi dati ci interessano particolarmente perché abbiamo l’impressione che negli ultimi 2 anni la pressione sul personale sia parecchio aumentata. Se è così, questi risultati dovrebbero rivelarcelo; spero che in quel caso sarà possibile prendere anche delle contromisure efficaci.

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