di RedQ
Solo chi non conosce la storia degli ultimi 150 anni può meravigliarsi che Trump, Bolsonaro e l’UDC considerino l’opinione unanime della scienza seria a proposito del surriscaldamento climatico come una fake news e si aggrappino alle idee strampalate di quattro cialtroni per cercare di dare una parvenza di credibilità al loro negazionismo.
La destra, soprattutto nelle sue punte estreme, ha sempre avuto un atteggiamento anti scientifico e per dimostrarlo non c’è bisogno di risalire sino a quanto capitato tra la Chiesa cattolica e Galileo Galilei. Basti pensare a come ancora oggi la parte più ignorante e cocciuta della destra continui a non accettare l’evoluzionismo darwiniano, o allora a distorcerne completamente le basi teoriche, come fu fatto dai nazisti. Quest’ultimi difatti trasformarono l’evoluzionismo in una lotta tra le razze, condannate a combattersi e dove solo la più forte sarebbe sopravvissuta. Da qui una delle parole d’ordine con cui scatenarono i terribili eccidi che pervasero l’operazione Barbarossa (aggressione dell’Unione Sovietica) era “i russi devono morire affinché i tedeschi possano vivere”. Questo spiega anche le efferatezze di questo episodio bellico, sicuramente il più sanguinoso di tutta la storia dell’umanità con 1000 morti per ogni ora durante i primi 6 mesi dopo l’inizio dell’aggressione il 21 giugno 1941.
Quest’atteggiamento rientra in quello che viene definito come l’ecofascismo, che cerca di dare una patina di espressione culturale all’idea di base che ogni gruppo etnico deve difendere e proteggere l’ambiente naturale nel quale vive, arrivando ad affermare poi che bisogna proteggerlo anche dall’invasione di altri gruppi (non per niente l’UDC continua a mischiare il dibattito ecologico con l’immigrazione), sino ad arrivare alle teorie del “rimpiazzamento razziale”, tanto di moda oggi soprattutto nelle frange estreme salviniane o lepeniste. Spesso questo discorso si camuffa anche all’interno di teorie panteiste o politeiste, che fanno riferimento soprattutto al filosofo tedesco Heidegger. Su questa base, alcuni dei pensatori a cui fece poi riferimento Hitler nel suo Mein Kampf erano arrivati a dire che “la perdita del contatto stretto con la natura è una delle cause della degenerazione del popolo tedesco”. Non per niente in molti siti della nuova estrema destra americana si ritrovano spesso discussioni attorno il tema a sapere se “Hitler è stato il primo a scoprire l’ecologia”. E anche nel delirio di alcuni degli ultimi attentatori suprematisti bianchi (da Christchurch a El Paso) si ritrova confusamente questo binomio tra xenofobia e ecofascismo.
Ma torniamo ai nazisti e alla loro distruzione della scienza. È interessante notare che dall’inizio dell’esistenza dei premi Nobel sino al 1933 la Germania aveva ricevuto ben 33 premi Nobel contro i soli 8 andati agli Stati Uniti: quindi allora la prima potenza scientifica era chiaramente la Germania. L’ecofascismo, coperto sotto la definizione della völkisch hitleriana con agganci a teorie panteiste e addirittura pre-illuministiche, distrusse ben presto il background culturale su cui poteva crescere un atteggiamento scientifico, ed è solo dalla fine del secolo scorso che la Germania ha potuto riprendersi da questo disastro, che aveva completamente distrutto le basi della sua ricerca scientifica. Nel frattempo, anche per l’emigrazione delle migliori teste tedesche, gli Stati Uniti sono diventati la prima potenza scientifica mondiale, posizione che comincia solo ora ad essere minacciata dalla Cina.
Se scendiamo un gradino verso una valutazione più legata ai problemi concreti della società reale, si potrebbe fare una lunga lista di quanto la destra, non solo quella estrema ma anche quella economica, abbia sempre cercato di mettere in dubbio le scoperte scientifiche che minacciavano il suo desiderio di massimizzare il profitto. Pensiamo solo all’amianto, sul cui conto già a partire dal 1916 le grandi ditte assicuratrici erano diventate molto restie a coprire i rischi delle relative industrie, mentre negando il problema sulla base di “scienziati prezzolati dall’industria”, si dovette arrivare per esempio in Svizzera sino al 1990 per riuscire ad ottenere, dopo molti tentativi, una proibizione da parte del Parlamento dell’uso dell’amianto. E siccome i cancri legati a questa sostanza (i mesoteliomi) possono impiegare anche 30-40 anni per svilupparsi, ancora oggi portiamo le conseguenze di questo negazionismo con il fatto che ogni anno in Svizzera ci sono almeno 120 persone che muoiono per le conseguenze dell’amianto.
Una storia simile potrebbe essere scritta per quanto riguarda l’uso del tabacco, ma anche per tutta una serie di altre sostanze tossiche. In un libro molto chiaro, purtroppo non tradotto in italiano, il sociologo americano David Michaels (“Doubt is their product”, traducibile in “Il Dubbio è la loro Arma”) descrive dettagliatamente con una serie impressionante di esempi, come ogni volta i negazionisti usino lo stesso sistema. Non potendo naturalmente dimostrare che amianto, tabacco, coloranti chimici, pesticidi, glifosato, eccetera non siano dannosi, cercano di guadagnare tempo dicendo “ma ci sono ancora alcuni esperti che dicono il contrario e non sono sicuri” oppure “prima di essere veramente sicuri dobbiamo condurre ancora altri studi”.
Chi legge queste storie non può non pensare agli attuali negazionisti del surriscaldamento climatico, che stanno riproducendo esattamente lo stesso schema, usato ormai dozzine di volte da chi cerca sempre di impedire dei cambiamenti profondi che mettono a rischio enormi interessi economici. E tanto per restare qui da noi, leggete anche uno dei settimanali contributi di Luigi Pagani, detto Ul Matiröö, pubblicato ultimamente dal ForumAlternativo nella rubrica “Da noi non succede…”, titolo: I terrapiattisti ticinesi.
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